LOCARNO – La t-shirt rosa pallido ha dipinta la sagoma di un morto vivente, L.A Zombie, con la star porno (trentenne) francese François Sagat (anche nel film di Christophe Honoré, Homme au bain, in gara oggi), zombie alieno che arriva sulla terra dalle acque dell’oceano, trova un bel surfista che gli dà un passaggio e dopo un incidente mortale lo resuscita con un orgasmo. Ma chi è davvero questo zombie-alieno? Un homeless tra le molte migliaia che affollano la metropoli losangelina? Un eroe delle tenebre? A differenza del pallidissimo ragazzo, anche lui morto vivente, nel film precedente di Bruce La Bruce Otto, or Up with the Dead arrabbiato col mondo, L.A. Zombie sembra più spaesato. O forse anche questo è un mascheramento perché i film di LaBruce non hanno mai un finale «chiuso», giocano col cinema, costruiscono affinità e conflitti con l’uso «politico» dell’immaginario. L.A.Zombie, produzione basso budget, uscirà in Italia grazie a Atlantide distribuzione. Ci incontriamo sul lago, La Bruce vive a Toronto, ma è spesso a Berlino città che adora.
Dopo «Otto, or Up with Dead People», ritorna nell’universo dei morti viventi. I film di George Romero ci hanno mostrato che può essere una dimensione molto politica…
Romero è il maestro, un film come La notte dei morti viventi è un capolavoro feroce di critica al capitalismo, una commedia nera sulla società dei consumi, gli shopping mall… Nel suo cinema prevale la dimensione dell’allegoria e della metafora politica. I miei sono soprattutto zombie gay e immediatamente rimandano a quella cultura, in tutti i suoi aspetti, una cultura che può essere molto conformista e «zombie» come loro: i gay ripetono gli stessi gesti e mangiano molta «carne». Però nei miei zombie prevale la dimensione individuale, sono creature che vivono le loro emozioni e stabiliscono legami con chi incontrano. Cercano di capovolgere l’immagine convenzionale dello zombie.
Lei ha definito «L.A Zombie» un horror porno, e il protagonista è François Sagat, un divo a luci rosse…
È un film sulla pornografia, mi interessava indagarne i meccanismi, studiare chi la guarda e come. Ci ho lavorato in modo molto aperto, non avevo una sceneggiatura, solo due pagine e senza dialoghi. Il mio script era piuttosto visuale per lasciare allo spettatore la possibilità di scegliersi una lettura. Non sappiamo mai veramente chi è questo zombie, se è un morto vivente o un alieno che si mostra come uno zombie per resuscitare le persone… In generale c’è una critica alla pornografia che usa e getta la gente come fossero dei pezzi di carne. E poi i film porno nella loro ripetitività sono molto noiosi. Per questo ci tengo a mantenere una distanza dallo spettatore, mi permette di indagare anche il senso del voyeurismo Alla fine del film, il protagonista vede se stesso nel riflesso di una finestra, è una posizione che rimanda alla coscienza del pubblico, alla necessità di essere responsabili verso ciò che si guarda. Il cinema mainstream invece tende sempre di più a delineare tutto dall’inizio alla fine, chiudendo gli spazi della mente.
L’idea dello zombie che resuscita col sesso i morti come le è venuta?
È stata una specie di strana visione… Forse, pensandoci dopo, volevo rovesciare l’idea dominante che lega il sesso gay alla malattia, l’aids, il disagio. In qualche modo, c’è anche una trasformazione del modello porno, in cui la morte e l’omicidio sono legati sempre al sesso. Nell’horror, la dimensione sessuale è prevalente, pure quando si cerca di nasconderla. Negli slash-movie, il coltello entra nel corpo, si vedono schizzi di sangue, è molto orgiastico e violento. Qui invece la creatura penetra e ridona la vita. Mi hanno ispirato anche gli homeless che ho visto a L.A. Sono moltissimi, girano per la città coi carrelli della spesa pieni di roba. In America, sempre più famiglie perdono la casa a causa dei prestiti e delle banche, è una tragedia più grande di quello che ci mostrano i media.
In che modo è arrivato a François Sagat?
Mi sembrava che rispondesse a questa mia esigenza di mettere in discussione i codici, è uno che sa giocare con se stesso, molto onesto nella sua rappresentazione.
Diceva che la cultura gay è oggi come uno zombie…
È conformista in modo assoluto, ma non da adesso, era lo stesso già negli anni 80, certamente l’aids ha determninato molti cambiamenti. Negli anni 70, era molto militante e prevaleva l’avventura sessuale. In seguito, appunto, la direzione del movimento è cambiata, tutto si è focalizzato sull’aids, c’era molta paura, la gente si è chiusa in una dimensione familiare, parlando solo di matrimonio e cose simili, come se il matrimonio o l’adeguamento alle regole dominanti potessero essere una risposta alla discriminazione. Credo che oggi il movimento gay sia finito, almeno in occidente. I più giovani sono interessati ormai a crearsi un’identità attraverso la sessualità.
7/8/2010