Clint Eastwood: nel mio film “Hereafter” la storia di una sopravvissuta allo tsunami
«Si intrecciano le vicende di tre personaggi che tutti avevano creduto morti»
NEW YORK- Ha compiuto da poco gli 80 anni e la prima domanda che viene in mente quando si va a vedere il suo ultimo film, Hereafter, è se ci sia qualcosa di autobiografico, se i temi affrontati siano una meditazione sulla morte. Ma Clint Eastwood, la schiena dritta come ai tempi in cui era l’uomo dallo sguardo di ghiaccio di Sergio Leone, risponde pronto: «E perché? Voglio pensare che avrei potuto fare questo film a 30 o 40 anni. È semplicemente una bella storia».
In realtà sono tre storie, tre persone lontane tra di loro geograficamente, nell’età e nel tipo di educazione le cui vite finiscono per intrecciarsi intorno a una domanda che ci portiamo dietro da millenni: che cosa c’è dopo la morte? Una di loro è Marie, l’attrice belga Cecile de France, nella parte di una celebre reporter francese che viene travolta dall’onda dello tsunami in Indonesia, nel 2004, perde conoscenza, viene data per morta e poi torna in vita. Ma non è più la stessa: le tornano alle mente raggi di luce, strane figure eteree che si muovono su uno sfondo bianco. A San Francisco, intanto, un operaio interpretato da Matt Damon ha il dono, o forse è una maledizione, di saper comunicare con i morti e di saper penetrare nell’animo dei vivi. Infine c’è Marcus, un ragazzino di nove anni che ha perso in un incidente il fratello gemello e non sa darsi pace.
Non finisce mai di stupire, Clint, il vecchio pistolero, l’eroe dei polizieschi di azione che si è rivelato uno dei più fini ed acclamati registi contemporanei, l’autore di film come Mystic River e Million Dollar Baby. Nel suo ultimo film, Invictus, aveva offerto un ritratto di Nelson Mandela, ma adesso siamo al difficile tema dell’aldilà. Un soggetto che gli è arrivato per le mani tramite Steven Spielberg, cui Peter Morgan (The Queen) aveva affidato una sceneggiatura scritta subito dopo la morte improvvisa di un amico. «Passiamolo a Clint», aveva subito pensato il regista di E.T. Un anno dopo il film è pronto, il 32° firmato da Eastwood.
Signor Eastwood, qual è la sua opinione sull’aldilà?
«Non sappiamo che cosa ci sia dall’altra parte, ognuno ha una sua opinione, ma la realtà è che abbiamo soltanto delle ipotesi e che avremo una risposta solamente quando ci arriveremo. Quello che invece so è che tutti dobbiamo confrontarci con la perdita, il dolore, il senso di solitudine. E abbiamo il desiderio di poter comunicare con quelli che non sono più tra noi».
Ha parlato con chi ha avuto esperienze di quasi-morte?
«Sì, una cosa interessante è che tutti fanno racconti molto simili. Ma posso solo ascoltare, perché io quelle esperienze non le ho avute e non intendo averle prima di quando mi toccherà, anche se sono qui che aspetto, come tutti».
Una delle rivelazioni del film è la giovane attrice Cecile de France.
«Non la conoscevo ma mi è bastato vedere un paio di suoi lavori per inserirla nel cast. È una delle migliori attrici con cui abbia mai lavorato».
L’altra sorpresa sono gli effetti speciali usati per lo tsunami.
«Ho visto molti filmati. Ma mi sono affidato soprattutto alla testimonianza di chi ha vissuto quell’onda e di quelli che hanno pensato che erano morti e sono invece ancora tra noi. Non è stato facile girare quelle scene, quando c’è di mezzo l’acqua è sempre complicato. Ma il mio non è certo un film basato sugli effetti speciali…».
Ottant’anni ed è già al lavoro sul suo prossimo film, con Leonardo DiCaprio nella parte di J. Edgar Hoover, il fondatore dell’Fbi. Come fa? E perché questo soggetto?
«Non so come faccio, non mi piace quando mi viene chiesto di auto-analizzarmi perché sembro sempre un po’ stupido. Posso dire che alla mia età non mi interessa tornare sulle cose che ho già fatto e che trovo la vita di Hoover molto affascinante».