Dalla rassegna stampa Cinema

Ozpetek, amore e matrimonio «L'anima vince sulla passione»

«Allacciare le cinture» è un viaggio tra le turbolenze sentimentali … L’elemento omosessuale stavolta è periferico e nasce dove meno te lo aspetti…

ROMA — «Io rubo le storie per trasformarle in film», dice Ferzan Ozpetek. Una sera invitò a cena a casa sua una cara amica cinquantenne. «Non stava bene fisicamente, per un incidente aveva subìto quasi una trasformazione fisica. Le chiesi come si trasformano i rapporti nel tempo, come cambiano». L’amica, guardando negli occhi il marito, rispose: «Ancora mi desidera». «Questa cosa ebbe su di me l’effetto di una bomba, mi commosse». L’idea del suo nuovo film, il numero dieci, è partita da qui. Ozpetek per la prima volta racconta una storia eterosessuale, «ma poteva essere anche tra due ragazzi, il punto è l’essenza dell’amore. L’amore che passa attraverso l’anima e non il corpo. Il titolo, Allacciate le cinture, richiama la turbolenza. Che nel nostro caso può essere un incidente o una malattia, comunque un momento drammatico che viene dall’esterno e i personaggi non possono più far finta di niente».
C’è una storia d’amore tra Kasia Smutniak e Francesco Arca, l’ex tronista. Il regista dice di ignorare il suo passato in tv: «A me interessa il suo volto magnetico, cinematografico». I due protagonisti sono «asimmetrici»: per diversità di carattere, per approccio alla vita e all’amore. Un’opposizione nutrita dalla bellezza e dalla scoperta di difetti all’interno della bellezza. E andando avanti con gli anni, come in molti rapporti, passa una serie di tappe legate all’abitudine, al calo del desiderio.
Ci sono due personaggi e un gruppo di parenti e amici che li circondano (è la coralità timbrata Ozpetek), costretti a fare i conti con una grande turbolenza della vita, e a porsi la domanda: a che punto è il nostro amore? Come uno specchio che ti rimanda un’immagine di te e della coppia che non vorresti avere. Hai tutta un’altra fantasia ma intanto ti chiedi: perché siamo arrivati a questo punto? Dopo tanti anni, che cosa diventa un progetto di vita in comune? «Il mio film avrebbe potuto intitolarsi Come eravamo», dice Ozpetek. Lo provochiamo: è la prima volta che parla di una famiglia normale? Il regista risponde con una battuta della «nonna» Ilaria Occhini nel suo precedente film Mine vaganti: «Che brutta parola, la normalità».
Kasia interpreta una donna moderna che lavora in un pub, dinamica, intelligente, una che tende a risolvere i problemi, ha un approccio quasi maschile alle cose. Arca fa il meccanico, «è una farfalla, un puro corpo che si aggira inconsapevole della sua bellezza», pieno di pregiudizi, non si prende responsabilità, il più fragile tra i due. Il terzo protagonista è Filippo Scicchitano, l’amico del cuore di Kasia che ha un rapporto conflittuale con Arca, una forma di gelosia reciproca. E dunque il regista con le immagini insinua una domanda: «Un’amicizia forte non può essere anche una forma di amore?». Kasia, con Scicchitano e Carolina Crescentini, lavora nel pub. Poi ci sono Elena Sofia Ricci, Paola Minaccioni e Francesco Scianna nel ruolo di un giovane benestante e prima che la ruota dei sentimenti giri da un’altra parte è lui il fidanzato di Kasia, mentre la Crescentini è fidanzata con Arca. Carla Signoris è la mamma di Kasia, una famiglia di Lecce che non se la passa più bene come una volta. L’elemento omosessuale stavolta è periferico e nasce dove meno te lo aspetti.
Ferzan è tornato a lavorare per la sesta volta con Gianni Romoli (cosceneggiatore e coproduttore con Tilde Corsi, oltre a Rai Cinema), che dice: «Il repertorio degli sviluppi amorosi comprende un po’ tutto. Se è una storia di tradimenti? Anche. Ma come in tutti i film di Ferzan, la realtà viene vista con occhi diversi». Dentro ritroviamo qualche spezia orientale da tre film precedenti, Le fate ignoranti ovvero il film che lanciò il regista italo-turco, La finestra di fronte per le dinamiche dei coniugi e Saturno contro per il tema della borghesia giovanile che non si parla più. «Realizzare un film è come cucinare», dice Ferzan che nella cucina della sua casa ha girato alcune delle scene più belle dei suoi film, «metti gli ingredienti giusti, ma non è detto che mescolandoli insieme prendano sapore». Il mood del film è quello di sempre, la tenerezza, l’urgenza del sentimento, la morbida voluttà; poi cala il jolly, ovvero la sorpresa che spariglia il mazzo, e alla fine scende la lacrima, «e non sai se piangi o se ridi».
Ozpetek mette sempre davanti a ogni logica la sua ombra emotiva, l’istinto. «Col passare del tempo, l’asticella si alza, senti la responsabilità e le paure aumentano anziché diminuire. È come se ci fossero due registi in me. Uno irrazionale che si butta e l’altro che si chiede, ma sarai capace di raccontare questa storia?». Quando comincia a girare, l’«io» si ricompone e le insicurezze svaniscono.

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