Andrea Carega
Dalla sua avventura ai Giochi di Rio 2016 l’azzurra Rachele Bruni torna a casa con un argento nella 10 km di nuoto e un primato: è la prima atleta olimpica italiana ad aver dichiarato la propria omosessualità.
«Ho dedicato la mia medaglia anche a Diletta: non ho mai fatto coming out ma non mi sono neanche mai preoccupata dei pregiudizi. Io vivo la mia vita con naturalezza», ha spiegato con un sorriso ancora euforica per il traguardo appena conquistato.
Ma nell’Italia del 2016, nonostante l’entrata in vigore della legge Cirinnà sulle unioni civili, che uno sportivo riveli la propria inclinazione sessuale è ancora una notizia.
«Dite che ci vuole coraggio? Non lo so, so solo che mi è venuto naturale pensare alla mia Diletta. E non ai pregiudizi della gente. Io l’ho sempre vissuta naturalmente, senza problemi. Lo sanno tutti, ma io non ho mai fatto dichiarazioni pubbliche», ha aggiunto l’atleta 25enne.
A dare la forza a Rachele sua madre Bruna: «Per un genitore l’importante è la felicità di un figlio, qualsiasi strada penda. Alle volte, l’ipocrisia è un’arma per proteggersi, sei costretto a non dire».
UN GESTO NATURALE. Andrea Carega, presidente della squadra di rugby gay-friendly ‘Libera’, che nel luglio 2015 fece parlare di sé perché due suoi giocatori erano stati ritratti sulla copertina della rivista Sportweek nell’atto di baciarsi, spiega a Lettera43.it: «Il fatto che Rachele abbia dedicato la medaglia alla compagna è un gesto naturale quanto quello dei suoi colleghi eterosessuali».
Ma quanto pesa un gesto così nella lotta per i diritti Lgbt? Per Carega è semplicemente «un atto importante perché dà visibilità al fatto che anche nel mondo dello sport l’omosessualità esiste. È anche segno che i tempi stanno cambiando rapidamente e pure i campioni olimpionici sono più liberi».
Saranno anche più liberi, ma di fatto sono pochi, pochissimi, ad aver fatto coming out.
Tra questi Nicole Bonamino, stella dell’hockey in-line.
Nel 2014 affidò le dichiarazioni sul suo orientamento sessuale alle pagine del sito di cultura lesbica Lez Pop. Fu una confessione aperta e serena.
Tuttavia lei stessa avvertì che dichiararsi omosessuali comportava «alcuni rischi. Perché finché giochi con la tua squadra non ci sono problemi, ma quando arrivi in Nazionale è un po’ diverso. A un Mondiale rappresenti l’Italia e se a qualcuno non piace il tuo orientamento sessuale potresti essere fuori dalla squadra».
IL CONI CONTRO L’OMOFOBIA. Non mancano comunque segnali positivi.
Nel 2016 il Coni ha emendato il regolamento per inserire il reato di omofobia nello statuto accanto al reato di discriminazione razziale.
E anche le grandi aziende si mobilitano per i diritti Lgbt nello sport. Adidas, per esempio, ha deciso di includere nei suoi contratti con i testimonial una clausola in base alla quale, nel caso decidano di dichiarare la loro omosessualità, l’accordo non sarà rescisso.
UNO SPORT MASCHILISTA. In Italia però è ancora difficile dirsi gay nello sport. Secondo Carega è un ambiente ancora molto maschilista in cui forse «manca una completa accettazione della parità dei sessi. Il pregiudizio vuole che il gay sia delicato, non capace negli sport. Caratteristiche che sono in genere accostate al mondo femminile».
Insomma, vige un’atteggiamento di chiusura: o sei come noi, maschio ed eterosessuale, altrimenti sei fuori.
Chi non risponde a quelle caratteristiche o tace e finge oppure non è ben accetto.
Lo stesso presidente di ‘Libera’ ricorda che «alcuni giocatori gay del nostro team non avevano mai provato a praticare sport di squadra in precedenza. Temevano di essere respinti».
LA COPERTINA FECE ‘SCANDALO’. E proprio per cercare di infrangere il muro dell’omertà e dell’ipocrisia nel 2015 nacque l’idea di quella copertina con il bacio di Stefano e Giacomo, i due giocatori che nella vita di giorno sono una coppia.
Le reazioni alla fotografia furono disparate: gli entusiasti salutarono il servizio come un’apertura, qualcuno invece la prese come un’invasione di campo.
Del resto Sportweek ha un pubblico generalmente maschile ed eterosessuale.
«Qualcuno bollò la foto come un attacco ai valori. Ma almeno abbiamo raggiunto un obiettivo», conclude Carega, «abbiamo sollevato un velo sull’omosessualità nello sport. Che esiste, ma che ancora oggi è difficile sdoganare».