Dalla rassegna stampa Libri

Müller - Un Nobel a Napoli

«Talvolta ripenso alla mia Romania Però non chiamatela ‘‘Ostalgie’’» … Ho scritto su un percorso tracciato da lui». Nella figura del protagonista dell’odissea ucraina, Leo Auberg, diciassettenne omosessuale che arriva a illudersi che quel viaggio possa liberarlo dalla grettezza del …

Stamane Herta Müller, premio Nobel 2009 per la Letteratura, visiterà il Museo Archeologico di Napoli. L’unica altra volta che era venuta in città, diciotto anni orsono, l’aveva infatti trovato chiuso. Stavolta non vuole privarsi di questa semplice gioia prima di tornare a Berlino a conclusione del tour italiano per la promozione del romanzo L’altalena del respiro (Feltrinelli), che ieri sera ha vissuto l’ultimo atto a La Feltrinelli di piazza dei Martiri. Qui la scrittrice — magra, minuta, tutta vestita di nero — è stata accolta da una sala strapiena di gente curiosa di conoscerla. Perché poi, nonostante il can can mediatico legato all’altissima onorificenza ricevuta, Herta Müller resta per la maggior parte dei lettori una figura alquanto misteriosa.

L’incontro, condotto dalla direttrice del Goethe Carmen Morese, non ha concesso molto a una più diretta conoscenza del «personaggio», ma si è particolarmente concentrato sul libro. Che, peraltro, è un libro importante che narra una vicenda poco nota, per non dire del tutto sconosciuta: quella dei rumeni di stirpe tedesca che nel gennaio 1945, da un paese il cui regime-fantoccio filonazista aveva appena dovuto capitolare, furono avviati ai campi di lavoro del bacino del Donbass, Ucraina orientale, in quella che era ancora l’Unione Sovietica di Stalin. Un’esperienza toccata anche alla madre della scrittrice.
«Fino alla caduta di Ceausescu», ha detto la Müller, «tutta la partecipazione della Romania alla Seconda guerra mondiale è rimasta tabù. Risultava che la Romania era sempre stata dalla parte dell’Urss, e delle vicende della deportazione era pericoloso parlare. Chi l’aveva vissuta se la teneva per sé. Mia madre, come tanti altri, in maggioranza poveri contadini, sull’argomento era assai reticente. Da lei non ho appreso granché. Ma volevo sapere, e la prima persona che me ne parlò fu il poeta Oskar Pastior. Anche lui, infatti, era stato deportato».

Pastior, morto nel 2006, rivive nelle parole di Herta, che lo ricorda con un’evidente nota di commozione nel suo grande spessore umano e artistico: un innovatore, uno dei maggiori poeti del ’900 tedesco. Il progetto iniziale era quello di un libro a quattro mani; ci lavorarono per due anni, fecero anche un viaggio in Ucraina. Ma poi Oskar morì, ed Herta si ritrovò sola. «È come se lui avesse continuato a guidarmi: gli devo mille parole, immagini, perfino i titoli di alcuni capitoli. Ho scritto su un percorso tracciato da lui». Nella figura del protagonista dell’odissea ucraina, Leo Auberg, diciassettenne omosessuale che arriva a illudersi che quel viaggio possa liberarlo dalla grettezza del villaggio in cui ha vissuto fino a quel momento, c’è molto proprio di Pastior.

Durante la presentazione, l’attore Fabio Cocifoglia ha letto (molto bene) alcune tra le pagine più intense di un testo che ha la potenza evocatrice delle narrazioni in cui anche l’oggetto più umile si carica di significati altissimi, in una testimonianza struggente di umanità ferita ma tenace; quando però viene fatto il nome di Primo Levi, la Müller tiene a chiarire che tra un campo di sterminio e un campo di lavoro c’è un intero abisso d’orrore a far la differenza. In ogni pagina, come un basso continuo, ecco il sentimento della nostalgia di casa, Heimweh: orizzonte d’ogni desiderio inappagato, d’ogni possibile felicità. «Un sentimento che anch’io mi scopro talora a provare», dice Herta, e parlando usa un altro termine tedesco, Sehnsucht, che ha una piega più forte e vuol dire sì nostalgia, ma pure struggimento. Lei, dice, lo prova per la Romania che ha lasciato fin dal 1987, dopo che nell’84 i suoi libri erano finiti all’indice. Le domando se per caso non sia una forma di Ostalgie, la nostalgia della Ddr: quel «si stava meglio quando si stava peggio» che tocca non pochi tedeschi. Ma su questo la Müller è adamantina: mi spiega, paziente, che il concetto di Ostalgie implica un rimpianto politico che lei proprio non riesce ad avere. La sua Sehnsucht riguarda i paesaggi, le persone, la giovinezza. Inoltre, «la Romania di oggi è sicuramente meglio di quella di Ceausescu, ma resta ancora molto lontana dalla democrazia. Il potere è ambiguo, la strada da percorrere ancora lunga».

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