È il resoconto del rapporto analitico tra Janigro e lo scenografo milanese Luca Ghirardosi. Ma forse, anche grazie al passato di giornalista e scrittrice di Janigro, Il terzo gemello è strutturato come un giallo che narra una vicenda personale, procedendo come una partita a scacchi, in cui psicoterapeuta e paziente svelano a poco a poco le proprie mosse.
Lei si è occupata di Balcani, come mai una nuova stagione dedicata alla psicanalisi?
«Voi non potete capire» era l’incipit di L’esplosione delle nazioni (Feltrinelli 1993, 1999), uno dei miei libri in cui spiegavo la guerra che frantumò l’ex Jugoslavia. Si parlava sempre dell’«altro», categoria di cui mi sentivo di fare parte. Sono nata a Zagabria 55 anni fa da madre croata e padre italiano. All’età di dieci anni mi sono trasferita a Milano e per mia madre, che non ha mai imparato bene l’italiano, ho avuto il ruolo della mediatrice culturale. Come tutti i bilingui poi, ho sempre saputo che un concetto si poteva esprimere in un altro modo. Così, dopo una vita spesa a narrare «l’altro», ho voluto entrare nella vita «dell’altro» prendendo, dopo la laurea in lettere, una in psicologia.
Perché ha voluto raccontare la storia di Ghirardosi?
Mi sono accorta che durante questa analisi, durata cinque anni, prendevo moltissimi appunti. Ho cominciato a scriverli in maniera ordinata per un’esigenza mia, poiché questo rapporto provocava in me e in lui un arricchimento reciproco. Io facevo continui collegamenti di tipo musicale, cinematografico, letterario, che mi riportavano nel terreno della mia infanzia. In Ghirardosi ha scatenato un fervore creativo, che ha portato anche ad alcuni successi nel suo lavoro.
Che temi tocca l’analisi?
L’omosessualità e il lutto male elaborato. Il mio paziente ha retto bene alle morti traumatiche del padre e dei compagni, ma non riusciva a superare quella della madre, che era del tutto naturale vista l’età.
Chi è il terzo gemello?
Nel rapporto analitico è un estraneo, che è terzo rispetto al padre e la madre, o qualcuno, qualche cosa che riappacifica due persone che litigano.
Lei appare coinvolta, mentre uno psicoterapeuta non dovrebbe esserlo mai…
Con Luca mi permettevo stati d’animo affettivi, come la tristezza e comunque la partecipazione. Sentivo che con lui, grazie al suo lavoro e ai modellini scenografici che mi donava, toccavo punti sottotraccia della mia storia personale. O forse è stato il tema della morte che mi riportava alla guerra dell’ex-Jugoslavia, che io ho raccontato con freddezza, dicevano. Era solo il mio modo pudico di rispettare le vittime, ma ne tenevo comunque vivo il ricordo, raccontandole.
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