Dalla rassegna stampa Libri

DIARIO DI UNO STRALUNATO. Sedaris: “Scriverò altre storie assurde e non sposerò Hugh”.

L’autore americano in arrivo in Italia parla del suo nuovo libro, del rapporto con il compagno della sua famiglia e della politica di Obama.

NEW YORK. L’ottava raccolta di racconti di David Sedaris ha un titolo buffo e incomprensibile con il quale l’autore dichiara subito lo stile del libro e il senso dell’assurdo che contraddistingue il suo sguardo sull’esistenza: Let’s explore diabetes with owls (letteralmente “Esploriamo il diabete con i gufi”). Si tratta ancora una volta di storie diversissime, tenute insieme dall’approccio stralunato e ostinato di Sedaris, che sembra non stancarsi mai di parlare del compagno Hugh, paziente vittima delle sue idiosincrasie, di cosa significhi vivere all’estero per un americano, e del difficile rapporto con il padre, che lo cacciò di casa quando si rese conto della sua omosessualità. Sono storie imprevedibili e sempre divertenti, nelle quali tuttavia compare, per la prima volta, un velo di malinconia. «Me ne sono accorto anch’io, ma solo dopo averle scritte» racconta prima di arrivare in Italia: domenica 7 luglio sarà a “Collisioni”, il festival di Barolo, in Piemonte, (dove dialogherà alle 18.30 con Lella Costa). «Quando le leggo in pubblico, vedo di aver scritto anche cose dolorose, ma gli spettatori continuano a ridere. E questo fa ridere me».
A cosa attribuisce questa novità?
«Per anni ho visto spettacoli esilaranti di comici dei quali, una volta tornato a casa, non ricordavo nulla. Mi sono chiesto se anche i miei racconti fossero così: ho cercato di dargli una sostanza diversa, rimanendo comunque sincero con me stesso».
Da dove nasce il titolo di questo ultimo libro?
«Nel precedente book tour, una signora mi chiese di firmare il libro dettandomi una dedica per il figlio: “esploriamo le possibilità”. Ho iniziato a scrivere, ma dopo
“esploriamo” ho avuto un moto di ribellione e ho scritto “il diabete”. A quel punto ho visto la faccia sconcertata della signora, alla quale ho replicato aggiungendo “con i gufi”. Quando ho riconsegnato il testo, lei ha sorriso tutta contenta, e io mi chiedo cosa possa aver pensato il figlio. Io nel frattempo avevo trovato il mio titolo».
New Republic l’ha accusata di inventare le sue storie.
«Certo che invento, e lo farei anche di più, se gli editor del New Yorker non mi bacchettassero. Credo tuttavia di essere sincero rispetto alla verità intima dei personaggi. Non vedo quale sia la grande notizia nel fatto che un umorista inventi…».
Un critico ha definito i suoi racconti come libri da leggere prima di andare a dormire, perfetti per “bambini che bevono”.
«La domanda da fare è: quanti sono i bambini che bevono?».
La risposta che mi viene in mente è che i suoi libri hanno venduto milioni di copie.
«Ecco, non credo che i lettori siano solo bambini ubriachi».
È vero che nasce tutto dal suo diario, nel quale appunta tutto?
«Sì, raccolgo le notizie più strane, come quella di un giornale inglese, che titolava con enfasi “Olive pericolose possono essere messe in vendita”».
Lei si ritiene un realista, o deforma la realtà a fini umoristici?
«Il mondo è assurdo, basta guardarlo con attenzione. Sono un realista che ama elaborare sulla verità».
Da chi ha imparato a far ridere?
«Dalle persone che incontro ogni giorno: Bukowski diceva: “La gente è il più grande spettacolo del mondo. Ed è gratis”. Ma se ti riferisci ai maestri, ho rubato molto a Billy Crystal e a Whoopi Goldberg ».
Ritiene che la satira politica sia una forma nobile di ironia, o che l’elemento di critica la appesantisca e la renda meno alta?
«Non è meno nobile, altrimenti dovremmo considerare minore anche Jonathan Swift. Ma anche la satira sociale è politica».
La satira su Obama è molto inferiore rispetto a quella su Bush: si tratta di una
questione di stima, o del fatto che gli scrittori siano più vicini politicamente all’attuale presidente?
«Inutile negarlo: gran parte degli autori di satira sono liberal, quindi hanno un atteggiamento di riguardo verso Obama. I comici vicini ai repubblicani sono pochi e mi sono sempre chiesto se ad esempio Dennis Miller non mi faccia ridere perché non è divertente o perché dice cose lontane dalle mie idee».
Maureen Dowd ha scritto sul New York Times che la presidenza Obama «non è una versione light di quella Bush, perché non c’è nulla di light in quanto sta facendo»…
«Un comico può essere tutto, ma non ipocrita: provi a immaginare la ribellione, l’indignazione e la furia se Bush avesse fatto alcune delle cose che ha fatto Obama: i droni, le uccisioni dei terroristi, le promesse non mantenute su Guantanamo, e questo ultimo scandalo che coinvolge milioni di persone spiate. A volte si ha l’impressione di assistere al Trono di spade».
Cosa dice suo padre quando continua a scrivere di lui che è un omofobo?
«Nulla, perché sa che le storie che pubblico mi danno da vivere con agio, cosa per lui fondamentale. E poi sa che lo amo».
In Memory Laps racconta di quando sua nonna fu investita da un camion: non si sa se rimanere agghiacciati o ridere.
«Chi ne rimase agghiacciata fu mia madre quando scoprì che mia nonna era sopravvissuta. Si odiavano, e quando mi offrii di tenere compagnia a mia nonna durante la convalescenza, mia madre mi disse “non se ne parla proprio, a questo punto l’unica speranza che ho è una bella caduta” ».
In I Break for Traditional Marriage, un eterosessuale newyorchese è sconvolto dalla liberalizzazione del matrimonio gay al punto da uccidere. Qual è la sua opinione sul tema?
«Che il matrimonio omosessuale debba essere consentito, ma che nessun omosessuale debba sposarsi. Ma veramente vogliamo un’istituzione come il matrimonio? È una battaglia su una questione ideale, ma in realtà nessuno lo vuole, come nessuno vuole andare a un matrimonio. Anche il più accanito degli omofobi deve riconoscere che i gay non costringono gli amici a intervenire ai loro matrimoni con uguale ostinazione».
Come definisce la sua unione con Hugh?
«Una specie di coppia che non si sposerà ».


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