Quello che dalle ricerche non è mai emerso. Due mamme e due papà, nessuna differenza?
Luciano Moia
Il caso Trento e il dibattito sulla riforma delle adozioni impongono sguardi più consapevoli e conoscenze non improvvisate sulle unioni omogenitoriali
Due mamme e due papà, nessuna differenza?
«Non ho mai incontrato il mio padre biologico. Ho solo scambiato qualche lettera con lui. Con le sue risposte mi ha fatto capire chiaramente che, pur essendo lieto della mia nascita, non è orgoglioso di essersi prestato ad un concepimento con donazione… È molto spiacevole che la mia vita sia stata motivo di vergogna e d’imbarazzo per le persone che mi hanno messa al mondo». Sono le dichiarazioni angoscianti di un’adolescente nata da una coppia lesbica con la fecondazione eterologa che ha fatto ricorso al seme di un donatore esterno. Le sue parole sono riportate in una delle tante ricerche americane (Golombok, 2016) che indagano sulla condizioni delle famiglie omogenitoriali. L’obiettivo è quello di far chiarezza – purtroppo senza riuscirci – su una questione che da alcuni anni interroga la cultura, la scienza, la politica e la pastorale.
E cioè: come vivono bambini e adolescenti quando i genitori sono due mamme o due papà? Manifestano disturbi e difficoltà? Hanno maggiori problemi a scuola, nelle relazioni con i coetanei, con gli altri familiari? Interrogativi che rimbalzano ancora più inquietanti dopo la sentenza, nei giorni scorsi, della Corte d’appello di Trento, che ha riconosciuto la legittimità della richiesta avanzata dal partner di un genitore omosessuale. Quest’ultimo, sei anni fa, aveva ‘acquistato’ due bambini in Canada con la tecnica dell’utero in affitto.
Per i tribunali italiani il via libera concesso all’accoppiata utero in affitto-coppia omosessuale si è tradotto nella cancellazione di una nuova frontiera etica. Il riconoscimento della genitorialità omosessuale, per lo più come trascrizione di nascite o di ‘matrimoni’ celebrati all’estero, era invece già avvenuto in una ventina di casi. Tutte situazioni non previste dal nostro ordinamento – se non palesemente vietate – che però i magistrati hanno considerato urgente avallare anche in funzione di un presunto vuoto legislativo. Intanto, dopo le ambiguità sul tema della legge sulle unioni civili, va avanti il dibattito sulla riforma della legge 184 (adozioni e affido) che, secondo quanto emerso dall’Indagine conoscitiva realizzata dalla Commissione giustizia della Camera, sarà segnata da una chiara apertura non solo alle coppie ma anche ai singles omosessuali.
Scelte che, sia da parte dei magistrati sia dei legislatori, sembrano scorrere sul piano inclinato del politicamente corretto, senza una reale conoscenza della realtà delle famiglie omogenitoriali. In Italia i minori che vivono con ‘genitori’ omosessuali sono circa un migliaio. Negli Stati Uniti, dove il fenomeno si è radicato molto tempo prima, circa 220mila. Esigua minoranza (lo 0,3% della popolazione infantile) che rappresenta però una svolta nell’antropologia familiare su cui sarebbe un grave errore non riflettere. Ma, per non sputare sentenze ideologiche, per evitare di abborracciare stime e considerazioni, occorre ragionare sulla base di dati esperienziali e statistici sicuri. I pochi esistenti sono quelli che ci arrivano da alcune decine di ricerche empiriche made in Usa.
Studi tutt’altro che credibili però, visto che per la maggior parte, nascono all’interno delle comunità lgbt o sono state addirittura realizzate da ricercatori- militanti. Ora, a far chiarezza su un quadro che rimane comunque confuso e ambiguo, arriva uno studio realizzato dal Centro di ateneo di studi e ricerche dell’Università Cattolica che contribuisce a sottolineare contraddizioni e indicare difficoltà. Chi vuol sentenziare o legiferare sul tema farà bene a dare un’occhiata.
Figli di coppie gay. Eugenia Scabini: «Il dramma è il genitore che non c’è»
Luciano Moia
Scabini: ci sono omosessuali che sperano per i figli un destino etero. Nuovo studio della Cattolica con analisi critica delle indagini che vorrebbero imporre la tesi della «nessuna differenza»
Una ricerca per scavare in profondità nella trama di altre ricerche. Per scoprire, al di là degli slogan e delle posizioni ideologiche, qual è la credibilità delle decine di studi – quasi tutti a senso unico, quasi tutti condotti negli Stati Uniti – che negli ultimi vent’anni hanno tentato di dimostrare la tesi della cosiddetta ‘nessuna differenza’ tra coppie di genitori eterosessuali e coppie omosessuali. Il nuovo studio, condotto dal Elena Canzi – in via di pubblicazione nell’ambito dei ‘Quaderni’ (Vita e Pensiero) del Centro di ateneo studi e ricerche sulla famiglia dell’Università Cattolica – analizza criticamente le maggiori ricerche sull’argomento. L’obiettivo è quello di comprendere la realtà della filiazione in contesti omogenitoriali, «punto critico di quel mutamento antropologico del ‘familiare’ che la postmodernità, quale tratto specifico della cultura dell’Occidente caratterizzata dalla potenza delle tecnologie riproduttive, ci propone». Così scrivono nella presentazione Eugenia Scabini e Vittorio Cigoli, già ordinari di psico- logia nello stesso ateneo e tra i più attenti studiosi italiani del fenomeno. Ne parliamo con la professoressa Scabini che ha accettato di anticiparci alcuni punti chiave dello studio.
