Conservatore con manie da star
Il regista: non è inverosimile la Chiesa può tornare al passato
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
VENEZIA Un Papa che fuma in maniera compulsiva, si sveglia e mette le infradito, per colazione sorseggia una Coca Cola alla ciliegia: c’è da fidarsi? La Chiesa «povera» di Francesco può essere riflessa in un film su un Papa che indossa le Louboutin? No, ma per i guardiani dell’ortodossia cattolica sono altri i peccati della serie tv The Young Pope di Paolo Sorrentino. Dieci puntate dal 21 ottobre su Sky Atlantic. Uno degli eventi più attesi alla Mostra del cinema.
Accoglienza alla proiezione per i media: buona ma tutto sommato timida. Meglio la sera con il pubblico: sette minuti di applausi e tutti in piedi. La stampa straniera è generosa. Il Guardian : «Sorrentino ha fatto il suo intrigante Twin Peaks ». Il Times : «Acido e perfidamente divertente». Andrea Scrosati di Sky: «È la prova che la diga tra cinema e televisione non esiste più». Ma la Chiesa non può sorridere su un Papa che dice a un monsignore: «Non credo in Dio». Salvo aggiungere con sorriso mefistofelico: «Sto scherzando».
Un progetto ambizioso che divide. «Quali reazioni mi aspetto dal Vaticano? È un problema loro, non mio — dice il regista —, capiranno che è un lavoro onesto, senza sterili provocazioni o pregiudizi, sulle contraddizioni e le difficoltà di quel mondo, e di un prete speciale che è il Papa. Che il cammino della Chiesa verso la liberalità continui dopo Francesco è illusorio pensarlo, come è illusorio pensare che la Chiesa sia cambiata. Il mio Papa è inverosimile ma non troppo, è diametralmente opposto a Francesco, ma è nell’ordine delle cose che in un futuro non troppo lontano possa capitarne uno più conservatore. Di lati positivi la Chiesa ne ha, ma non abbastanza per raccontarli».
Ecco Jude Law, il Papa spiazzante di un film sorrentiniano doc, visionario, onirico, girato in inglese. Un cast di primo piano: oltre al divo («è stato bello essere un colore della tavolozza di Paolo, è un ruolo che mi spaventava»), Diane Keaton (assente al Lido), segretaria particolare del Pontefice: nel film indossa una t-shirt con il titolo della canzone di Madonna «Like a Virgin»; Silvio Orlando, segretario di Stato avversato da Papa-Law, è una specie di Jago che cerca di studiare i punti deboli del Pontefice, «perché gli uomini sono come Dio: non cambiano mai». Orlando pensa solo ai giocatori del Napoli che ha sulla suoneria del cellulare, ai soldi e al potere: «Non ho pensato al lusso di certi cardinali, ho pescato dal mio male interiore, pur non avendo super attici». Cécile de France è la responsabile del marketing del Vaticano. Sorrentino parla «dei segni evidenti dell’esistenza e dell’assenza di Dio, di come si cerca e di come si perde la fede, della grandezza della Santità, così grande da ritenerla insopportabile».
Un Pontefice spigoloso, imprevedibile («ho imparato a confondere i pensieri del prossimo fin da bambino»), solitario, contraddittorio, tradizionalista, che rinvia la prima omelia dal balcone di San Pietro, perché vuole essere irraggiungibile come una rockstar, invisibile come Salinger e Mina (parole sue). E infatti vuole restare nella penombra, meno ti fai vedere più diventi potente. Le sue prime parole ai fedeli raccolti in piazza sono severe: «Vi siete dimenticati di Dio, non vi sarò mai vicino, non ho nulla da dire a chi nutre dubbi, siete voi che dovete provare che Dio non esiste. Non vi indicherò nessuna strada: cercatela. Non so se voi mi meritate». Molte le scene forti: quando il Papa sogna (finalmente libero, è l’inconscio che «parla») di esortare i fedeli a masturbarsi, a usare contraccettivi e a inseguire la libertà e la felicità ognuno come gli va (come cantava Dalla), senza sensi di colpa; quando una guardia svizzera fa l’amore con la moglie, bionda come un angelo; quando il Papa-Law chiede al capo della congregazione per il clero (colui che forma i sacerdoti): sei omosessuale? E lui dopo un silenzio interminabile risponde: sì.
