Dalla rassegna stampa Libri

Crocetta: la mia vita, i miei sogni

Diversità. «Un tema sempre ricorrente nella mia vita che sono riuscito a trasformare in valore aggiunto»

Una autobiografia sulla sua gioventù, sulla lotta alla mafia di Gela, sul suo ingresso in politica

Non so dove abbia trovato il tempo il presidente della Regione Rosario Crocetta, Saro per gli amici, di scrivere questo libro dal titolo «E io non ci sto», so soltanto che dentro c’è la sua vita e la vita di una grande città come Gela e in tutto questo c’è della poesia, perché i sogni, i traguardi, i tormenti di un’esistenza possono essere una poesia. Forse mi fa velo la mia personale amicizia con lui, ma debbo dire che è un libro bellissimo e che nessuno avrebbe potuto scriverlo, se non lui. In questo libro edito da Longanesi non c’è nessun «ghost writer», il libro è suo, la vita è sua, la poesia è sua. Ed esordisce dicendo: «Quello della diversità è un tema sempre ricorrente nelle vicende della mia vita. Una condizione umana che solo oggi e in maniera molto parziale sono riuscito a trasformare da motivo di discriminazione, e spesso di calunnia, in valore aggiunto».
Era testardo e determinato fin da ragazzo. Ai Salesiani serviva messa e aveva accarezzato il proposito di entrare in seminario, ma le sue idee non venivano accettate dal suo insegnante di religione che lo espulse dalle lezioni. E fu così che, sentendosi tradito, decise di iscriversi al Pci «non certo perché avessi intenzione di aderire al marxismo, ma perché vi trovavo una spinta verso quelli che ponevo istintivamente come miei ideali, l’onestà e la giustizia sociale».
Da giovane operaio dell’Eni aveva costituito con l’amico Gianni Villari una delle federazioni comuniste più grandi e attive del Paese. Aveva 25 anni quando durante un’assemblea di partito un alto dirigente del Pci arrivato a Gela sostenne che la sua omosessualità rischiava di coinvolgere il partito in uno scandalo. «Mi trovai di fronte questo austero e tronfio burocrate di partito, un uomo molto alto che mi fece sentire piccolo piccolo, colpevole di un reato incredibile: voler essere me stesso. Mi chiese brutalmente: “Tu sei omosessuale? ” e io gli risposi: “E a te che te ne frega? “. “Me ne frega perché il partito verrà travolto da uno scandalo”».
Fu così che per un certo periodo si allontanò dal Pci. Della sua esperienza politica dice che «la forza che ancora una volta mi spinge a mettermi in gioco è la voglia di misurare la mia passione e la mia esperienza politica con un profondo impegno che voglio assumere con questa terra e con la sua gente: liberare le energie positive di questo popolo ospitale, ottimista e vitale. Per quanto rispetti e ammiri Leonardo Sciascia e la sua opera sono sempre stato convinto che sbagliasse parlando di irredimibilità dei siciliani. Credere in una Sicilia che cambia dev’essere possibile».
Ha uno staff personale minimo, due giovani assistenti come Giuseppe e Michela – da pochi giorni assessore al Turismo – che dettano i tempi delle giornate e Loredana che tiene la «base» di Gela, là dove tutto è nato e cresciuto, in mezzo ai drammi di mafia e ai tormenti. Crocetta viene da una famiglia particolare. Il padre lavorava all’Ente Acquedotti, la madre badava ai figli: il maggiore era Salvatore che fu senatore del Pci, Paolo era saldatore all’Enel e perse una gamba nel crollo di una gru, Zino aveva una passione per la meccanica. Era diventato ufficiale dei vigili urbani, ma si dimise – e non volle sentire ragioni – quando Rosario divenne sindaco.
Rosario era il più piccolo, il passerotto della famiglia. «Mi volevano tutti bene, e in famiglia mi sentivo sicuro e protetto. Quando andai a lavorare a Pisticci mio padre, che pure era un uomo forte e severo, si mise a piangere. Quando sentì che stava per morire. Mi chiamò da casa. Mi volle accanto, mi sorrise, mi strinse la mano e a poco a poco cominciò a spegnersi. Non avevo mai visto un uomo morire. Morì con il sorriso sulle labbra, un sorriso per me consolatorio. Nel gioco paradossale della vita quelli sono stati i momenti più teneri che ho vissuto».
Crocetta ha costruito il libro prendendo via via appunti per fissare nella memoria alcuni momenti della sua vita. Parla della difficoltà che ebbe di diventare il candidato ufficiale del Pd e della sua meraviglia nel vedere aumentare a migliaia le adesioni in rete sul suo nome. Ha toccato anche l’argomento mafia, non tanto perché Cosa Nostra l’ha condannato a morte, ma perché il suo carattere si è forgiato in quegli anni terribili. «Tornai nella mia città alla fine degli anni 80, nel pieno della guerra di mafia. Fra Vittoria, Gela e Agrigento aveva preso piede una nuova organizzazione criminale, la Stidda. Gli stiddari, originariamente pastori, erano decisi a tutto pur di sconfiggere il dominio storico di Cosa Nostra, il cui capo, Giuseppe Madonia, cominciava a sentire vacillare il suo trono. Gli equilibri si ruppero per gli appalti della diga Disueri, ne scaturirono cinque anni di guerra. L’episodio più cruento avvenne in pieno centro di Gela nel novembre 1990: un commando di killer giovanissimi entrò in una sala giochi e uccise otto ragazzini. Mi trovavo a cento metri e ho ancora negli occhi tutto quel sangue e i cadaveri di quei ragazzini. Mi telefonò la mia amica Silvana implorandomi straziata: “Vieni, vienilo a vedere mio figlio Emanuele accoltellato e bruciato”. Avrebbe compiuto 16 anni il mese dopo. Mi chiesi perché la mia città, che era sempre stata una città operaia e di faticatori, si era ridotta in quello stato».
Eletto sindaco, le minacce mafiose arrivavano anche durante le processioni, con i boss che stavano dietro Crocetta per incutergli timore e far capire alla gente che comandavano sempre loro. Ma Crocetta resistette, rivoluzionò il sistema degli appalti e fece piazza pulita con l’aiuto del commissario di polizia Antonio Malafarina, attuale capogruppo del Megafono.
«Per farcela bisogna guardare in alto. Verso quel cielo che ci osserva da millenni, che non giudica né assolve. Mentre ormai i risultati della mia elezione sono certi, esco dall’auto blindata e sono felice di essere raggiunto da un inatteso spruzzo di pioggia che cade dolce come un perdono».

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