Napoli è come una cipolla I confini ci sono, ma deboli
Dimenticare i meridiani, mettersi comodi lungo un parallelo, prima culturale che geografico, che tocca Turchia, Spagna, Grecia, Balcani, Portogallo, e che poi piega all’improvviso fino all’Argentina. È quanto suggerisce Maurizio de Giovanni per entrare in sintonia con la sua città, come lo scrittore l’ha riconosciuta nel ritratto che Ferzan Özpetek restituisce nel suo nuovo film. Si intitola Napoli velata , uscirà nella sale giovedì 28 dicembre, è la storia di una donna, Adriana, medico legale (Giovanna Mezzogiorno), del suo incontro con un uomo, Andrea (Alessandro Borghi), e una rete di mistero, sensualità, follia che sfida la ragione. De Giovanni lo ha visto in anteprima per «la Lettura» , occasione per un dialogo su Napoli e dintorni con il regista turco, al suo dodicesimo film. Il più hitchcockiano, sostiene il padre letterario del commissario Ricciardi e dell’ispettore Lojacono. Nessun altro luogo in Italia è stato tanto frequentato da cinema e televisione negli ultimi anni. Gomorra , certo, ma anche i quartieri borghesi di Gianni Amelio ( La tenerezza ), la neo-sceneggiata targata Manetti Bros ( Ammore e malavita ), il fantasy romantico di Cotroneo ( Sirene ), fino al set a Palazzo dello Spagnuolo di Sense8 di Lana e Lilly Wachowski per Netflix, passando anche per la fiction tratta proprio dai romanzi di de Giovanni, I bastardi di Pizzofalcone . «Più set a Napoli che a New York», scherzano.
Tutto e il contrario di tutto. Che città è oggi Napoli?
MAURIZIO DE GIOVANNI — Napoli è una cipolla. Ogni strato, a pochi millimetri dagli altri, ha un odore, un sapore, un colore diverso dagli altri. Ti collochi nello strato che vuoi, puoi scegliere se rimanere nel tuo o andare da uno all’altro. È come l’olio nell’acqua: non si mischiano e non si annullano, sono coesistenti.
FERZAN ÖZPETEK — Un inno vivente all’ambiguità, dove convivono religione e scienza, superstizione e razionalità, amore e morte, follia e ragione. Era da tanto che volevo girare un film qui. Quando ho curato la regia de La traviata ho incontrato persone che mi hanno aiutato a entrare in sintonia con il suo essere tante cose insieme, presente e passato in dialogo continuo. Inciampi nella storia a ogni angolo. Volevo evitare i luoghi comuni. Napoli è troppo importante per farne una macchietta, è la mamma della cultura italiana. Niente è come sembra, pensi di aver capito, e scopri altre verità. Pochi altri luoghi sono cosi permeati di erudizione, forse è l’unico dove nobiltà e cultura si mescolano a povertà e ignoranza. Non c’è separazione, tutto a pochi metri.
MAURIZIO DE GIOVANNI — Nello stesso palazzo. A seconda dei piani, da cui vedi il mare o non lo vedi, ci sono contesti sociali diversi. Lo stesso palazzo del centro può ospitare nei piani inferiori il proletariato bassissimo e a mano a mano che sali puoi trovare la borghesia più alta. Altrove c’è una netta separazione fisica tra le classi e si hanno identità variabili a seconda dei posti dove le persone nascono e crescono. Tu cammini per via Toledo e hai a valle le griffe e la finanza e a monte un posto dove si parla un’altra lingua, si fa un altro teatro, si ascolta un’altra musica. E Ferzan lo ha interpretato, perché la città l’ha metabolizzata, dall’interno, grazie al suo non essere napoletano ma connaturato di napoletanità. Una posizione privilegiata, frutto di una connazionalità che valica i confini: è napoletana ma anche turca, greca, spagnola, balcanica, portoghese. Una fascia orizzontale che culturalmente, pur non parlando la stessa lingua, condivide il codice del realismo magico. Napoli è parente prossima di Istanbul o Lisbona piuttosto che di Torino o Milano.
Dici Napoli e incroci passioni, contrasti, sentimenti forti. Non c’è spazio per la neutralità?
FERZAN ÖZPETEK — No, neanche per il visitatore. Perché la sensualità di cui è pervasa ti chiama in causa, anche nei gesti più quotidiani. Persino uno che sta per metterti sotto con la macchina, e poi ti coinvolge in un gioco di sguardi. Oppure al bar, chiedi un caffè e la signorina alla cassa sembra che ti stia corteggiando. È qualcosa che è nell’aria da cui non puoi prescindere.
MAURIZIO DE GIOVANNI — Una città dove per dieci mesi all’anno vivi all’aperto, che ti consente fino a tarda notte di stare a chiacchierare per la strada, ti impone un rapporto sociale basato sui sensi. La sensualità nasce da questo, non sei mai separato dagli altri, non puoi fare a meno di incontrali. Purtroppo, dico, a volte. Se uno viene a Napoli dopo aver visto questo film la riconoscerà. Nel bene e nel male: la confusione, l’assenza di privacy ma anche mai solitudine, mai silenzio. La protagonista del fim di Ferzan cerca la solitudine, si scava la sua nicchia malgrado gli altri, ma tutti si preoccupano per lei, a cominciare dal personaggio di Peppe Barra, Pasquale, il corifeo che ci svela i diversi piani della realtà.
