Dalla rassegna stampa

Gay, sì dei giudici di Milano all'adozione figlia della compagna. Non è stepchild adoption

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Una domanda più che legittima forse, di fronte all’ultima sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Milano. Secondo i più critici questa sentenza avrebbe già legittimato la ‘stepchild adoption’ autorizzando la trascrizione in Italia dell’atto con cui una donna ha adottato in Spagna la figlia della sua compagna, nata con la fecondazione eterologa. A che serve dunque perdere tempo a discutere sull’approvazione del Ddl quando basta una sentenza della magistratura per riconoscere di fatto come valido un istituto non previsto dall’ordinamento italiano? Ma è azzardato parlare di riconoscimento di ‘stepchild adoption’ visto che si è in presenza soltanto del riconoscimento di un diritto acquisito all’estero.

Naturalmente la decisione è stata accolta favorevolmente dal mondo gay in particolare dall’Arcigay, da Famiglie Arcobaleno e dal senatore del Pd Sergio Lo Giudice, il quale ha affermato che “mentre la politica si avvita su se stessa in discussioni ideologiche”, un tribunale “svela come sia perfettamente coerente col nostro ordinamento giuridico un’adozione piena da parte di due genitori dello stesso sesso”. Oddio, non è che Lo Giudice abbia tutti i torti visto che viene da chiedersi che ruolo abbia il Parlamento nel momento in cui la magistratura, cui non compete la funzione legislativa, sembra sempre più colmare i vuoti normativi, forzando le decisioni e creando delle “situazioni di fatto”.

Il collegio della sezione Minori e Famiglia della Corte d’Appello (presidente Bianca La Monica, estensore Maria Cristina Canziani) spiega però nelle motivazioni che non è “contrario all’ordine pubblico un provvedimento straniero che abbia statuito un rapporto di adozione piena tra una persona non coniugata e il figlio riconosciuto del partner, anche dello stesso sesso”. E ciò perché, in primo luogo, va valutato “l’interesse superiore del minore al mantenimento della vita familiare”.
Le due donne italiane hanno iniziato una relazione nel ’99 e nel 2003 una delle due, attraverso una fecondazione eterologa, ha partorito una bimba. Dopo aver convissuto alle Canarie, assieme alla piccola, si sono sposate in Spagna con matrimonio civile nel 2009 e nel 2010, come consente la legge spagnola, la “coniuge della madre biologica” ha adottato la bimba. Due anni fa, però, le due donne hanno divorziato nel Paese iberico. E, sempre nel 2013, la donna adottante si è rivolta al Tribunale per i Minorenni di Milano “chiedendo il riconoscimento agli effetti civili interni dell’ordinanza di adozione spagnola della figlia”, ma i giudici nel 2014 hanno respinto l’istanza. Da qui il ricorso in appello.

I giudici di secondo grado, in prima battuta, hanno respinto altre domande presentate dalla donna, come “il riconoscimento e la trascrizione dell’atto di matrimonio contratto in Spagna” e “della sentenza di divorzio”. Il collegio, però, ha dichiarato l’efficacia dell’ordinanza spagnola sull’adozione, ordinando la trascrizione anche in Italia. E di conseguenza ha riconosciuto come valido anche “l’accordo regolatore” riguardante “le condizioni relative alla responsabilità genitoriale nei confronti della figlia”, che oggi ha 12 anni.
Per i giudici, infatti, va tenuto conto che la bambina “ha vissuto con entrambe sin dalla nascita, per quasi dieci anni (…) che da loro è stata allevata, curata e mantenuta e che con loro ha evidentemente costruito stabili e forti relazioni affettive ed educative”. Alla bimba, dunque, va riconosciuto, come scrive la Corte il “diritto fondamentale di continuare a godere dell’apporto materiale e affettivo delle due persone che da molti anni si sono assunte la responsabilità genitoriale nel suo interesse”. E se la madre adottiva deve avere “tutti i doveri e i diritti che derivano dalla filiazione naturale”, la piccola, concludono i giudici, “può godere, con sicuro vantaggio, del sostegno materiale non solo della madre adottiva, ma anche dei parenti della stessa”.
Punti di vista naturalmente che tuttavia, pur rispettando la decisione dei giudici, non possono non essere discutibili sotto molti aspetti. Ancora di più se si considera che altri giudici, quelli di primo grado avevano respinto l’istanza della donna a dimostrazione di come in punta di diritto non ci sia una giurisprudenza pressoché univoca e largamente condivisa.
Adesso la parola passa alla Corte di Cassazione cui spetterà quella definitiva.

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