Dalla rassegna stampa Libri

IL VANGELO APOCRIFO DEL GOVERNATORE

… la biografia del primo sindaco omosessuale di un’importante città del meridione…

Madre addolorata, madre affamata, quella madre che nel gennaio 2010 prima di morire gli chiese: «Figlio mio che è successo? Ti vogliono ammazzare. Da quel giorno mia madre smise di parlare e di mangiare. Aveva deciso di morire rifiutando il cibo». La venera infatti come Pasolini faceva con la madre Susanna, come il Cristo con la moglie di Giuseppe e non si creda un azzardo o un iperbole l’accostamento dato che è lo stesso Crocetta ad ammettere che da giovane «a un certo punto accarezzai perfino l’idea di diventare sacerdote », idea subito abbandonata dopo un atto d’insubordinazione contro il maestro di religione.
E se non fosse la biografia del primo sindaco omosessuale di un’importante città del meridione e primo governatore siciliano ex comunista o ancor di più il «manifesto del metodo Crocetta», come egli stesso lo definisce, starebbe benissimo nello scaffale dei romanzi di formazione con tanto di protesta alla Huckleberry Finn, quando un Crocetta appena quattordicenne decise di abbandonare il campo diocesi di Montagna Gebbia, vicino Piazza Armerina, dove stava svolgendo gli esercizi spirituali, e incamminarsi verso casa. Fece quarantuno chilometri a piedi dice, ma dopo si liberò dalla predicazione assurda dei preti per abbracciare l’altra chiesa, il Pci che come accadde a Pasolini lo processò per la sua diversità. E però è forse la prima volta che questo Crocetta che racconta Crocetta riesce a liberarsi della sua omosessualità ostentata, quella diversità che in campagna elettorale non esitava a esibire fino al parossismo con tanto di grottesco «voto di castità» per il bene della Sicilia. Così c’è spazio perfino per l’amore provato verso una ragazza prima di «capire che la bellezza potesse stare altrove», ed è un amore di gioventù, quella gioventù che per Crocetta è sempre contro, “non ci sto”, la smorfia del monello che infatti rifiuta il grembiule, che non accetta il nome Rosario (nome che reputa adatto a una donna) o che si adonta quando il padre Gaetano, operaio all’ente acquedotti, deve chiedere “un favore” a un notabile democristiano per trovare lavoro, favore che puntualmente il padre ricambia con il voto. C’è infatti tutta la famiglia Crocetta in questo suo libro, il fratello Salvatore eletto senatore per tre legislature con il Pci, Paolo, saldatore colpito da una menomazione sul lavoro e Zino, fratello che alla stregua di quello di Bersani, decide di dimettersi da vigile urbano a Gela non appena Rosario diventa sindaco. A sua volta non può immaginare la sua nuova giunta come un’altra famiglia, quasi è una necessità ricrearla. Sarà per questo che da governatore non può fare a meno di Michela, che starebbe per Michela Stancheris la segretaria che diventa assessore al Turismo, di Elisa Nuara, sua legale e adesso consulente, di Antonio Malafarina, ex questore fratello nella lotta alla Stidda a Gela. E che dire ancora di Antonio Presti, mecenate di Fiumara d’Arte, proprietario di quell’albergo a Tusa divenuto luogo dell’anima di Crocetta già prima di essere eletto, la cui «amicizia, dopo l’elezione, diventerà ancora più solida oppure subirà una brusca frenata», profetizzava Crocetta quando scriveva. Ma paradossalmente è proprio quando Crocetta parla di mafia, quella mafia che lo ha condannato a morte, che esce fuori il Crocetta più affettato, quello che pretende di riconoscere il mafioso a partire dalla carne che mangia o dalla camminata, perché quando un uomo si «annaca è un chiaro messaggio». E si arrampica perfino nella semiotica «l’annacata è una sorta di marcia barocca con la gamba che si alza in modo aggraziato e lento e significa: io non ho paura». Non elude, anzi risponde alle accuse che lo vogliono da giovane amico di Emanuele Celona, mafioso proprietario di una libreria a Gela che Crocetta avrebbe aiutato con il patrocinio nella sua veste di assessore alla Cultura del comune. Proprio in questa occasione la “religiosità” che impregna il libro si fa “metodo” con tanto di riferimenti alla non violenza di Danilo Dolci, uno spruzzo di francescanesimo, digressioni sul ruolo delle processioni in Sicilia, manco fosse Leonardo Sciascia. Crocetta rivendica il ruolo di “ammonitore” nei confronti di qualsiasi mafioso che potrebbe essere “redento” ed ha perfino un attimo di compassione per la fine tragica del boss Emmanuello, quel boss che progettava di ucciderlo.
Tuttavia la sua anomalia rimane e stordisce, semmai si può dire che questa biografia la aumenti. Strizza l’occhio ai grillini, ma non esita a difendere l’alleanza con l’Udc decuffarizzata, si definisce proletario ma sarebbe pronto, ascoltate un po’, a privatizzare i teatri e i musei («se la Regione non riesce a gestirli privatizziamoli»), se potesse vieterebbe i sondaggi, vive di piazza ma non ha preconcetti verso i «salotti». Ed è senz’altro un’evoluzione siciliana, è l’evoluzione di Leoluca Orlando senza averne la sua cultura, è romantico pioniere come Emanuele Notarbartolo a cui fa riferimento esplicito, possiede la velleità dei più astuti politici isolani che hanno sempre voluto affrancarsi dai partiti, è arruffapopolo come un Ignazio Buttita al punto da scrivere poesie, è machiavellico ma addolcito dall’utopia e dalla contestazione. Rosario Crocetta è apocrifo, discutibile come un vangelo e questo libro il suo vangelo. Il vangelo secondo Rosario.

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