Una realtà che, nonostante la contemporaneità, non prescinde da riti e credenze . Questa non è una forzatura?
FERZAN ÖZPETEK — Affatto. Tutto si tiene ancora oggi. Ho preferito raccontare una storia ambientata nel presente perché questa è la città che ho conosciuto, dove ci sono nuove realtà imprenditoriali dinamiche e, appunto, rituali arcaici. A cominciare dalla figliata , legata alla cultura dei femminielli, dove si mette in scena il parto maschile e tra spettatori e attori si mette un velo che non copre ma, al contrario, sottolinea. A significare che la verità va più sentita che guardata.
MAURIZIO DE GIOVANNI — E a dimostrazione che Napoli è una città femmina, più di ogni altra città al mondo. È ventre e partorisce continuamente, come la figliata ci ricorda. Anche nella sovrabbondanza Napoli è femminile, nell’ostentazione dei colori. Non ha nessuna sobrietà, nessuna chiusura, nessuna moderazione. Napoli è smodata. È la città degli eccessi, in questo è evidentemente femminile.
FERZAN ÖZPETEK — Anche i maschi in qualche modo sono femminili, è qualcosa che trovo divertente, la vena della femminilità è ovunque, questa è una cosa bellissima, mi sembra come un suo dono.
MAURIZIO DE GIOVANNI — Per citare ancora Peppe Barra, lui risulta una specie di madre per Adriana, la protagonista. La maternità degli uomini è una della chiavi, insieme alla follia che è una realtà coesistente, mai negata né nascosta, grazie a cui il film ci svela l’anima profonda della città.
Di cui «Gomorra», grazie al successo del film e della serie, è diventata una sorta di sinonimo .
FERZAN ÖZPETEK — Gomorra in realtà potrebbe essere qualunque città.
MAURIZIO DE GIOVANNI — Sì, è il racconto shakesperiano di belve contro belve, potrebbe anche essere ambientato dovunque. Pensare che ci sia una sovrapposizione nell’immaginario non spiegherebbe il 49% di aumento di turisti nel 2016 a Napoli a fronte del 6 su scala nazionale.
Come si fa a girare nelle vie del centro senza rischiare l’effetto cartolina?
FERZAN ÖZPETEK — Girare a Napoli è un’esperienza magnifica, non è un caso che in molti la stiano scegliendo. Noi abbiamo evitato alcune scelte che sarebbero risultate ovvie, come il cimitero delle Fontanelle, visto che il film tratta anche di morte. Abbiamo preferito la Farmacia storica degli Incurabili. E scelto luoghi unici come quello dove è ambientata la scena della tombola vajassa da cui si vede tutta la metropoli. Il film doveva iniziare con una panoramica sulla città ma la mia scenografa Deniz Göktürk Kobanbay mi ha suggerito di partire invece dalla cosa che amo di più, le scale. Abbiamo scelto Palazzo Mannajuolo.
MAURIZIO DE GIOVANNI — Scale a spirale stretta, un esempio avanzatissimo di ingegneria settecentesca partenopea come anche il Palazzo dello Spagnuolo.
FERZAN ÖZPETEK — E ho potuto girare a casa Caracciolo, dove De Sica ambientò L’oro di Napoli e set di Viaggio in Italia di Rossellini. Nel mio film è la casa della zia di Giovanna, Adele, Anna Bonaiuto. Una dimora sontuosa, magnifica. Di quelle che contengono cappelle dove i sacerdoti venivano a dire messa trovando preziosi paramenti sacri negli armadi.
MAURIZIO DE GIOVANNI — Dove la memoria viene a galla. Il senso del passato è qualcosa di cui, a Napoli specialmente, non ci liberiamo mai. C’è un piano sequenza, in cui Anna rivive una festa del passato e la casa racconta: la memoria delle mura, i mobili, la sedia come se qualcuno ci fosse ancora seduto. I ricordi si sovrappongono al presente. Questa è una cosa che un romanziere invidia al regista, una scena così io non la posso scrivere. E non toglie forza alla trama rigorosa di un film che si inserisce nel nuovo filone nero italiano d’autore, come La sconosciuta , Il capitale umano. Ma c’è un altro aspetto di fedeltà a Napoli che mi ha colpito ».
Ovvero?
MAURIZIO DE GIOVANNI — I suoni. A Napoli non c’è mai il silenzio, ma riprodurne i suoni non è facile, si rischia veramente la macchietta. Come nelle musiche. Qui il fado incrocia il tango, le sonorità arabe. La colonna sonora, curata da Pasquale Catalano, incrocia Enzo Gragnaniello, Lino Cannavacciuolo con Tanos che è il nome con cui si chiamavano i napoletani in Argentina, parte finale di napoletanos. Appunto, quella fascia di cui parlavo prima.
E poi c’è la lingua. Il napoletano insieme ossequioso e feroce, sensuale e sferzante.
FERZAN ÖZPETEK — Una lingua che ne contiene tante. Ho voluto mettere il voi, mi dicono che stia scomparendo. Peccato, mi sembra racconti moltissimo.
Anche in «Souvenir» il «voi» serve a sottolineare un’unicità: «Non un fatto di lingua ma di filosofia».
MAURIZIO DE GIOVANNI — Rivendicata sì. Dal punto di vista lessicale è usato quando si va nel dialetto. Se parliamo in italiano vi do del «lei», se condividiamo un codice, non solo dialettale, si scivola naturalmente nel «voi».