Il regista parla del suo primo romanzo, appena uscito e già in ristampa
Parole in libertà
Il primo aquilone, i primi baci rubati, le estati languide sul Mar di Marmara, la fortuna di crescere circondato da donne con uno sguardo in più sul mondo
I SUOI film sembrano libri, la sua vita è un romanzo. Era inevitabile che Ferzan Ozpetek diventasse scrittore. È uscito da cinque giorni ed è già in ristampa Rosso Istanbul (Mondadori), storia della sua famiglia e delle mille sfumature dell’amore. Nato nel 1959 in Turchia, trasferitosi da trentasette anni a Roma, Ozpetek come regista e sceneggiatore ha vinto tutti i premi possibili, ha diretto Aida e Traviata, il MoMa di New York gli ha dedicato una retrospettiva. Il suo esordio letterario richiama le atmosfere dei suoi successi, dal primo film Il bagno turco (1997) a Allacciate le cinture, che uscirà a marzo 2014, passando per La finestra di fronte, Cuore sacro, Mine vagantie il suo tanto amato Saturno contro.
Nel libro un regista turco che vive a Roma, alter ego dell’autore, torna a casa a Istanbul e si perde tra i ricordi. La madre bellissima e malinconica, il padre misteriosamente scomparso e altrettanto misteriosamente ricomparso dieci anni dopo, la nonna che sembrava una principessa ottomana, le “zie”, amiche della madre assetate di vita e passioni, la fedele domestica Diamante. Ozpetek, com’è nato Rosso Istanbul?
«Due anni fa ero ospite da Fabio Fazio. Dietro le quinte gli ho raccontato di mia madre che, dopo un’operazione sbagliata, era stata in coma. Quando si è ripresa era seguita da un’infermiera, due badanti e un giovane fisioterapista. Lei, 83 anni, mi raccontava di lui, ventiseienne: se n’era invaghita e aveva cambiato gusti. Dai vestiti beige con lo smalto trasparente era passata alle tute rosse, che mi chiedeva di regalarle. All’improvviso era diventata una vedette e per me e mio fratello era un sollievo saperla di nuovo felice. Con Fazio ne parlammo in trasmissione, subito dopo mi chiamò Nicoletta Lazzari (editor Mondadori) chiedendomi di scriverne».
Aveva già pensato di farne una sceneggiatura, questo libro potrebbe diventare il suo prossimo film. Quanto c’è di autobiografico?
«Come nei miei film, c’è un impasto di vita e trasfigurazione del reale. La storia della mia famiglia e della mia giovinezza sono vere: il primo aquilone, il primo film, i primi baci rubati e proibiti, il profumo di tigli e le estati languide sul Mar di Marmara. E la fortuna di crescere circondato da donne, che considero superiori agli uomini, dotate di un sesto senso, di uno sguardo in più sul mondo. Il personaggio di Anna, un’italiana che il regista incrocia in aereo e incontra più volte durante la sua permanenza a Istanbul, è fiction, ma ruota sempre attorno all’amore ».
In copertina c’è scritto: “Niente è più importante dell’amore”. Conferma?
«Stavo girando Magnifica presenza, erano le sette e mezza di mattina a Cinecittà. Mi chiama la badante di mia madre e penso al peggio. Invece me la passa e la sento allegra. Voleva dirmi che il senso delle cose lo troviamo solo nell’amore, di non dimenticarmi mai che l’amore conduce tutto. Meglio un incendio che un cuore in inverno».
Come stanno le sue due patrie, viste dall’interno?
«Nei mesi scorsi ho sostenuto su Twitter il movimento di Gezi Park, nato per difendere un parco storico di Istanbul e diventato il simbolo della battaglia contro il governo. In Turchia c’è gente che riesce a dire no. In Italia abbiamo perso la coscienza politica, sembriamo addormentati. Penso anche alle questioni irrisolte nelle relazioni, dove i diritti andrebbero garantiti a prescindere dal sesso delle persone. Ma una rivoluzione è sempre possibile».