HO FOTOGRAFATO I MIEI FANTASMI
Quando arrivai alla casa di Emily Dickinson non c´era quasi più luce. Avevo portato con me una piccola fotocamera digitale e cominciai a scattare una foto dopo l´altra. Senza pensarci. In una vetrinetta di plexiglass era esposto uno dei suoi abiti bianchi e mi ritrovai attratta dai dettagli del vestito, i bottoni di alabastro e i pizzi. In una fotografia dell´abito intero scattata da lontano il risultato è un normale abito bianco. Ma da vicino scopri che è di fattura raffinata. Per una donna che passava quasi tutto il tempo in solitudine doveva essere meraviglioso contemplare i dettagli. E sentirli al tatto. Sapendo che non erano destinati ad altri che a lei.
In questa casa Emily e la sorella vissero gli ultimi anni da sole. Fu venduta dopo la loro morte e adesso è un museo, ma per decine di anni vi hanno abitato altre persone. Nel perimetro del museo c´era una seconda casa e le guide che ce la mostrarono ci chiesero se volessimo vederla da vicino.
Non c´era quasi più luce e dapprima rifiutammo, ma poi finimmo col seguire un piccolo sentiero che conduceva lì. Le case erano molto vicine, a un centinaio di metri di distanza l´una dall´altra. La seconda apparteneva al fratello di Emily, Austin. La casa di Austin fu una rivelazione. Rimasi esterrefatta. Era buia, misteriosa. […] Scoprii che con la fotocamera digitale non mi serviva molta luce. Mi sembrava di riuscire a vedere negli angoli. Nessuna distorsione di contrasto o di colore come avviene quando premi il pulsante delle macchine analogiche. La digitale rendeva praticamente quello che vedevo […].
Diversi anni fa Susan Sontag e io avevamo in mente di fare un libro intitolato Beauty Book. Il Beauty Book ci avrebbe fornito la scusa di viaggiare in tutti i posti che ci interessavano e che volevamo vedere. Per me significava poter fare di nuovo fotografie solo se stimolata a farle. Senza programmi prestabiliti. […] Trovarmi in una situazione in cui cogliere un´immagine solo per ispirazione. Dopo la morte di Susan capii che non avrei potuto realizzare il Beauty Book, anche se con il passare del tempo mi rendevo conto che avrei potuto fare un libro diverso, con una lista di posti diversi. Inevitabilmente la lista sarebbe stata influenzata dal mio ricordo di Susan e da quello che interessava lei, ma sarebbe stata comunque la mia lista. All´inizio non avevo un´idea ben chiara di che cosa avrei potuto fotografare, si formò per gradi. Emily Dickinson era la poetessa preferita di Susan. […]
Casa Freud
La Hogarth Press, gestita per molti anni da Leonard e Virginia Woolf, aveva pubblicato le opere di Freud fin dagli anni Venti del Novecento. I Woolf andarono a trovare Freud nella sua nuova casa al 20 di Maresfield Gardens nel 1939, poco tempo dopo che lui era emigrato a Londra. Leonard scrisse che lo studio di Freud era così pieno di antichità da sembrare un museo. Ora è davvero un museo e tutto si trova esattamente nello stesso posto in cui era quando i Woolf andarono a prendere un tè. A Londra Freud aveva dei pazienti e li seguì fino a due mesi prima della morte, avvenuta nell´autunno del 1939. Aveva abitato lì soltanto per un anno ma lo studio era identico a quello del suo appartamento di Vienna. […]
Visitando la casa, guardando tutte le stanze, aprii una porta più piccola e vidi un lettino rivestito con un tessuto dai motivi geometrici molto elaborati. Mi dissero che un tempo si trovava nello studio di Freud ed era stato il suo letto di morte. Freud si era trasferito nello studio dopo uno dei primi allarmi aerei nel quartiere, pensando che sarebbe stato più al sicuro che al piano di sopra. Passò i suoi ultimi giorni guardando il giardino, circondato dalle sue collezioni e dai suoi libri.
Casa Darwin
Down House, la casa di Charles Darwin nel Kent, è stata restaurata splendidamente ma al posto del suo studio adesso si trova il negozio di souvenir. Darwin comperò Down House nel 1842 all´età di trentatré anni, quando era già famoso. Il diario delle sue esperienze come naturalista durante il viaggio compiuto a bordo del Beagle aveva colpito la fantasia popolare. Darwin rimase via cinque anni durante i quali accumulò migliaia di esemplari e gettò le basi intellettuali dell´opera della sua vita. Down House diventò per lui il centro del mondo. La lasciava di rado. […]
La storia di Darwin che viene illuminato sull´evoluzione studiando le forme dei becchi dei diversi fringuelli presenti nelle isole Galapagos è solo una leggenda. […] Il primo capitolo de L´origine della specie contiene un lungo passo sull´allevamento dei piccioni. «Convinto che sia sempre meglio studiare un gruppo specifico, dopo attenta riflessione, ho scelto i piccioni domestici» scrisse Darwin. Si iscrisse a dei Pigeon club e documentò particolari come la quantità di melma accumulata dai piccioni sulle zampe quando pioveva. Per confrontare gli scheletri delle varie razze, raccoglieva i corpi e li bolliva, ma l´odore e il disordine in cucina erano troppo per sua moglie, e quindi decise di spedirli dove potessero essere sottoposti a un trattamento più professionale.