La vostra indagine punta ad indagare le motivazioni che spingono le coppie omosessuali a intraprendere il percorso della genitorialità. Quali situazioni emergono?
Le questioni aperte sono tante, a partire dai problemi che la situazione di omogenitorialità strutturalmente porta con sé (uno solo è padre o madre, e l’altro è il cosiddetto ‘genitore sociale’), e anche con gli inevitabili squilibri che tale doppia presenza dello stesso genere, unitamente alla ‘diseguaglianza procreativa’ comporta.
“Diseguaglianza procreativa”?
Lo comprendiamo meglio con un esempio: come affronta la ‘madre sociale’ la preferenza dei bambini per la ‘madre di nascita’? Si noti che abbiamo preferito questa espressione a quella più in voga di ‘madre biologica’ che già suppone un’indipendenza del corporeo dallo psichico. Ma la ‘diseguaglianza’ è anche una delle sfide specifiche in relazione alla genitorialità che tali coppie vengono ad affrontare, sfide spesso tenute in sordina per via del must che impone di omologare le assai diverse condizioni di relazioni di coppia (eterosessuale, omosessuale e le loro varianti). Allo stesso tempo è un invito a riflettere sull’altrettanto forte e diffusa tendenza che pretende di separare la qualità della relazione e i processi che la riguardano dalla sua struttura.
È un dato costante delle ricerche esaminate questo tentativo di omologare i comportamenti di coppie diverse (eterosessuali e omosessuali)?
Purtroppo sì. Sembra che la maggior parte di questi ricercatori siano come accecati da questo obiettivo omologante che li rende incapaci di vedere gli aspetti differenziali dei tipi di coppie. Così, per esempio, confrontano caratteristiche della ‘qualità della relazione’ della madre sociale con quella del padre della coppie eterosessuali, contravvenendo così ad una elementare coerenza logica.
Anche i criteri metodologici e le scelte dei campioni di indagini pongono non pochi problemi…
Sì, le problematiche sono tante (campioni di convenienza, la loro limitatezza ed eterogeneità quanto a tipi di filiazione, povertà di ricerche longitudinali) e dimostrano che con questi criteri discutibili, proprio dal punto di vista della scientificità dell’indagine, non si può poi arrivare ad affermare che non esistono differenze di sviluppo tra bambini di coppie omosessuali ed eterosessuali.
Vuol dire che i risultati variano in base alla metodologia di ricerca?
Sì, gli studi quantitativi che usano scale e questionari danno un quadro uniformemente positivo e a-specifico dei figli di coppie omosessuali rispetto ai figli di coppie costituite da padre e madre. Invece le ricerche che utilizzano interviste forniscono un quadro assai diverso, evidenziando parecchie problematiche specifiche. Viene spontanea la domanda: come mai? I limiti metodologici evidenziati e in particolare l’utilizzo in prevalenza di campioni di convenienza rendono effettivamente poco attendibili i risultati?
Emergono anche aspetti in controtendenza?
Innanzitutto non parrebbe esserci una pressione esplicita della coppia omogenitoriale verso il proprio orientamento sessuale poiché essa, al contrario, manifesta in molti casi, per facilitare la vita futura dei figli, aspirazioni di tipo opposto. Il che non è né semplificante, né liberante per i figli che invece finiscono per essere intrappolati in alternative non prive di problemi.
Quali conseguenze si possono determinare?
Se percorrono l’orientamento sessuale della coppia si trovano a contrastare le sue aspirazioni e quindi la deludono, se invece percorrono l’itinerario opposto si trovano a navigare a vista, privi dell’esperienza di come si configura nel vivo (coi suoi pro e contro) la relazione intima tra uomo/donna che dovranno affrontare nella loro scelta adulta.
Tra i problemi psicologici messi in luce all’interno delle coppie omosessuali quello della cosiddetta ‘parentificazione’ dei figli sembra tra i più allarmanti.
È la ‘madre sociale’, in particolare, la figura che più mette in difficoltà perché ritenuta (non a torto) più debole, priva com’è di un posto nella filiazione. Non a caso infatti è questa presenza che costituisce problema quando si va alla ricerca del ‘genitore mancante’ di cui essa in qualche modo è percepita occupare il posto. Dai resoconti di cui disponiamo, pare che siano in questo caso i figli, per così dire, a farsi carico dei genitori. Essi, per non aggravare la loro condizione percepita come difficoltosa, si caricano del compito di difenderli e si trattengono dal manifestare gli inevitabili disaccordi e crisi che emergono in adolescenza. Insomma, essi affrontano in buona parte in solitudine le loro difficoltà di crescita impegnandosi ‘a far bene2, cercando di esibire un comportamento che venga ritenuto rispondente alla normalità e tengono per sé i molti interrogativi che emergono in questa fase della vita.