Dalla rassegna stampa Libri

L’opera di Siti è un dibattito senza fine

Continua il confronto sul romanzo dedicato a don Milani dove l’autore racconta di un prete pedofilo Busi: “La sua è fantascienza” Fofi: “È una polemica preistorica”

L’opera di Siti è un dibattito senza fine

RAFFAELLA DE SANTIS

Due giorni dopo la stroncatura firmata da Michela Marzano su Repubblica, Bruciare tutto di Walter Siti (Rizzoli) continua a dividere e infiamma la Rete. Contrappone su opposti fronti scrittori, lettori e critici letterari. Il romanzo racconta la storia di un prete pedofilo in continuo colloquio con la sua coscienza e con Dio. Il protagonista rifiuta le avance di un bambino che finisce poi per suicidarsi. Tante le immagini scioccanti, tra cui il corpo del piccolo Aylan che attrae i pedofili sul deep web. Ed è tutta da chiarire, poi, la dedica a don Lorenzo Milani che apre il romanzo.
Marzano ha sottolineato le “premesse gratuitamente scandalistiche” del libro, inchiodandolo a due domande semplici: “Che scopo si prefigge Siti?”. “È letteratura questa?”.
Si vuole capire insomma come la letteratura possa e debba rappresentare il male. Goffredo Fofi non è d’accordo: «Ancora discutiamo di questo, è una questione preistorica». Aldo Busi, che nei suoi libri ha violato ogni tabù, risponde via sms con caustico sarcasmo: «Da quel che ho letto sul romanzo, è impostato su un prete che si fa degli scrupoli… Non leggo libri di fantascienza».
Ma dopo la prima stroncatura, gli addetti ai lavori sembrano andare tutti verso una stessa direzione.
«L’unica cosa che conta per un critico è se Bruciare tutto è una porcheria o un capolavoro», ha scritto Marco Belpoliti su Repubblica.
Emanuele Trevi, che ha risposto a Michela Marzano con una recensione sulle pagine del Corriere della sera, lo ha letto come romanzo della tentazione, più che della colpa: «Davvero magistrale è la mano di Siti nel dipingere questa condizione di mortificata ansietà, questa lussureggiante foresta di scrupoli e ossessioni, fino alle sue inevitabili conseguenze tragiche». E si schierano anche le case editrici: Paolo Repetti, direttore editoriale di Einaudi Stile libero twitta in maniera più problematica: «La grande letteratura guarda nell’abisso.
La falsa letteratura lo corteggia».
Ma la letteratura deve temere il male? No, sostengono in tanti, a patto però che sia letteratura. Vale semmai il contrario: «Se un libro riesce a consegnarci il male – dice il critico Massimo Onofri sempre sul Corriere della sera – questa può essere un’operazione moralmente molto più nobile, più della “condanna edificante” del male stesso». E qui abbondano i soliti esempi tirati in ballo, dai Demoni di Dostoevskij a Lolita di Nabokov. Sarà un caso, o un gioco studiato a tavolino, ma nelle prime pagine del romanzo di Siti, Leo, il prete protagonista, è coinvolto in un caso di cronaca: «Vedrai – dice – i giornali domani si scateneranno».
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LE VOCI
Dall’alto, Aldo Busi e Goffredo Fofi

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Domenico Starnone “Una storia forte come una parabola”

