Dalla rassegna stampa Cinema

Laetitia Casta: a Cannes due volti della seduzione

«Scene truculente nei panni di Salomè E sfido il mito Bardot in un altro film» – L’attrice francese è protagonista della rassegna al via oggi con il cartoon «Up» …«Sapevo che Ming-liang è regista di culto dalla fama eccentrica, fuori da ogni regola — prosegue Casta — Adoro il suo …

CANNES — «Il peggio è stata la scena con i quarti di bue», racconta Laetitia Casta ripensando con un brivido a quella giornata sul set di Tsai Ming-liang. Protagonista nei panni di una inedita Salomè di Visage, rilettura del mito della feroce principessa, ma anche omaggio a Truffaut, adorato da Ming-liang, che qui ha chiamato a raccolta i suoi attori feticcio, da Jean-Pierre Léaud a Jeanne Moreau, da Nathalie Baye a Fanny Ardant. Tutti il 23 maggio a scortare il film, in gara al Festival, che oggi apre la sua 62ma edizione con il film d’animazione Pixel, Up. «Sapevo che Ming-liang è regista di culto dalla fama eccentrica, fuori da ogni regola — prosegue Casta — Adoro il suo cinema, da Vive l’amour a Il Fiume a I don’t want to sleep alone. Lavorare con lui è stato entusiasmante».

Anche se non sempre facile. «La sua genialità comprende anche tratti sado-masochisti. L’ho sperimentato sulla mia pelle». La sua meravigliosa pelle lattea, spesso paragonata per splendore e morbidezza al latte e al burro di Normandia, ricoperta dal crudele regista malese da chili e chili di bistecche giganti e sanguinolente. «Un manto di carne gelida, tolta da poco dal freezer, sistemata sul mio corpo nudo e quindi avvolto in una pellicola trasparente, di quelle che si usano per gli alimenti. Ma nonostante l’involucro, il sangue colava dappertutto. In più la scena prevedeva la presenza di un grosso cane che, eccitato dall’odore del sangue, mi ringhiava e si agitava in modo poco rassicurante. Insomma, è stata dura. L’ho fatto solo perché Ming-liang è una personalità talmente carismatica, libera, poetica… Se entri nel suo universo surreale, devi accettarne le regole».

Naturalmente, alle prese con un’icona dell’eros truculento, Tsai non si è risparmiato nulla. Affascinato da alcuni celebri quadri sul soggetto esposti al Louvre, ha girato nel museo parigino anche in spazi mai aperti al pubblico. «Per esempio la cisterna dove i pompieri in caso d’incendio possono attingere l’acqua. Mi sono dovuta immergere con addosso un fastoso abito di Christian Lacroix », sospira Laetitia forse memore dei tempi in cui, top model, quei preziosi vestiti venivano trattati in ben altro modo. E la celebre danza dei sette veli? «Sul set a insegnarmi passi e movimenti c’era il celebre coreografo Philippe Decouflé. Ma poi ho fatto di testa mia, ho improvvisato».

Con il cinema finora aveva avuto esperienze più lievi. Presenza sensuale e ironica nelle commedie della serie Asterix, il primo ruolo vero due anni fa ne La jeune fille et le loups al fianco di Stefano Accorsi, suo compagno di vita, padre del piccolo Orlando, tre anni, e di un nuovo bimbo che nascerà tra poco. Una gravidanza che Laetitia, memore di una brutta esperienza — cacciata da un set perché aveva candidamente confessato di essere incinta — stavolta ha taciuto per non compromettere il suo impegno in un altro film, Serge Gainsbourg, vie hèroique, dove lei indossa i panni anni ’70 di Brigitte Bardot. Due miti del cinema e della canzone uniti da una breve love story.

Fuori programma, il film sarà presentato sulla Croisette. Per Casta Cannes raddoppia. Una consacrazione. «Sono emozionata ma anche consapevole dei rischi», confessa l’attrice corsa adorata in Francia tanto da venir scelta come modella per la Marianne nazionale. Adesso il confronto è con un’altra leggenda, Bardot. «Di primo acchito ho detto no. Immaginavo i commenti: le somiglia, non le somiglia… Una follia. Non si può imitare l’inimitabile. Poi ho capito che la strada era un’altra: non dovevo fare BB ma giocare a essere BB, calarmi nel suo tourbillon di seduzione».

