Dalla rassegna stampa Libri

Alessandro Savona si racconta in "Ci sono io": "Io e il mio compagno siamo papà grazie all'affidamento"

Alessandro Savona si racconta in “Ci sono io”: “Io e il mio compagno siamo papà grazie all’affidamento”

Di Alessandro Buttitta

Alessandro Savona è un architetto, vive a Palermo ed è omosessuale. Dal 2013 il suo stato di famiglia include Marco, un ragazzo che lui e il suo compagno hanno avuto in affido, con un decreto che segna una svolta in Italia in materia di affidamento minorile. “Nel nostro paese per le coppie omosessuali l’adozione è impossibile. È possibile invece ottenere l’affidamento, una soluzione che veramente in pochi conoscono”, racconta Savona ad Huffington Post. Per sensibilizzare sull’argomento ha scritto Ci sono io, un libro edito da Flaccovio, che riesce a dar voce ai minori che non hanno la forza di affrontare la palude burocratica nelle cui maglie si inceppa il loro diritto all’infanzia.

Ci sono io prende le mosse da un’esperienza personale. Qual è l’esigenza che ti ha spinto a scrivere questa storia?

Il romanzo filtra le esperienze da volontario in una casa famiglia di Palermo attraverso varie testimonianze, a partire da quelle di coppie che esprimono un forte desiderio di genitorialità. Ci sono io ha come protagonisti un bambino e un adulto, single e omosessuale, che intraprendono un viaggio di due giorni. Il viaggio reale diventa metaforico perché l’adulto ripercorre momenti della sua infanzia ripercorrendo il passato del bambino. È un libro che prova a far riflettere su realtà che spesso sono ignorate. Ci tengo a dire che parte dei ricavi della vendita del libro saranno devoluti all’AFAP, l’associazione delle famiglie affidatarie di Palermo.

Nel dibattito pubblico si confonde spesso affido e adozione. Fa differenza nel sentirsi famiglia?

Con il mio compagno formiamo una famiglia a tutti gli effetti. Siamo la seconda coppia omosessuale in Italia ad aver avuto l’affido di un minore, Marco, che all’epoca dei fatti aveva sedici anni. Pur essendo regolamentati dalla medesima istituzione, l’affido è meno conosciuto dell’adozione, ma è altrettanto importante. Il minore viene accolto in una famiglia per un tempo prestabilito con gli affidatari che non si sostituiscono totalmente ai genitori biologici. L’affido ha una durata prestabilita perché si spera che il minore faccia ritorno presso il nucleo familiare d’origine.

Cosa che accade raramente…

Sì, molto raramente. Nel nostro caso Marco è stato in casa famiglia per sei anni, un periodo lunghissimo. Entrato a dieci anni, solamente a sedici anni è potuto uscire con un affido. I genitori vivevano fuori dalla casa famiglia, avendo preso altre strade, e ovviamente non potevano intervenire su una decisione del Tribunale dei Minori.

ci sono io

Perché l’affido è così poco conosciuto?

Con l’adozione il minore entra a far parte giuridicamente del nucleo familiare. Con l’affido tutto ciò non si verifica, anche se l’amore e l’accoglienza sono i medesimi in entrambi i casi. Per gli aspiranti genitori l’adozione è sicuramente migliore: c’è la certezza che il minore rimanga con te al contrario dell’affido. Anzi, gli affidatari dovrebbero augurarsi che il bambino/ragazzo faccia ritorno nel più breve tempo possibile nel nucleo familiare d’origine. È evidente che si crea un rapporto affettivo tra il minore e l’affidatario. Ciò non toglie che questo persista pure nel momento in cui ci sia un allontanamento.

Nel vostro caso non è successo. Marco ha deciso di rimanere a vivere con voi, una volta compiuti i diciotto anni.

Sì, per questo motivo non sentiamo differenze, non crediamo di essere una famiglia diversa dalle altre. Noi però abbiamo un compito diverso: non sostituiamo i genitori. Oggi Marco è maggiorenne e ha me e il mio compagno come punti di riferimento come in passato. Lo abbiamo sostenuto in occasione dell’esame di maturità, lo abbiamo sostenuto nella ricerca di lavoro, lo sosterremmo in futuro.

Un minore può essere affidato anche a una coppia omosessuale. Par di capire che conta molto la discrezionalità del Tribunale dei minori.

È assolutamente basilare per ogni tipo di scelta. Il primo affidamento, quello temporaneo, è arrivato a noi, che prima di allora non avevamo minimamente pensato a questo tipo di soluzione, perché entrambi volontari nella casa famiglia di Marco. Successivamente ci siamo iscritti al registro delle unioni civili. Dopo sei mesi è arrivata la sentenza.

La legge Cirinnà è stata decisiva per i diritti civili. Cosa c’è altro da fare?

Si devono eliminare definitivamente tutte le barriere di discriminazione che, nel mondo di oggi, sono veramente inutili e deleterie. La legge Cirinnà è stata approvata in parte. Manca, ad esempio, tutta la casistica legata alla stepchild adoption. Nonostante tutto, anche se andiamo a rilento rispetto a tantissimi altri Paesi, è stato un grandissimo passo avanti. Il prossimo passo sono le adozioni per le coppie omosessuali.

Capitolo delicato in un Paese come l’Italia. Al netto di tutte le considerazioni di stampo etico e biologico, le adozioni oggi se le possono permettere economicamente in pochi.

Sì, ma il reddito conta a prescindere dall’orientamento sessuale. Basti pensare che per un’adozione internazionale una coppia eterosessuale italiana deve mettere in preventivo circa 30.000 euro. Forse è il caso di fare più attenzione alle case famiglia che in Italia ospitano 26.000 minori, un numero esorbitante che risente anche del fenomeno migratorio. Allo Stato ognuno di loro costa orientativamente 2.500 euro al mese. C’è da registrare però una statistica: dopo i sette anni i bambini vengono considerati “scarti”. Chi adotta o chi desidera l’affidamento non è intenzionato a prenderli. Preferisce accogliere in casa bambini più piccoli.

Per queste coppie l’unica soluzione sembra esser quella della maternità surrogata. Qual è il tuo giudizio a tal proposito?

Non mi pronuncio apertamente. In linea di principio sono favorevole, ma mi rendo conto che a livello etico e deontologico subentrano problemi enormi, difficili da gestire e valutare. Penso che ancora non siamo pronti culturalmente. Abbiamo bisogno di più tempo.

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