Habemus un altro Papam sullo schermo, dopo quello dubbioso e fragile di Nanni Moretti. Sorrentino indaga su «come si gestisce e si manipola il potere in uno Stato che ha come dogma e come imperativo morale la rinuncia al potere e l’amore disinteressato verso il prossimo». Jude Law si chiama Lenny Belardo e diventa Pio XIII, ha un «visino telegenico», parola degli anziani cardinali che cospirano nei giardini del Vaticano.
Giudicano questo primo Papa americano un mistero, incomprensibile come la Sacra Sindone, un «burattino mediatico» che vogliono manipolare. Il Papa si scontra col suo mentore, il cardinale Spencer: «Mi hai fatto fuori, dovevo diventare Papa io, sei solo un ragazzo con gli occhi blu, sono io che ho inventato i giochetti del Conclave». E allora perché non hanno fatto Papa te?, gli chiede Papa-Law. È l’allievo che, in ogni epoca e «scrittura», sacra o profana, cannibalizza il maestro.
Valerio Cappelli
Le frasi clou da Proust al fumo
Jude Law sogna di dire ai fedeli nella prima omelia: «Cosa ci siamo dimenticati? Di voi…. Usiamo i contraccettivi, lasciamo che i sacerdoti si sposino…»
Silvio Orlando (segretario di Stato): «Mando avanti la baracca che ha lasciato quel pescatore indeciso di Pietro»
Diane Keaton (la suora): «Ho letto che Roma è una frazione della Città del Vaticano»
Jude Law:Non è vero, ma lo sarà»
Jude Law:«L’enciclica è come la “Recherche” di Proust. Tutti la citano e nessuno la legge»
Jude Law:«Fumare nel Palazzo apostolico fu proibito da Giovanni Paolo II? Adesso c’è un nuovo Papa»
(V. Ca.)
Provocazioni, eccessi e giochi di potere: serie spiazzante che promette sorprese
di Paolo Mereghetti
Nelle prime due puntate un quadro complesso e divertente ma sopra le righe
Se il buon giorno si vede dal mattino, la serie televisiva The Young Pope di Paolo Sorrentino promette molte sorprese. Presentate al Festival fuori concorso, le prime due puntate iniziano con un nudo integrale del lato B (il Papa è appena uscito dalla doccia, per il suo primo giorno da Pontefice) e continuano con un discorso «programmatico» che invita al libero amore, all’aborto, ai piaceri del sesso.
Lo stupore dello spettatore si spegne quando scopre che è solo un sogno — non il nudo, però — ma così si prepara a un ritratto della vita vaticana dove può succedere di tutto. Come in effetti accade.
I primi 112’ minuti svelati (la serie completa andrà in onda su Sky a partire dal 21 ottobre) si svolgono nei primi due giorni di pontificato dell’americano Lenny Belardo (interpretato da Jude Law), salito a sorpresa al soglio pontificio col nome di Pio XIII praticamente cinquantenne: si aprono col discorso «sognato» e si chiudono con quello vero, baciato dal sole e ultra permissivo il primo, notturno e cupamente minaccioso il secondo, quello vero (sempre che in una puntata successiva non ci sia da ricredersi).
In mezzo le prime conoscenze con la macchina vaticana, guidata dall’«andreottiano» cardinale Voiello (Silvio Orlando), come lo statista democristiano, già protagonista del Divo , amante del potere, guardingo, mellifluo e naturalmente molto intrigante. Sono in effetti gli intrighi del palazzo quelli che hanno spinto Sorrentino (che firma anche la sceneggiatura con la collaborazione di Umberto Contarello per la parte «artistica» e di Alberto Melloni per quella «teologica») a immaginare questa serie.
