Dalla rassegna stampa Cinema

Valeria Golino “Cercavo la gioia ma mi accontento dell’euforia”

Valeria Golino “Cercavo la gioia ma mi accontento dell’euforia”

ARIANNA FINOS,

Intervista della nostra inviata
CANNES
Eterea e claudicante, Valeria Golino cammina con circospezione sulla terrazza del Marriott Hotel, al centro della Croisette. Sotto il vestito bianco e nero, la caviglia destra è fasciata: «Gli anglosassoni usano dire per buon augurio “break a leg”, ecco, io l’ho preso alla lettera. Sono caduta ieri.
Sono imbottita di antinfiammatori e pomate francesi. Funzionano, anche se non sono molto glamour».
Cinque anni dopo il successo di Miele torna da regista al Certain Regard con Euforia, storia di due fratelli, Riccardo Scamarcio e Valerio Mastandrea, che si ritrovano attraversando il dolore e la malattia. I personaggi femminili sono affidati a Jasmine Trinca, Valentina Cervi e Isabella Ferrari, che passano a salutare la regista e ricevono le direttive: «Puntuali alle otto qui, poi si va in macchina al Palais. Non iniziate l’ammutinamento eh?».
Il delegato Frémaux l’ha abbracciata sulla Montée des Marches, come il Festival ha abbracciato il suo film.
«Per tanti motivi — tra cui le due Coppe Volpi che mi hanno cambiato la vita da piccolissima e alla mezz’età — sono affezionata a Venezia, mi porta bene e mi diverto. Qui a Cannes non mi diverto. Ma Frémaux ha preso il primo film, fatto all’arrembaggio.
E così volevo tornare qui».
In questo momento si sente più regista o attrice?
«Recitare è la mia seconda natura.
Lo faccio da quando avevo sedici anni. La regia mi ha dato varie cose. Innanzitutto il fatto che sono una giovane regista e non un’attrice di mezz’età. Da attrice ho fatto 63 film, la regia è una nuova avventura. Avrei dovuto iniziare a trent’anni, ma avevo troppo pudore, insicurezza».
Di nuovo un film sul tema della morte.
«Mi piace pensare che Miele
e Euforia siano opposti e speculari. Non era un intento deliberato, in questo momento in cui il mondo è preso da fatti importanti e terribili le uniche cose che mi sento di raccontare sono quelle esistenziali. La morte è la regina del nostro pensiero».
Perché il titolo “Euforia”?
«Rimanda a quella distrazione momentanea dalla paura e dal corpo. Volevo parlare di quell’euforia che non è gioia.
La gioia è un sentimento profondo e radicato. Che inseguo. Però poi mi ritrovo sempre con l’euforia, che è anche bella. Ma è quell’altra cosa, frizzante, a liberarti. Può essere nella tua natura ma anche qualcosa di indotto: in questo senso è pericolosa».
Nei salotti della borghesia che racconta si consuma molta droga.
«Ho fatto anche un film sulla droga. Volevo parlarne, ma non in modo diretto. La droga è molto presente però normalizzata, come succede in un certo milieu borghese, neo borghese e non solo. Non volevo raccontarla in modo dark, relegandola come spesso accade nel mondo criminale. Nel mio film il contesto è leggero, il pusher è buffo. Ma la droga pesa con forza sulle persone. Le decisioni del personaggio di Riccardo, quelle belle e quelle brutte, sono comunque di un tossico. Anche l’improvvisa mancanza di sentimento. Questa è l’euforia indotta».
È anche un film sulla famiglia.
«Volevo parlare di rapporti familiari, anche se diluiti dalla distanza, dalle vite diverse.
Il personaggio di Scamarcio, l’imprenditore che si è allontanato dalla famiglia, non vuole perdere i ricordi: il gioco con le mani del nonno, il ballo di Stanlio e Ollio che facevano da bambini.
Il personaggio di Valerio invece è rimasto in famiglia ma ha alzato un muro. Per proteggersi si è inaridito. È intelligente ma non vitale, giudicante ma fragile».
Che viaggio è stato questo film?
«Faticosissimo, decisamente più di Miele. C’erano coinvolte persone a cui voglio molto bene, mi sentivo ancora più responsabile. E parlavo di cose più elusive. In Miele c’era una tematica talmente forte che dovevo essere cauta per non diventare retorica. Stavolta dovevo far passare alcune cose sotto traccia. Mi sono anche molto incupita. Al montaggio mi dicevano “mamma mia come sei di cattivo umore”… In più c’è quella cosa meschina del secondo film: tutti a pronti a dire “eccola là, era un bluff”. Euforia può benissimo non piacere, ma ho fatto il film che volevo. Non volevo che fosse naturalistico, che diventasse tarallucci e vino, due camere e cucina. Volevo che ci fosse la realtà, ma anche sospensioni continue. La musica mi ha aiutato, la base melodica l’ha scritta mio fratello Sandro, che è un sassofonista. Sì, questo film è pieno di cose per me legate insieme. Faticoso, però anche euforico».

La regia è una nuova avventura. Avrei dovuto iniziare a trent’anni, ma avevo troppo pudore e insicurezza
CLEMENS BILAN/ EPA
Opera seconda
Euforia è la seconda regia di Valeria Golino, 52 anni. Con Jasmine Trinca, Valentina Cervi e Isabella Ferrari

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Scamarcio & Mastandrea fratelli in crisi

Matteo (Riccardo Scamarcio), manager spregiudicato e omosessuale, frequenta giri snob e marchette ma ha anche una casta amicizia con un ragazzo più giovane. La sua vita va in crisi quando deve occuparsi del fratello (Mastandrea), professore di liceo fallito ma fedele a se stesso, cui hanno appena diagnosticato un cancro fulminante e che è rimasto nel paese natale.
Come si vede, trama e personaggi non sono particolarmente nuovi, così come la tonalità, tra lacrime e sorrisi. Sembra che Golino abbia voluto lavorare dall’interno del “cinema medio d’autore” degli anni scorsi, con tutto il suo armamentario, per cercare al suo interno spazi nuovi, ma il film riesce a compensare le carenze narrative con uno sguardo davvero fresco, divagante come forse la regista cercava. A un certo punto siamo davanti a un piccolo inventario di luoghi comuni: la piscina vuota di sera, la trasferta all’estero per un accenno di road movie, e in generale snodi telefonati e simboli schematici, compresi i dialoghi tra i protagonisti. A tenere in piedi il film sono i due interpreti maschili: non solo Mastandrea, che è una garanzia e qui ha oltretutto un ruolo su misura, ma anche Scamarcio, che sembra maturare di film in film e qui offre una delle sue migliori interpretazioni.

VOTO: 3/6

– Em. Morreale

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