Il primo “Bolero” di Roberto Bolle “Il mio Béjart, unico e sensuale”
ANNA BANDETTINI
MILANO È l’unico ballerino a suscitare negli spettatori emozioni da rock star. L’altra sera alla Scala dieci minuti di applausi e centinaia di flash per le foto sono stati il trionfale tributo per Roberto Bolle al termine di Bolero, il suo primo vero Béjart, a 42 anni (43 tra quindici giorni), prestigioso pezzo, presentato in chiusura di un gran trittico contemporaneo con il Corpo di Ballo scaligero.
Poi ieri pomeriggio una folla immensa, lo ha atteso nell’arena Robinson di Repubblica a Tempo di Libri, la fiera milanese dell’editoria, dove l’étoile, principal all’American Ballet, ha parlato di sé, di Béjart, del suo festival di danza On dance a Milano dall’11 al 17 giugno, «una festa per far amare la danza a un pubblico che magari non entra alla Scala — ha annunciato — Ci saranno vari generi, la classica, la street dance, il tango… e eventi e laboratori nella città, oltre ai miei Gala agli Arcimboldi e l’inaugurazione al Castello Sforzesco».
Ma è Bolero a colpire il cuore degli spettatori, uno dei pezzi più celebri di Maurice Béjart. «Una coreografia così particolare, sensuale, erotica, unica», ha detto Bolle. Ideata nel’61, centrata sulla partitura di Ravel, è considerata una pietra miliare della danza, già eseguita negli anni da Jorge Donn, Patrick Dupond e nella versione femminile da Sylvie Guillem, Luciana Savignano che l’altra sera era in platea emozionata, seduta non lontano da Carla Fracci.
Se il tema unificante del balletto è il ritmo, l’ipnotico crescendo di Ravel (sul podio David Coleman), Bolle a torso nudo sul grande tavolo rosso al centro della scena, come vuole l’iconografia, circondato da un “coro” di ballerini inizialmente seduti intorno e via via coinvolti, ne dà una interpretazione precisa e concreta: ha unito alla danza evocatrice, magica, rituale di Béjart, la propria presenza possente, vigorosa, il proprio fervore, rivelando verità emotive nuove. «Salire su quel tavolo — ha commentato — ti dà una forza fisica mentale, psicologica diversa. Non interpreti, diventi quel vigore e quella sensualità».
Sold out le sue repliche, Bolero è comunque da vedere con altri interpreti (tra gli altri Martina Arduino, Virna Toppi, Gioacchino Starace) anche perché il pezzo chiude un trittico contemporaneo perfetto.
Bellissima l’altra pietra miliare della coreografia moderna, assente alla Scala da oltre dieci anni, Petite Mort di Ji?í Kylián: le note di Mozart (al pianoforte Takahiro Yoshikawa), accompagnano una immersione profonda nell’animo e nelle relazioni umane, con sei uomini e sei donne in tute color pelle che si abbracciano e si rincorrono a gruppi e nei pas de deux di straordinaria forza evocativa e eccellenti interpreti, specie Francesca Podini con Nicola Del Freo, Nicoletta Manni con Mick Zeni, Martina Arduino con Christian Fagetti.
Una prima assoluta, il pezzo d’apertura, Mahler 10, sull’Adagio dalla Sinfonia n. 10 di Aszure Barton, lanciatissima coreografa canadese, battezzata da Baryshnikov come una delle più innovative.
In uno spazio elissoidale, agiscono 26 ballerini, spesso in gruppo: di intensità diseguale ma con un senso di semplicità e chiarezza belli, specie in Virna Toppi e Antonino Sutera.
L’incontro
Roberto Bolle ha incontrato ieri il pubblico nell’Arena “Robinson” di “Repubblica” a “Tempo di libri”