Bardot e Salomè, due seduttrici fatali. «Molto diverse. Salomè io la vedo somigliante a Don Giovanni. Un eros maschile, tragico e violento. Quella di Brigitte invece è una sensualità infantile, che vuole tutto. Prima di girare ho parlato con lei molte volte, è stata generosa nel raccontarsi. Mi spiegava la sua sensazione di una vita troppo corta, da bruciare in fretta, prendendo e lasciando tutti quelli che le pareva. Una donna-bambina che non poteva vivere senza un uomo. A suo modo anche una rivoluzionaria. Sposarsi, divorziare, collezionare amanti, a quei tempi era uno scandalo ».

Con Gainsbourg ebbe una breve love story. Fu vero amore? «Per lui certo. Brigitte fu il grande amore di Serge. Aveva perso la testa, di notte scriveva canzoni per lei, che uscita da una storia finita male, ne approfittò per consolarsi. Lui ne ebbe il cuore spezzato. Mai più avrebbe amato una donna così». Neanche Jane Birkin? «Nemmeno. Bardot era la donna impossibile. Quella che non puoi dimenticare ».

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Il cartellone I selezionatori hanno puntato su scelte «di mezzo» sicure

Niente superstar né debuttanti La formula per cavalcare la crisi

di PAOLO MEREGHETTI

CANNES — Il ritornello è unanime: nonostante resti indiscutibilmente il primo festival al mondo, il più ricco, il più frequentato, il più invidiato, Cannes non ha potuto evitare i contraccolpi della crisi. Le prove sarebbero sotto gli occhi di tutti: negli alberghi si trovano ancora camere disponibili, nel porto ci sono ancora ormeggi liberi, e soprattutto il Marché du film ha ridotto di un quarto le iscrizioni. Ma sarebbe stato folle aspettarsi il contrario. Parigi non è immune dalla crisi (nel primo trimestre le frequenze francesi al cinema sono diminuite del 15 per cento rispetto all’ anno precedente) e il Festival di Cannes ne paga le inevitabili conseguenze.

Con una caratteristica non secondaria, però: invece di farsi travolgere dalla crisi, il festival ha cercato di cavalcarla, indirizzando a proprio vantaggio quella che, genericamente, può sembrare una penuria di film e di star di primissima grandezza. Invece, scorrendo i titoli in concorso, colpisce l’equilibrio — economico e artistico insieme— dei film selezionati, dove mancano le punte d’eccezione (finanziariamente e produttivamente: valga per tutti l’esclusione di Angeli e demoni, quando in passato c’erano state le fanfare per Il codice Da Vinci o l’ultimo Indiana Jones) ma non ci sono nemmeno i rischi che comportano le opere prime.

No, Frémaux e Jacob hanno messo insieme un campionario di quel cinema «medio», affermato nei nomi (tutti «autori» indiscutibili, quattro già premiati con una Palma d’oro: Ken Loach, Jane Campion, Lars von Trier e Quentin Tarantino) e mai folle nei budget, che può indicare una possibile via d’uscita dalla crisi. Il messaggio di Cannes quest’anno è a favore di quel milieu, quel «cinema di mezzo » tra blockbuster e film poveri, che era già stato al centro di una lunga polemica tra registi e Stato, innescato dalla regista Pascale Ferran e cavalcato più o meno da tutti gli addetti ai lavori.

Per uscire dalla crisi bisogna guardare meno a Hollywood (da dove infatti arriva solo il ragazzaccio Tarantino) e più in Europa, seguendo magari l’esempio di Ken Loach che innalza a star un ex calciatore come Cantona, o di Michael Haneke che non nasconde le sue tentazioni televisive ( Das Weisse Band doveva essere una miniserie per il piccolo schermo) o di Resnais, che sembra girare sempre la stessa storia con gli stessi attori e ogni volta riesce a sorprendere…

O magari fare come in Oriente, dove i maestri dell’Est ingaggiano le star dell’Ovest per cercare nuovi mercati (Johnnie To che usa Johnny Hallyday , Tsai Ming-lian insieme a Fanny Ardant, Jean-Pierre Léaud e Laetitia Casta). E naturalmente non stupirsi se noi presentiamo solo Vincere: secondo i francesi il cinema medio degno di un festival (cioè con dichiarate ambizioni d’autore) in Italia lo sanno fare in pochissimi. L’anno scorso Garrone e Sorrentino, quest’anno Bellocchio.

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