Mi sarebbe piaciuto conoscere il Cardinal Martini. Mi sarebbe piaciuto chiedere a lui cos’è naturale e cosa non lo è, cos’è giusto e cosa sbagliato. E soprattutto, che ne pensa dell’omosessualità, visto che più cerco di capire cosa ci sia dietro i video e gli scritti contro il gender, più penso che si tratti di un insieme di argomenti senza fondamento, buttati lì per aumentare la cortina di fumo che nasconde il vero problema: l’omosessualità.
E che siccome ormai non sta bene giudicare male un gay o una lesbica, allora si cerca di deviare il discorso, utilizzando la tecnica della china scivolosa. Se ammettiamo oggi questo, chi ci assicura poi che un giorno non saremo confrontati a quest’altro? Due omosessuali si amano. Bene, che lo facciano in privato però. Perché pretendere anche un riconoscimento giuridico della propria unione? Tanto lo sappiamo perfettamente che è solo l’inizio. Prima ci sono le unioni civili, poi c’è il matrimonio.
E dopo il matrimonio, l’adozione. E dopo l’adozione, l’inseminazione eterologa. E dopo l’inseminazione eterologa la gestazione per altri, l’utero in affitto, i «bambini di plastica». Con che diritto un omosessuale chiede di diventare genitore? Da quando in qua esisterebbe un diritto ad avere figli? Legiferare sulle unioni civili è già una violenza, si pensa. Sarebbe l’inizio della fine della famiglia.
Ma perché mai concedere qualcosa a qualcun altro (ossia le unioni civili agli omosessuali) toglierebbe qualcosa a chi già ce l’ha (ossia distruggerebbe la famiglia tradizionale)? Mio fratello, il Cardinal Martini, lo ha incontrato a Gerusalemme e sono diventati amici. Cioè, non so se si possa diventare «amici» di un Cardinale. Fatto sta che Arturo era a Gerusalemme proprio negli anni in cui Martini era tornato all’Istituto Biblico. Tra il 2002 e il 2007. Proprio quando mio fratello rimetteva insieme i pezzi della propria storia personale.
Arturo è gay. E per anni aveva convissuto con la vergogna e i sensi di colpa. Quella vergogna e quei sensi di colpa che, pian piano, è poi riuscito a lasciarsi alle spalle proprio a Gerusalemme. Certe cose non le si dovevano nemmeno pensare a casa mia. Una famiglia normale, tradizionale, papà, mamma e figli. Genitori cattolici che avevano mandato i figli in una scuola cattolica. Cattolici e meridionali. Che si portavano dentro un catechismo imparato a memoria e tanti luoghi comuni. L’uomo deve, non deve, fa, non fa.
Esattamente come la donna. Questo è normale, questo no. Questo è naturale, questo contro natura. E allora era stata una tragedia quando negli anni Novanta, pian piano, tutto si era infranto: una figlia anoressica, l’altro figlio gay. Prima di ricominciare tutto da capo. E rimettere tutto in discussione. E capire che di normale e di anormale, nella vita, c’è ben poco. Come spiegava già il medico e filosofo francese Georges Canguilhem. Visto che ognuno di noi si porta dentro la propria «norma» e balbetta con quello che ha e quello che non ha, quello che è e quello che non è. Fino alla consapevolezza che ciò che ci tiene insieme, quasi sempre, è ciò che si coagula attorno a una parola o un’immagine, un tratto o una briciola, ciò che è intervenuto un giorno, all’improvviso, a coprire un vuoto.
Dicevo che mi sarebbe piaciuto incontrare il Cardinal Martini. Anche perché, della mia famiglia, solo io non l’ho conosciuto. Quando i miei genitori sono andati a Gerusalemme a trovare mio fratello, Martini li aveva ospitati a cena al Biblico insieme ad Arturo. «Non ha fatto altro che lodarlo e complimentarsi con noi per il figlio che avevamo», mi ha poi raccontato mamma. Che si commuove ancora oggi ricordando quelle parole e quei sorrisi.
E ora venitemi pure a dire che se mi batto per i diritti degli omosessuali e contro l’omofobia e la transfobia è perché mio fratello è gay, per evitare che anche agli altri dicano «frocio» come hanno detto a scuola a lui. Venite pure. Tanto in parte è così. […] Nelle posizioni che difendo, c’è sempre e solo il primato delle relazioni, quell’io con te che costruisce il tessuto del vivere insieme, quell’io sono diverso da come tu forse vorresti che io sia, esattamente come tu sei diverso da come io vorrei forse che tu sia.