Domenico Starnone non solo ha già letto il libro di Walter Siti, ma l’ha apprezzato come parabola del desiderio, storia di perdizione che lega il prete e il bambino in un abbraccio mortale: la dannazione di uno è la salvezza dell’altro. Tutto racchiuso nella frase terribile al capezzale del piccolo Andrea, che si è suicidato dopo essere stato respinto: «Perdonami, dovevo accettare di fare l’amore con te, qualunque prezzo mi fosse costato».
Pensa che ci sia un limite a ciò che si può raccontare?
«No. Uno scrittore ha l’obbligo sempre di spingersi oltre le sue stesse colonne d’Ercole. Se non lo fa, rischia di coltivare un suo orticello risaputo con fiorellini dati una volta per tutte. Siti è uno scrittore di gran livello e a ogni libro si spinge più avanti, a suo rischio e pericolo. Cosa che ai miei occhi è ammirevole».
Qual è la sua lettura del romanzo?
«A me è sembrata una riflessione estrema sul desiderio, una sorta di teologia angosciosissima della tentazione. Il personaggio del prete è robusto, vivo, con una densità culturale che permette di porre grandi questioni. La storia ha l’andamento della parabola sulla salvezza di uno che passa per la perdizione di un altro».
Ma il problema è che l’oggetto del desiderio è un bambino.
«Siti mette al centro il bisogno d’amore di un bambino e il sofferto sottrarsi di un prete. Se al posto del bambino ci fosse stata una donna o un uomo, nessuno naturalmente avrebbe battuto ciglio. Ma Siti non è scrittore da Uccelli di rovo, foss’anche omosessuale. A me pare invece che muova dai romanzi di Tony Duvert distruggendone la delicatezza e cavandone la sostanza più scandalosa e terribile: il tema del desiderio infantile e del consenso».
È letteratura o voglia di creare scandalo?
«Lo scandalo spesso si accompagna alle opere che si spingono in territori e dentro linguaggi che ci disturbano o ci fanno orrore. Ma in letteratura la rappresentazione della pedofilia vale quanto la rappresentazione della caccia alla balena. Disgustano entrambe e bisogna vedere a cosa sei capace di piegarle come scrittore. Moby Dick lo leggi, lo ami, e solo se hai la testa fuori sesto corri poi a cacciare balene».
E la dedica a Don Milani?
«Non so. Mi immagino che Siti abbia voluto suggerire quanto eros si esprima in ogni forma di seria e complessa pedagogia».
R. D. S.

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Nicola Lagioia “Il compiacimento rimane l’unico rischio”

ANicola Lagioia non sembra strano che uno scrittore tenti di spingersi oltre ogni limite. Lagioia, che il 21 maggio ospiterà Walter Siti al Salone del libro di Torino, di cui è direttore, ha appena iniziato a leggere Bruciare tutto. Non è ancora arrivato al passo incriminato, quello in cui don Leo arriva a maledire la sua rinuncia ad accettare la tentazione del bambino che poi si suicida. Ma dice subito: «La letteratura deve saper esplorare quel pozzo senza fondo e di mediocrità che è l’uomo. Oscar Wilde diceva che non esistono libri morali o immorali, ma solo libri belli o brutti».
Wilde era un dandy dissacrante… «Ma è così, la letteratura è una sorta di istruttoria non finalizzata a gradi di giudizio. Se va alla ricerca della verità non deve porsi limiti. L’unico confine è dato dal compiacimento: non mi piacciono i romanzi in cui vince la volontà compiaciuta di scandalizzare».
Non è troppo facile prendere un personaggio dannato e farne un eroe (o antieroe)?
«Voglio fare due esempi. Il primo è Raskolnikov, il protagonista di Delitto e castigo di Dostoevskij. L’altro è il Mersault
dello Straniero di Camus. Sono due assassini, eppure proviamo verso di loro empatia».
Perché?
«Per il fatto che scorgiamo in loro una parte di noi. È questo il mistero del male, che da sempre la letteratura indaga. Siti ci pone di fronte a un paradosso etico classico: quale azione compiere se entrambe ci dannano? ».
E rispetto alle critiche che il romanzo sta suscitando, non crede siano lecite?
«A patto che non si confonda mai narratore e autore. Ricordo i fraintendimenti intorno ad
American Psycho di Bret Easton Ellis. Eppure nessuno come lui ha saputo descrivere tanto bene la New York degli anni Ottanta, una città disumanizzante in grado di trasformare una persona in uno stupratore seriale».
È chiaro che non è il tema trattato a rendere un libro morale o immorale…
«No, l’importante è che lo scrittore restituisca in modo autentico la propria esperienza del mondo».
Come spiega la dedica a don Lorenzo Milani?
«Bisogna chiedere a Siti, è il solo che può spiegarcela».
R. D. S.

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