Dalla rassegna stampa Personaggi

L' Aida di Ozpetek

…Fu così anche per “Mine vaganti”, un film nato a partire dai resoconti esilaranti di un mio amico gay il cui fratello era pure gay. Perché è la vita il più fantastico serbatoio di emozioni e racconti…

ROMA Ferzan Ozpetek debutta nella lirica. Il regista degli amori estremi, delle emozioni spudorate, delle omosessualità avvistate, dei ruoli affettivi o parentali stravolti o disvelati al di là di ogni moralismo e convenzione, si misura con un monumento tradizionale come Aida.E dunque Verdi, l’Egitto, i faraoni, la marcia trionfale, l’amore di una piccola schiava etiope per un intrepido guerriero. Debutto il 28 aprilea Firenze, per l’inaugurazione del Maggio Musicale Fiorentino, con Zubin Mehta sul podio e Luciana D’Intino tra gli interpreti.

Ozpetek, lei è un amante dell’opera? «Un amatore, non certo un intenditore. Ascolto molto, ma dal vivo ho visto poco. Mi sto tuffando in questo nuovo impegno come nella scoperta di un mondo sconosciuto ed eccitante. Sembro un bambino che entra per la prima volta in un Luna Park».

Qual è la lirica che le piace di più? «Opere popolari come “La Traviata” e “Carmen”, ma sempre in modo un po’ superficiale, senza approfondire. Solo una volta ho esplorato dall’interno questa dimensione, grazie al mio secondo film “Harem Suare”, una cosa molto raffinata che non ebbe grande fortuna commerciale.

Narrava la storia dell’ultimo sultano turco, crudele e sanguinario eppure appassionato di lirica in modo travolgente e quasi commovente. A Istanbul, nel Palazzo Yildiz, dove abitava, si era fatto costruire un teatro piccolo e bellissimo per poter assistere a rappresentazioni operistiche insiemea tutte le donne del suo harem.

Si faceva montare gli spettacoli da una troupe di musicisti e cantanti italiani, ingaggiati stabilmente.

Aveva persino voluto imparare l’italiano per capire i testi. E come si vede in “Harem Suare”, gli piaceva cambiare i finali: voleva solo gli happy end. Ne “La Traviata”, per esempio, la protagonista si salvava dal suo male e non moriva». Altre memorie operistiche? «A Roma, nel ’77, quando venni ad abitare qui, nella casa del quartiere Ostiense dove vivo tuttora, la portiera del palazzo era una donna speciale, una grande melomane, che ascoltava continuamente opere e che di lirica sapeva tutto».

Tipo la portiera super-colta de “L’eleganza del riccio”? «Un po’ così. Non che fosse un’intellettuale. Ma in quel campo era un’intenditrice. Quest’aspetto mi catturava, dandomi il senso di ciò che la lirica ha rappresentato per varie generazioni, quand’era ancora un’arte radicata nella gente di tutti gli strati sociali». Come mai ora ha deciso di affrontare direttamente questo territorio? «Mi è stata proposta l’opera giusta al momento giusto, con un direttore del livello di Zubin Mehta, uomo di grande fascino e musicista straordinario che mi ha fatto sentire subito di poter contare sul suo appoggio. Un debuttante come me ne ha bisogno. E poi c’è Aida ad attrarmi moltissimo».

Cosa la interessa di quest’opera, in particolare? «La musica è di bellezza sconvolgente e la storia è un turbine di emozioni. E’ tutto un intreccio di folli amori. Radames è innamorato di Aida; Aida ama Radames; ma anche Amneris ama Radames alla follia. Io penso che anche Amneris sia innamorata di Aida, in una sorta d’implicito ménage à trois. L’amore circola, è un’energia tremenda che contagia. E quando Amneris è gelosa, sono convinto che lo sia di entrambi.

Un altro aspetto di Aida che mi prende moltoè l’idea centrale che nessuno può sfuggire al suo destino: un messaggio che pervade tutto il tessuto dell’opera».

Rispetterà l’ambientazione richiesta del libretto? «Ci sarà l’Egitto, certo. Ma sarà molto interpretato. Non quello di Tutankhamon, ma come lo sento io. Porto in scena anche tracce del mio paese, la Turchia. Soprattutto ci sarà il deserto: sarà l’elemento decisivo della scenografia, firmata da Dante Ferretti, con il quale stiamo mettendo a punto una forte sorpresa ambientale che si svelerà all’inizio dello spettacolo.

Non posso raccontarla: rovinerei l’effetto sul pubblico, che immerso nel buio della sala deve restarne stupefatto».

Quanto conta la musica nella sua vita? «Tanto. Scrivo sentendo musica. Ascolto qualsiasi cosa, basta che abbia un vero sentimento. Ho un talento da servetta nello scegliere le musiche per i miei film, le cui colonne sonore non a caso si vendono benissimo. E’ importante toccare il cuore di tutti, dall’intellettuale alla donna delle pulizie. Bisogna comunicare a ogni livello. E infatti i miei film hanno sempre un pubblico trasversale, sia socialmente che in senso generazionale». Lo ha anche il suo ultimo, grande successo, “Mine vaganti”. «E’ andato bene ovunque nel mondo ed è stato molto premiato, il che mi ha dato una forza incredibile. Eppure quello tra i miei film che ha guadagnato di più è stato il drammatico “La finestra di fronte”. “Mine vaganti”, come incassi, si colloca al secondo posto».

Lei alterna ai drammi la leggerezza di commedie come “Le fate ignoranti” e “Mine vaganti”. Come viaggia in questo doppio registro? «Ci sto dentro come tutti noi, perché è così che funziona l’esistenza, dove si oscilla sempre tra il riso e la tragedia. Bisogna impararea prendere in giro il malee anche il dolore. Il che, ovviamente, non vuol dire non prenderlo sul serio». Quale sarà il suo prossimo film? «Sto scrivendo una nuova sceneggiatura con Federica Pontremoli, e ancora una volta si basa sulla storia tragicomica di una serie di accadimenti vissuti davvero da una persona che conosco e che me li ha riferiti. Fu così anche per “Mine vaganti”, un film nato a partire dai resoconti esilaranti di un mio amico gay il cui fratello era pure gay. Perché è la vita il più fantastico serbatoio di emozioni e racconti».

16/3/2011

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