Dalla rassegna stampa Cinema

SUNDANCE · In concorso il debutto di Alex Krokidas «Kill Your Darlings». Ritmo jazz per la beat generation

E il doc sulle Pussy Riot

Sullo sfondo di una rivoluzione culturale, l’omicidio in cui rimasero coinvolti Ginsberg, Kerouac e Burroughs

«Diversità» è la parola che Robert Redford ha usato di più, giovedì mattina, nella conferenza stampa d’apertura dell’edizione 2013 del Sundance Film Festival. 119 film da un po’ tutto il mondo, circa la metà dei quali diretti da donne e con un totale complessivo di 51 esordienti. Sono ben 22 quest’anno i titoli che arrivano dal Lab, il «cantiere» del Sundance (cuore del «suo» progetto, dice sempre Redford, seme da cui è nato tutto, nel 1980), una fitta rete di seminari e workshop che, oggi contribuisce finanziariamente al lavoro di circa 400 artisti all’anno. Ma, con 22 film su 119, realizzati se non proprio in casa sicuramente secondo le precise linee estetiche e produttive del progetto Sundance, la diversità va a farsi benedire molto in fretta. È questo, spesso, il problema del festival, in cui bisogna sempre subire una dose letale di film brutti o insignificanti, e molto uguali tra di loro, per trovarsi davanti un Beasts of the Southern Wild o, via skype da Mosca, Katia Samutsevich, come è accaduto venerdì sera dopo la proiezione di Pussy Riot – a Punk Prayer, di Mike Lerner e Maxim Pozdorovkin, un piccolo documentario sul processo al gruppo punk/situazionista russo (che, promette Katia nonostante le proteste del pubblico di qui, non farà un disco perché non commercializza la propria arte). La «diversità»: non diversa era sicuramente il problema di uno dei film d’apertura del festival, May in the Summer, di (e interpretato da) Cherien Dabis (già a Sundance qualche anno fa con Amreeka ), squarcio giordano/americano con giovane scrittrice alle soglie di un matrimonio da tenersi ad Amman, con spruzzi di conflitto religioso, culturale, famigliare, sesso e commedia dosati in modo da non offendere nessuno e blindati da un cast internazionale «di classe» di cui fanno parte Hiam Abbass, Alexander Siddig e Bill Pullman. Più riuscito (in concorso anche lui), il debutto al lungometraggio di Alex Krokidas, Kill Your Darlings, e l’ultimo di un’onda di film sulla beat generation di cui fanno parte The Howl (qui a Park City solo qualche anno fa), On The Road di Walter Salles, e un altro titolo di Sundance 2013, Big Sur . Ambientato nel 1944, in una New York tutta giocata sull’asse della metropolitana che, dalle austere aule della Columbia University, portava gli studenti alla boheme intellettuale e «dissolute» del Village. Il film di Krokidas illumina la nascita di una rivoluzione letteraria sullo sfondo di un omicidio famoso in cui rimasero coinvolti Allen Ginsberg, Jack Kerouac e William Burroughs e, nel suo mix di queer cinema, melodramma, ricostruzione d’epoca, cronaca nera e passione per l’arte vissuta pericolosamente, porta in modo molto visibile il marchio estetico/poetico della sua produttrice, Christine Vachon, una presenza storica del Sundance, dove è stata musa, tra gli altri, di Todd Haynes, John Cameron Mitchell, Mary Harron, Kimberly Pierce e Rose Troche. Una specie di «musa» è anche al centro di Kill Your Darlings, che apre nel grigiore suburbano del New Jersey, con Allen Ginsberg diciottenne (Daniel Radcliff: di Harry Potter ormai ha solo gli occhiali) in procinto di scavalcare l’Hudson verso la Columbia, lasciandosi indietro una madre debole di mente (Jennifer Jason Leigh) e un padre poeta. Anche Allen vuole un futuro nella poesia, e il catalizzatore che gli permetterà di immergere i suoi istinti whitmaniani negli umori della New York beat è un brillante, indisciplinato compagno di scuola, innamorato di Rimbaud, Lucien Carr (Dane DeHaan). Rampollo di una ricca famiglia di New York, Carr presenta il giovane Ginsberg a Burroughs (Ben Foster, in un’interpretazione «alla lettera») e a Kerouac (Jack Huston). Fumando, bevendo, in continua staffetta tra i locali del Village e quelli di Harlem i quattro pontificano di letteratura e danno forma a un manifesto letterario intitolato Nuova Visione, i cui principi vengono esemplificati in un raid notturno alla biblioteca dell’Università, dove copie di Benito Cereno, Ulisse e L’amante di Lady Chatterley rimpiazzano misteriosamente «i classici» esposti. Nel loro entourage appare anche David Kammerer, un ex professore di Carr, apparentemente innamorato di lui e che lo segue da anni. Lucien, che oltre a essere brillante è anche un opportunista, cerca invano di liberarsene – il vecchio mentore non gli serve più – e, una notte, a Riverside Park, finisce per ucciderlo, ferendolo con un coltellino da boy scout e poi affogandolo nell’Hudson. Condannato per omicidio colposo, Carr farà solo due anni di prigione (l’attenuante: aveva agito per legittima difesa, contro le avances omosessuali di Kammerer). Kerouac e Burroughs, brevemente arrestati anche loro perché sospettati di complicità evocarono l’omicidio nel loro And The Hippos Were Boiled in their Tanks. Kerouac ne parlò anche in The Town and the City e Vanity of Doulous . Nel film vediamo Ginsberg trasformare il racconto di quella notte prima in una confessione ad uso di Carr e poi nel paper di fine d’anno, che lo fa espellere dalla Columbia ma gli dà il coraggio di andare avanti. Nel 2010, con The Howl (incentrato anche lui sulla figura principale di Ginsberg) Rob Epstein e Jeffrey Friedman avevano tentato di riflettere la beat generation concentrandosi proprio sulla «parola». In quel senso Kill Your Darlings è un film molto più convenzionale che racconta una storia delle origini, anche se Krokidas lo fa con i ritmi sincopati del jazz e una colonna sonora non strettamente «d’epoca» che include band come The Libertines e TV on The Radio. Ma, pur didascalico, ingenuo e noiosetto, il film almeno riflette un affinità con i suoi soggetti che è completamente assente nel temibile On The Road, di Salles, costato milioni e milioni di dollari in più.

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