Hanif Kureishi è una grande firma della letteratura internazionale, e la raccolta dei suoi racconti che Bompiani pubblica con il titolo “Il declino dell’Occidente” è una nuova conferma della forza evocativa delle sue storie, che oscillano tra una costruzione perfetta e una sapiente gestione del tragico e dell’ironia, con momenti di visionarietà postmoderna che spesso sono il vero valore aggiunto delle short story. In questo senso il racconto forse più affascinante, e misterioso, è “Ieri tanto tempo fa”, storia che attraversa il tempo e le vite dei personaggi con una leggerezza impossibile che, in qualche modo, fa pensare a Kafka e al suo medico di campagna o a Bruno Schulz e alle sue botteghe color cannella. “Una sera – scrive Kureishi – subito dopo il mio cinquantesimo compleanno, spinsi la porta di un pub non lontano dalla casa in cui ero nato. Mio padre, di ritorno a casa dal suo ufficio a Londra, era dentro, in piedi, al banco. Non mi riconobbe, ma io ero eccitato anzi quasi in estasi per il fatto di poterlo vedere di nuovo, specialmente perché era morto da dieci anni, e mia madre da cinque”. Tutto normale, più o meno, soprattutto perché lo scrittore gestisce la storia con naturalezza, pur nella deformazione surreale – e spesso anche vagamente onirica – delle situazioni che si susseguono sulla pagina.
Kureishi evoca le suggestioni infantili (“Mio padre e mia madre a volte andavano a ballare: adoravo quando si vestivano per uscire”) e poi si lancia in dialoghi profondamente kafkiani, ma questa volta sui tema dell’omosessualità e dell’amore coniugale. L’eco che si sente è quella de “La condanna”, per esempio, e il rapporto con il padre – forse il tema fondamentale per il grande praghese – diventa qualcosa che va al di là del semplice racconto. Fino alla sobria conclusione: “Alla stazione di Londra, io e mio padre ci separammo. Gli dissi che lo avrei cercato, se mi fossi trovato ancora in zona, ma non potevo essere sicuro di quando sarebbe successo di nuovo”.
Tra produttori televisivi di mezza età, strani incontri fuori dalle scuole di Londra, un’analisi sociale sui costumi degli anni Sessanta e l’avvento della Thatcher, fino a un breve ma quasi insostenibile racconto-incubo su cani che sbranano un bambino, lo scrittore parla anche molto di economia e, soprattutto della crisi. Il racconto che dà il titolo alla raccolta è esemplare in questo senso, anche se forse meno efficace dal punto di vista letterario. “Come altre persone – scrive Kureishi – Mike era tormentato dal sospetto che l’attuale catastrofe fosse la punizione per anni di sperperi e auto indulgenza; che fosse questo il debito che andava rimborsato con la sofferenza. E d’altra parte come poteva venir considerata spregevole o colpevole la sua famiglia, non avendo chiesto altro che un continuo miglioramento nella sua vita materiale?”. La storia, nei racconti di Kureishi, ritorna spesso con un effetto boomerang, ma più che di tragedia qui si vive il senso anche di una commedia speziata e a volte divertente, pur sull’orlo del dirupo. “Il capitalismo prosperava, e non c’era modo più piacevole di vivere che in esso, cantando e spendendo”.
Leggere Kureishi è un’esperienza stimolante e felice, pur nella durezza di alcune storie che racconta. E il suo mondo trasuda la stessa luminosità di un quartiere multietnico e animato in una grande metropoli postmoderna.