Casa Presley
La casa di Elvis Presley a Memphis è stata conservata più o meno com´era ai tempi in cui lui vi abitava. Le stanze al pianoterra attirano migliaia di turisti, ma il secondo piano dove lui morì rimane privato. Elvis e la sua famiglia si trasferirono da Tupelo a Memphis nel 1948, quando Elvis aveva tredici anni. Elvis parlava spesso di comperare una casa per i genitori. Nel 1957 acquistò Graceland, una villa in arenaria con colonne corinzie. I genitori di Elvis e la nonna Minnie Mae vivevano lì con lui e in seguito anche la moglie Priscilla e la figlia Lisa Marie. I vestiti della madre, Gladys, sono tuttora nell´armadio. Gli occhiali da sole di Minnie Mae sono su un vassoio sopra un cassettone.
Casa Graham
Ho passato la vita a guardare le foto di Martha Graham scattate da Barbara Morgan. Continuo a tornare a quelle immagini:la migliore collaborazione possibile fra un fotografo e il suo soggetto. […]
C´erano due o tre stanze stracolme di pile di scatole e bauli. Trovammo una scatola di oggetti di scena di Deaths and Entrances, balletto su tre sorelle che probabilmente sono le Brontë, o forse l´artista e le sue due sorelle. La danza è la più fragile delle arti. Gli scrittori hanno i testi, i compositori gli spartiti. La danza esiste solo nell´attimo. Quando se ne va un coreografo, i custodi più affidabili del suo lavoro sono i ballerini che hanno eseguito l´opera sotto la sua guida. Ci sono filmati di performance o di prove di danza, ma non saranno mai efficaci quanto un coreografo che modella il movimento di un singolo corpo. O, nel caso di Martha Graham, lei stessa che balla. Il che mi rende ancora più care le fotografie di Barbara Morgan.
Traduzione Giovanna Arenare e Claudia Cavallaro
© 2011 by AL Archive LLC. Published in the United States
by Random House, an Imprint of The Random House Publishing Group, a division of Random House, Inc. New York /
Agenzia Santachiara © 2011 De Agostini Libri Spa
in accordo con Jeffrey D. Smith / Contact Press Images
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Il vuoto dietro il glamour
MICHELE SMARGIASSI
Quel che resta quando le persone se ne vanno. Un paio di guanti che hanno stretto migliaia di mani. Un televisore bucato da un colpo di pistola. Un vestito bianco come un fantasma. È disabitato il nuovo mondo di Annie Leibovitz. Proprio lei, la fotografa più people mai esistita, sovrana, tiranna del ritratto ai livelli più luccicanti e costosi. Anzi è dis-abitato: abbandonato dalle persone che vi hanno vissuto. Non c´è un solo essere umano, solo case vuote e paesaggi deserti, nelle oltre duecento pagine di Pilgrimage, il libro che le sconsigliavano di fare, «non ne venderai una sola copia», il libro che lei ha voluto o forse ha dovuto fare: «Dovevo salvarmi la vita».
A volte esplode, nella carriera dei grandi fotografi, il bisogno di disintossicarsi dal mondo che i loro stessi occhi hanno costruito. Quello di Annie Leibovitz era grande come il sogno americano, con tutto il suo immaginario di successo, glamour, potenza.
E finire nel campo visuale delle sue lenti era entrare nel Pantheon. Tutti, da Lennon a Kidman a Nicholson fino alla regina Elisabetta («Maestà, potrebbe togliersi la corona? È così formale…»), hanno subìto i suoi ordini, i suoi set geniali, bizzarri o sontuosi. Ritrattista superstar di icone superstar, questo è stata per decenni Anna-Lou Leibovitz di Waterbury, dinoccolata, algida, volitiva ragazzona della provincia americana, fino a quando la sua vita di successo andò a sbattere sugli scogli. Perse assieme, nel 2005, il padre e la compagna, la scrittrice Susan Sontag, grande intellettuale radical. Poco dopo, una valanga di debiti (rimediata in qualche modo) fu sul punto di costringerla a svendere il suo invalutabile archivio.
Reagì come è scritto nel sangue americano: mettendosi in viaggio verso una nuova frontiera. Nell´agosto 2009 partì con le due figlie gemelle per una vacanza scacciapensieri alle cascate del Niagara: andò tutto male, carta di credito bloccata, deprimente camera di motel, inseguimento impietoso degli avvocati. Ma di fronte al grande salto d´acqua, dietro le spalle delle bimbe eccitate, la mano istintivamente alla macchina, l´occhio inquadra, il dito preme: davanti al catino verde smeraldo (sarà la copertina del libro) «era straordinaria la sensazione di galleggiare sopra le cascate», di volare senza cadere sopra un vuoto senza celebrità, scenografie, lustrini…
Quando era viva Sontag, stilavano liste di luoghi da visitare assieme per scriverci un libro che aveva già un titolo, Beauty Book. Non ce ne fu il tempo. Ma dopo quell´immagine acquea libera e liberatrice, Leibovitz fece la sua lista, e partì. Un po´ folle, arbitraria, a volte casuale, tra Europa e America, era una lista di case senza inquilini, case di grandi personaggi: Lincoln, Roosevelt, Woolf, Freud, Darwin, per prima Emily Dickinson, «la poetessa preferita di Susan». Case piene di cose, e paesaggi pieni di tracce di chi li rese immagini (lo Yosemite di Ansel Adams). È fra oggetti e luoghi orfani che Leibovitz, a sessantadue anni, ha scritto il suo diario interiore (mai tanto scritto un suo libro). Alla ricerca di quel che resta quando le persone non sono più lì, cioè «una cosa cruda e semplice. Sono tornata a quel che conta davvero».