A distanza di cinque anni dall’ultimo album, il cantante di Latina torna con “Il mestiere della vita”. “Ho seguito gli insegnamenti di Lucio Dalla”
Tiziano Ferro “Amo l’amore che posso farci sono fatto così”
ERNESTO ASSANTE
ROMA
PRENDETE l’album, mettete le cuffie o accendete il cd player. Il mestiere della vita di Tiziano Ferro non è un album qualsiasi ma una bella confessione personale, un racconto in prima persona trasformato in canzoni. Canzoni che, come accade solo alla grande musica popolare, una volta registrate non sono più “personali”, ma diventano “collettive”, perché raccontano una parte di noi, dei nostri dolori, delle nostre gioie, delle nostre vite. Che Tiziano Ferro mescola con la sua per farla diventare un album ricco e intenso.
«Mi attribuisco il ruolo di mestierante della vita», dice lui, «alla lunga, negli anni, mi sono reso conto che l’unica responsabilità che mi sento addosso e quella di riportare nero su bianco la mia visione della vita, dell’esistenza, mi piace farlo sulla mia pelle, sento che a questo sono chiamato. Non posso dire se lo faccio bene o male, io penso di sì ma non è detto che ci riesca davvero. Di certo mi sento a mio agio in questo “ruolo”, mi viene naturale, sento di non poter fare diversamente ».
Quella di raccontarsi in pubblico, sempre e comunque, non deve essere una scelta facile.
«Quando abbracci questa condizione definitivamente non ne senti più il peso. Io sono passato dal subirla ad accettarla, e oggi finalmente ad amarla. Sinceramene questo cambio di atteggiamento è determinante per la mia vita e non è poi così doloroso. Trovo molto più complesso filtrare le informazioni, comprimerle, trasfigurarle. Mi sono reso conto che ogni volta che abbatto una barriera o un filtro e mi racconto apertamente, alla fine le risposte che ricevo sono belle, mi torna indietro accoglienza, calore. Quindi, niente mediazioni: verità e basta».
Anche per questo sono passati cinque anni dall’album precedente?
«Sì, mi sono preso un po’ più di tempo, senza contratto discografico, per muovermi con calma e lasciarmi sporcare, spostarmi in libertà. Mi sono detto: “non mi chiuderò in un castello in campagna per poi uscire e dire questa è la mia verità”. Ma non posso dire che sia stato facile. L’album è frutto di un processo faticoso, ma evidentemente ho trovato il mio modo».
E alla fine, dopo dubbi, indecisioni, passi avanti, oggi Tiziano Ferro si piace di più…
«Mi piaccio? Se lo dice lei ci credo! Di certo ho imparato a fidarmi degli altri, anche a livello spirituale, ho imparato a consegnare me stesso alla vita, al destino, all’universo, a Dio, se lo vogliamo chiamare così. Ho imparato ad accettare il risultato di alcune cose che non sono sotto il mio controllo, ho smesso di addossarmi la responsabilità di tutto. Delegare alla vita alcune cose ti fa vivere un po’ meglio. Così, all’inizio, l’idea del titolo dell’album era Il mestiere della pace, poi mi sono detto che stavo correndo troppo, non sono ancora arrivato alla pace. Ho imparato ad amare la vita: intanto parliamo di questo, parleremo di pace più avanti».
Ascoltando le canzoni si capisce che l’amore è e resta il motore della sua arte.
«È una sorta di condanna, non so se ne sono addirittura ossessionato. Ma mi sento come chiamato dalla vita a cantare l’amore, non riesco a fare altro. Lucio Dalla una volta disse a Samuele Bersani “per scrivere una canzone vera non puoi rifiutare il dolore e abbellirla a tutti i costi con il linguaggio poetico, il dolore lo devi capitalizzare”. È quello che ho fatto io senza nemmeno rendermene conto. Quando mi sono sentito vittima di un certo tipo di fatica nei rapporti ho usato la canzone, l’ho fatto inconsciamente, per me, ma è stata anche una vendetta per il dolore subito, magari la canzone mi porterà gioia, è un meccanismo che non ho mai razionalizzato, so solo che è così».
L’album è magnificamente in bilico tra grande melodia e elettronica. È stata una scelta o è avvenuto naturalmente?
«Direi che è successo, non ho fatto scelte razionali. Ho avuto il lusso di avere moltissimo tempo e questo tempo l’ho usato spesso per giocare con i suoni, ho ricomprato le cose che usavo a venti anni per fare i demo e tutti i demo li ho fatti da solo, giocando come veniva. Alla fine mi sono trovato in mano una quindicina di canzoni ».
Cinque anni sono veramente tanti in questo mondo che accelera sempre…
«Avevo bisogno di stare per fatti miei. Vivo in forte collisione con l’atteggiamento del mondo della comunicazione, fatto di social network, foto, video, sempre condivisi. È una cosa che alla fine mi disgusta e che trovo deprimente. Per me, sia chiaro, non per gli altri. Ma è un modo che appaga estroversi e esuberanti. Gli schivi e introversi come me fanno fatica a farsi largo. Ovvio, ho potuto permettermi di farlo, ho anche trovato persone che mi hanno capito e rispettato. Ho passato due anni senza contratto discografico e non ho avuto manager o altri che mi abbiano pressato. Consideri che non firmare un contratto significa perdere soldi, tempo, vantaggi. Ma se funziono con i miei metodi alla fine funziono meglio, è inutile andarmi contro. Penso di aver avuto ragione ».
PACE
Doveva intitolarsi “Il mestiere della pace” poi mi son detto che stavo correndo troppo. È ancora presto per la pace
IN PUBBLICO
Quando accetti una vita in pubblico non ne senti più il peso. È una condizione che prima ho subito, poi accettato, ora la amo
IL CONTROLLO
Ho imparato che non tutto è sotto il mio controllo, ho smesso di sentirmi responsabile per tutto
CONTRATTO
Ho passato due anni senza firmare un contratto E questo significa perdere tempo, soldi, vantaggi