«La Turchia cinematografica ricorda l’Italia degli anni ’60, anche per la crescita economica e il dinamismo», racconta Ferzan Ozpetek, presidente onorario del Festival Mamma li turchi, sui film del suo paese d’origine, alla Casa del Cinema. «La Turchia — continua — è più sfacciata, non avendo alle spalle maestri come Visconti e Fellini si hanno meno paure». Ozpetek ricorda: «A Istanbul sono cresciuto con i grandi melodrammi turchi. Quando nel ’75 sono arrivato a Roma, passavo i pomeriggi in quei cineclub deliziosi… Perché sono spariti?»
I l primo anno fu una scommessa, «vediamo un po’ come reagisce la gente», l’aria era questa. Grande successo. Ed eccoci alla seconda edizione del Festival Turco di Roma, dal 18 al 21 ottobre alla Casa del Cinema, con ingresso libero (www.filmfestivalturcodiroma.org; tel.06.82077327). Il motto della rassegna, Mamma li turchi, ironizza sui vecchi stereotipi. Questa frase Ferzan Ozpetek la sente dire «da sempre, da quando, 36 anni fa, venni in Italia. Ne ignoravo il significato. Ero al Castello di Otranto per un premio a Le fate ignoranti, lì gli abitanti si raccoglievano per sfuggire agli ottomani. Io chiesi scusa per i miei avi, ma ancora di più per i danni che i costruttori fecero in Puglia negli anni ’60».
Ozpetek è un presidente onorario del festival sui generis, perché ha un ruolo fattivo, affiancato da Serap Engin. Verrà ospitata una retrospettiva di Nuri Bolge Ceylan, che terrà anche una master class insieme con Ozpetek, il quale preferisce parlare di «chiacchierata informale». I due registi sono uniti da «un’amicizia creativa. Un giorno mi ha detto: facciamo entrambi i film che ci piacciono. Solo che io ho poche persone e tu la folla. La verità è che Nuri è un genio, i suoi film sono come quei romanzi che ti prendono dopo un po’, ma che poi non ti lasciano più». Di Ceylan (Gran premio della giuria per C’era una volta in Anatolia nel 2011 a Cannes) ci saranno l’esordio con Kasaba, ritratto di un piccolo e sperduto villaggio turco; Le tre scimmie (un politico al volante dell’auto che investe un uomo…); Uzak (un fotografo vive a Istanbul alla giornata, travolto dalla crisi dei suoi ideali); Mayis Sikintisi (un pezzo di terra conteso).
Rispetto allo scorso anno, la programmazione è più ordinata e snella: 15 film, di cui 10 lungometraggi, 3 corti, 2 documentari (tra cui Immondizia nel giardino di Fatih Akin, il regista di La sposa turca e Soul Kitchen). È un festival senza premi, c’è però un forte auspicio: quello di svegliare l’interesse da parte dei distributori italiani che poi magari, come avvenne l’anno passato, proiettano nelle sale i film che hanno suscitato maggiore interesse. Ozpetek scommette su Babamin Sesi (La voce di mio padre), di due giovani registi: Orhan Eskiköy e Zeynel Dogan. «Parla di una madre alla ricerca del figlio, ma questo è solo l’inizio – racconta Ferzan; è una famiglia dove a mano a mano si fanno strada verità scomode, un dramma familiare con dentro una denuncia, la difficoltà di essere minoranza, che in questo caso è curda».
Altro film su cui il presidente onorario è pronto a scommettere, Nar (La melagrana) di Ümit Ünal, con la grande Serra Yilmaz, che è stata l’attrice simbolo di Ozpetek in alcuni dei suoi maggiori successi italiani: «Siamo tutti diversi l’uno dall’altro, come i chicchi di melagrana. Ci assomigliamo ma siamo diversi. La buccia che ci tiene uniti è la fede che abbiamo l’uno verso l’altro. E se la buccia si spezza? Qui c’è una donna che cerca la propria giustizia»).
Del tutto diverso è Eyvah Eyvah (Ahimè Ahimè!) di Hagan Algül, commedia sceneggiata da una firma importante, Ata Demirer: un giovane musicista che vive con i suoi nonni ha due grandi amori, il clarinetto e l’infermiera dell’ambulatorio del paese. A Roma poi verrà l’attrice Nurgul Yesilcay, bellissima e di talento.
Il cinema turco ha avuto un boom improvviso nel 1966 (si produssero 240 film), e una fioritura negli anni 80 con un’attenzione ai problemi sociali e alle donne in cerca di identità. Si va corrente alternata: dai 23 milioni di spettatori del 2002 si è passati ai 42 del 2011. «E c’è una gioventù enorme. In Italia ora la situazione è drammatica, Il mio ultimo film, Magnifica presenza, ha avuto 3 milioni e 400 mila spettatori, sembrava un fallimento, La finestra di fronte ne ebbe 14 milioni. Ma sono andato a vedere gli incassi degli altri e mi sono ricreduto. Se nel mio paese d’origine sono popolare come in Italia? Il pubblico è più discreto, anche nel chiedere gli autografi». Il botteghino negli ultimi sei anni ha avuto un incremento del 163 per cento. Come lo spiega, Ozpetek? «C’è un grande ritorno al cinema, soprattutto per i film turchi. E c’è un modo di lavorare e un entusiasmo diversi rispetto a Roma. La Turchia cinematografica ricorda l’Italia degli anni ’60, anche per la crescita economica e il dinamismo. Poi sul set, dove trovi sempre qualcosa da mangiare, i costi sono bassissimi e c’è una grande elasticità nei rapporti sindacali, si lavora fino a 14 ore al giorno con troupe più snelle. Meno rigidità sugli orari, non si sta sempre lì con l’orologio. In comune con l’Italia (anche se in dose leggermente inferiore) il desiderio di evasione, insomma domina la commedia. Sul piano tecnico la Turchia è più sfacciata, non avendo alle spalle maestri come Visconti e Fellini si hanno meno paure. E i registi sono quasi tutti giovani, vanno e vengono dalla tv al cinema senza barriere o snobismi. A Istanbul sono cresciuto con i grandi melodrammi turchi, dai sette anni in avanti mi riempivo la pancia di cinema. Quando nel 1975 sono arrivato a Roma, vedevo tre film al giorno, interi pomeriggi in quei cineclub deliziosi…Ma perché sono spariti?».