E l’idea di un Papa giovane e americano risponde perfettamente al bisogno di scompaginare le certezze o le aspettative dello spettatore. Un Papa anche orfano, che permette l’ingresso in scena della suora che l’aveva allevato all’orfanotrofio, interpretata da Diane Keaton, e che Pio XIII sceglie a sorpresa come segretario particolare.
Abituati al cinema e alla sua compiutezza narrativa, si resta un po’ frastornati dalla possibilità di vedere solo due puntate sulle dieci previste, durante le quali Sorrentino lancia tutti gli ami di cui è capace.
Senza naturalmente rinunciare a quelle che sono ormai le sue immagini di marca: inquadrature improvvisamente eccentriche, squarci inattesi (bambini che vanno in pattini sulla pista degli elicotteri, suore che giocano al pallone), sorprese (il canguro, il Papa che fuma), vere e proprie gag (il tifo del segretario di Stato per il tridente del Napoli, non ancora orfano di Higuain).
E poi una bella dose di intrighi e di manovre intestine, fino alla lezione sui vantaggi dell’invisibilità fatta alla responsabile del marketing (Cécile de France). Un quadro complesso, indubbiamente divertente e decisamente sopra le righe (forse un po’ troppo, da quello che si è potuto vedere qui) dove però il Papa rischia di trasformarsi in un «politico» come ne conosciamo tanti.
«Errori dottrinali, quel Pio XIII è fuori dalla realtà»
VENEZIA «Questo film non è una tempesta perfetta per raccontare il Cristianesimo. Ma posso fare una premessa?», chiede don Luca Pellegrini, il critico cinematografico della Radio Vaticana. Prego. «Paolo Sorrentino è un grande regista, qui si confronta con le contraddizioni della Chiesa. Lo ritengo in buona fede, non mi interessa se sia credente o meno: ma perché fare un film su un Papa così intransigente e vendicativo, ora, mentre papa Francesco va nella direzione opposta del dialogo e della tolleranza? Ha un senso o è soltanto un’operazione mediatica? Il Papa non può essere questo».
Il Santo Padre si rivolge così ai fedeli nel suo primo discorso: Io sono servo di Dio, non vostro. «È sbagliato, il Papa è un mediatore, noi uomini incontriamo Cristo attraverso la mediazione della Chiesa». C’è un errore che reputa «gravissimo: non è verosimile che un Papa induca a rompere il sigillo sacramentale della confessione, chiedendo a un cardinale di raccontargli i peccati degli altri cardinali». Poi Pellegrini trova «macchiettistico continuare sugli scandali della Curia». Però esistono. «Nessuno li nasconde. A fronte di un prodotto confezionato in modo sublime, si omette di ricordare come il cammino della fede si fondi anche sul dubbio e sul triplice tradimento di San Pietro, di colui che la Chiesa l’ha portata sulle spalle». Un film non è un testo di teologia. «Però mi chiedo cosa sarebbe il mondo senza la Chiesa».
Il merchandising, l’oggettistica devozionale del Vaticano è uno dei temi. Ai piatti da 45 euro che propone di vendere nel mondo la responsabile del marketing, il Papa dice che è meglio un piatto semplice, bianco, senza decorazioni. «Interessante. Ma sembra che Sorrentino usi ciò che il suo Papa giustamente rifiuta». Papa-Law sogna la sua prima omelia, in cui l’inconscio gli fa dire quello che pensa, per arrivare alla libertà sessuale. «I sogni è utile farne per vederli fallire, e perché il loro fallimento ci serva d’insegnamento. Lo scrive Proust». E le suore che in una scena giocano a calcetto? «Avevamo già visto i cardinali in un torneo di pallavolo in Habemus Papam di Nanni Moretti».
V. Ca.