«Non vedo l’ora di indossare la fascia tricolore e celebrare le prime Unioni civili». È uno dei sogni che a breve potrà realizzare Marco Alessandro Giusta, bovesano d’origine, che da giovedì sarà assessore alle Pari opportunità, Politiche giovanili, Università, Integrazione, a Torino, nella giunta guidata da Chiara Appendino.
Sulla Unioni civili lei però aveva un’opinione diversa dal Movimento Cinque Stelle.
«E’ vero. Non ho condiviso l’opposizione dell’M5S alla legge Cirinnà. Non sarà ottima, ma è stata un notevole passo avanti. D’altronde io non sono un militante dell’M5S. Non lo sono mai stato di nessun partito. In questa situazione mi considero un tecnico che si è messo a disposizione della politica».
Ci sono altri sogni o progetti, ai quali da assessore si metterà subito al lavoro?
«La mia intenzione è quella di non far calare progetti dall’alto, preconfezionati, per sottoporli a un confronto formale, sapendo che ci sarebbe ben poco da discutere. Voglio dialogare, dare vita a tavoli sui temi dell’integrazione, delle pari opportunità, dei diritti, dei giovani dell’università, avendo per ciascuno risposte specifiche ma lo stesso atteggiamento nell’approccio: quello dell’ascolto, della costruzione dal basso di soluzioni condivise».
Si aspettava la nomina?
«Devo dire che mi ha molto emozionato. E mi fa anche un po’ paura. Per la responsabilità che ne deriva, nei confronti di centinaia di migliaia di persone».
Torino è una città difficile?
«Torino è una città meravigliosa, che io amo e a cui devo molto. Che mi ha accolto da studente, da giovane omosessuale, da lavoratore. Che ha parecchi problemi. Ma anche la forza e la voglia di affrontarli. Non penso che la vittoria dell’M5S sia stata solo protesta. È stata determinante la voglia di cambiamento e la disponibilità di molti di prendersi la responsabilità di provare a cambiare, in prima persona. Per tanti aspetti, come la sensibilità nei confronti della comunità Lgbt, Torino ha lavorato bene anche nel passato. In questo caso mi sento di dire, ad esempio, che si parte da un passato favorevole».
Nel Cuneese lei è stato uno dei primi «militanti» nel movimento omosessuale; in anni più recenti, da presidente di Arci Gay a Torino e da responsabile del Gay Pride è diventato un punto di riferimento per il movimento Lgbt (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender).
«Più che punto di riferimento direi di aver avuto un ruolo di rappresentanza. Non solo della comunità Lgbt. Sono determinanti per me le esperienze fatte nel mondo del lavoro, nel call center di ’’Seat con voi’’, nel sindacato con la Cgil, il confronto e l’impegno sulle problematiche dei migranti, delle donne».
Ormai da quindici anni vive a Torino. Con il Cuneese che rapporto ha mantenuto?
«Intenso. Prima di tutto perché sovente vengo a Boves dalla mia famiglia (Marco ci sta rispondendo al telefono dalla stazione ferroviaria di Cuneo, in attesa di un treno per Torino, dopo aver visto cancellato per sciopero quello su cui avrebbe dovuto salire alle 15, ndr.). Perché a Borgo San Dalmazzo ho lavorato come commesso al ’’Self’’, devo dire in una condizione favorevole per gli orari che mi erano permessi e che mi hanno consentito di mettere insieme lavoro e studio all’università e impegno nella comunità gay. Perché ogni volta che torno a Cuneo, la vedo urbanisticamente più bella. Via Roma pedonale, per esempio, mi piace molto. Rispetto a Torino la mentalità rimane più ristretta e ci sono difficoltà di sensibilizzazione a determinate tematiche e logistiche: la provincia è grande ed è difficile, soprattutto per i più giovani, raggiungere centri di aggregazione. Ma ci sono anche segnali che dicono che si può migliorare».