Dalla rassegna stampa Personaggi

Ozpetek ricrea la Traviata: ho pensato a Laura Antonelli

«Violetta fragile come l’attrice. In una Parigi orientale»

«Quando ho letto il romanzo di Dumas da cui è tratta La Traviata, il primo nome che mi è venuto in mente è Laura Antonelli. Volevo addirittura iniziare lo spettacolo con una sua foto, poi ci ho rinunciato. Laura è come Violetta, una donna fragile e generosa che ha fatto vivere i nostri sogni. Ma la vita le ha dato torto». Ferzan Ozpetek cerca sempre un’identificazione emotiva, parte da qui, non si scappa. Succede anche per La Traviata di Verdi, sua seconda regia lirica, che il 5 dicembre apre la stagione del San Carlo di Napoli. Sul podio Michele Mariotti, scene di Dante Ferretti. Forzando le cose, si è parlato di spettacolo da Mille e una notte: da Parigi, o cara, a Istanbul, o cara. Dice che non è così, pur essendoci una matrice orientalista.
«Leggendo Proust ho pensato di spostare l’azione al 1910, quando in Turchia la gente si vestiva alla francese e a Parigi coi ricami in stile ottomano. Nei salotti parigini si fumava il narghilè, si beveva champagne sniffando tabacco, si mangiavano i dolci al pistacchio». E poi stoffe, cuscini con la gente seduta per terra, divani, specchi, insomma la contaminazione tra Oriente e Occidente. Ozpetek è andato da Zeffirelli: «Ha fatto tante Traviate, volevo la sua benedizione. Mi ha detto: sei un grande regista degli attori, cura la recitazione». Ha fatto scelte più innovative e audaci rispetto all’Aida del suo esordio operistico, qui dà la sua zampata.
Primo esempio: «L’incontro tra Germont e Violetta è il più sensuale di tutta l’opera. Il padre di Alfredo (Vladimir Stoyanov) va da Violetta quasi a ricattarla chiedendole di rinunciare all’amore per suo figlio, in passato fece un atto non puro con lei e porta un oggetto che le ricorda che è stato suo cliente: una giarrettiera. Lei si vergognerà. Poi cambierà atteggiamento. Un momento di forte pathos». Secondo esempio: «Nel rapporto con suo padre, pensavo anch’io che Alfredo (Saimir Pirgu) fosse uno scemotto. Mi sono ricreduto. È un puro che non si trova bene né con la sua famiglia né col mondo di lei. Un puro che incontra la purezza di Violetta». Su Violetta il discorso è più complicato, si dice sempre che esprime tre donne nei diversi atti. «Io nell’impostazione mi adatto alla fisicità dei cantanti, sono i personaggi che si devono avvicinare a loro. Se un cantante cammina o alza le braccia in un certo modo, la sua natura deve restare. Così la nostra protagonista, Carmen Giannattasio, è una fuoriserie, carnale, aggressiva, una gatta. Nel secondo cast c’è Cinzia Forte, più quadrata».
Quanto a Flora, «ha una risata che ti giri a guardarla e voglio che si senta in continuazione». Peccato e redenzione. C’è chi ha parlato di atmosfera dannunziana: «No, non c’è nulla di decadente». C’è però, nel contrasto che oscilla tra passione romantica e eccessi del vizio, un’idea di sessualità contigua all’idea della malattia. E dunque, ancora una volta amore & morte. «Vanno in parallelo. La morte. La prima cosa che viene in mente, per esorcizzarla, è la sessualità, ogni orgasmo è un po’ come morire». Nel suo film Harem Suare, Ozpetek mostra un fatto che è successo per davvero all’epoca dell’ultimo sultano, nel 1910 (curiosamente, l’anno in cui ambienta la sua Traviata). Appassionato di lirica, egli non voleva che le opere finissero male, e capricciosamente nel suo teatrino di corte ne cambiava il finale, mutando il destino di Violetta. Invece al San Carlo succederà questo: il terzo atto si svolgerà in uno spazio astratto e si preannunciano colpi di scena, Violetta non morirà nel suo letto.
All’estero, Traviata è una parola intraducibile. La prima volta che lei la sentì nominare… «Avevo 11 anni, a Istanbul mia madre canticchiava un’aria. Cos’è? È un’opera italiana, mi rispose. Non disse altro. E non capii nulla. Nel tempo, eccome se l’ho capito».

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