Dalla rassegna stampa Libri

Walter Siti, il peccato più mostruoso brucia un prete a Milano

Walter Siti, il peccato più mostruoso brucia un prete a Milano

“Delitto e castigo” di un sacerdote che ha ceduto alla pedofilia e si è scontrato sia con la fede in Dio sia con la perversione

Walter Siti, originario di Modena (1947), vive a Milano. Ha insegnato nelle università di Pisa, Cosenza e L’Aquila

ANDREA CORTELLESSA

Nella nota che conclude il suo ultimo e peggior libro, Exit strategy , diceva Walter Siti che «la letteratura spira dove vuole proprio perché non viene presa sul serio da nessuno». Ma sapeva bene quanto Bruciare tutto , dopo tre anni di silenzio, corresse invece il rischio d’essere preso fin troppo sul serio. Si può anzi pensare che la ricezione polemica fosse prevista, come negli scritti corsari del «suo» Pasolini, quale parte integrante dell’«opera» (facendo riflettere su quello che da un pezzo sostiene Siti essere l’ultimo, il più invalicabile dei tabù, la pedofilia: tema tutt’altro che gratuito se è vero che, almeno da Troppi paradisi , svolge un ruolo crescente). Ma neppure lui, forse, poteva immaginare il livello di una discussione che ci ha riportato ai tempi, 1857, del processo a Madame Bovary (rievocato, nella vita anteriore di Siti critico, nel saggio da lui dedicato nel 2001 al Romanzo sotto accusa ); non è un caso che, nel capitolo intellettualmente meno desolante della bagarre, Siti abbia parafrasato appunto Flaubert dicendo che il suo «scandaloso» protagonista, il prete pedofilo Don Leo Bazzoli, «c’est lui ».

Ed è proprio così. Non si può sostenere che i tormenti e le estasi di un sacerdote tentato dal più mostruoso dei peccati (cui ha ceduto anche lui, una sola volta, in una vita anteriore) non sarebbero descrivibili da chi «lamenta che Dio non gli abbia concesso il dono della fede»: in una delle note in cui si rifugia l’autore si sostiene che Don Leo, nonché suo «alter ego», sia la sua «spettrale proiezione», «simile a quelle che le radiazioni nucleari stamparono sui muri di Hiroshima». Infatti Leo è un Walter (da sempre tentato, per parte sua, dall’incendio della fede: Il dio impossibile è il titolo della pseudo-trilogia – Scuola di nudo, Un dolore normale e Troppi paradisi – che resta il vertice della sua opera) che, a differenza di lui, è andato fino in fondo tanto con la religione che con la perversione (due facce, sostiene Siti, della stessa hybris): così consegnandosi all’Olocausto. Prima a quello, metaforico, del Delitto poi a quello, letterale, del Castigo. (Trovo assai scorretto, per farla finita colla meta-discussione, che si sia spoilerato il suicidio di Andrea, il bambino nevrotico che si attacca troppo a Don Leo e invano gli si offre; e si sia invece taciuto il finale in cui, ad adempiere la sorte del titolo, è lo stesso Leo – al modico prezzo d’una tanica di benzina e un accendino.)

Per questo, se è vero che Bruciare tutto è il primo libro «in cui non compare mai il personaggio Walter Siti» (ben più strategico, sebbene già non protagonista, il suo ruolo in Resistere non serve a niente), non si può invece dire – come pure è stato sostenuto, stavolta in sua difesa – che nulla vi sia del suo modo di pensare, se non di vivere, nel personaggio di Leo. Per fortuna. Se la seconda parte è quella in cui il romanzo s’impenna (dopo una troppo lunga premessa di «cazzeggio» corale), è proprio perché usciamo dall’iper-mimetismo della Milano «resuscitata dal centrosinistra» (con non poca ironia da parte di chi ha voluto riflettere, pure, sui «limiti della carità») ed entriamo nelle temperature torride del «romanzo d’idee» (quelle di riferimenti come Dostoevskij, Gide e, soprattutto, Giuda l’oscuro di Thomas Hardy: in tutti c’è il suicidio infantile che, pure, è stato considerato inverosimile): dove il personaggio è un «simbolo», un nodo di affetti e concetti in quanto tale non più valutabile sul piano della verosimiglianza «tridimensionale».

Ed è questo il piano dove si gioca la scommessa – tutta letteraria, a dispetto della bagarre – di Siti. Il quale non da ora s’è posto il problema dell’exit strategy da quella che ha definito la «trappola dell’autofiction», genere di cui è stato codificatore, da noi, e primo prigioniero. Se è vero che nella società del narcisismo di oggi – ha sostenuto Siti – «la prima persona ha invaso il campo» e «l’autobiografia, aumentata o meno», è diventata «un ostacolo all’espressione delle verità profonde di sé», questo capita solo agli stenterelli che scimmiottano l’autofiction quale estensione del dominio dei social, ossia prova di forza del proprio «capitale relazionale». Quella che conta, in uno scrittore vero, resta invece l’intercapedine indecidibile, la zona grigia fra l’autore e il personaggio. A un certo punto di Resistere non serve a niente si dice che «onnisciente sarebbe solo Dio, se esistesse»; infatti neppure Bruciare tutto, per fortuna, è un romanzo tradizionale: la «terza persona», anche qui assente (se non in senso grammaticale), vi sarebbe segno di quella trascendenza da cui, una volta di più, ci riscontriamo tanto tentati che esclusi. Come da quel Paradiso che – per l’autore miscredente come per i suoi lettori, ipocriti e fraterni – è davvero troppo.

(Walter Siti «Bruciare tutto» Rizzoli pp. 372, € 20)

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