Dalla rassegna stampa Cinema

Roma 2008 - Mutazione Cronenberg, artista e romanziere

Il regista de «La mosca» è a Roma in occasione della sua mostra

CINEMA
«Mio padre era uno scrittore e ho sempre pensato che lo sarei diventato anch’io. Ho buttato giù solo sessanta pagine del mio libro, ma lo hanno già tradotto in tutte le lingue». E sul palco lasciato dal filmaker arrivano i registi che hanno firmato «8», film che tiene d’occhio i politici del mondo: Sissako, Campion, Garcia Bernal, Nair, Noé, Van Sant, Kounen e Wim Wenders

ROMA
La mosca ha subìto successive mutazioni. David Cronenberg ha deciso di alternare il cinema con altre forme di espressione artistica e incontra il pubblico al Festival di Roma in occasione della sua mostra al Palazzo delle Esposizioni: dopo aver fatto la regia di un’opera lirica da The Fly messo in scena a Los Angeles, adesso Chromosomes è il suo debutto nel campo dell’arte. Partendo da fotogrammi dei suoi film ha realizzato cinquanta opere con immagini da La Mosca, Videodrome, Inseparabili, Il pasto nudo, Spider, La promessa dell’assassino, realizzati con la collaborazione del Centro sperimentale, li ha elaborati digitalmente e stampati con una nuova tecnica. Centrale nella sua ricerca resta il piacere di indagare al di là della natura umana.
Il rapporto tra arte e mutazioni genetiche individua quindi anche il «corpus» artistico come possibile oggetto di mutazione. Infatti sembrerebbe che a un certo punto dai suoi film siano sparite le mutazioni dei corpi per esplorare il territorio dell’invisibile: «Posso dire che non sono mai riuscito a catturare un’immagine dell’invisibile – dice Cronenberg – e con questo intendo l’astratto, il concettuale. È possibile esprimere qualcosa attraverso il dialogo, ma la forza di un film sta nella sua qualità visiva, nella capacità di creare metafore, possiamo concentrarci sui movimenti del corpo, sull’essenza fisica di ciò che siamo. Non ho mai riflettuto su questo tema in maniera tattica».
Un’altra incursione di disincarnazione la sta facendo proprio ora, nel campo della letteratura, con la scrittura: «Mio padre era uno scrittore e ho sempre pensato che lo sarei diventato anch’io. Ho scritto solo sessanta pagine per adesso, è stata un’esperienza interessante, iniziata quando mi hanno chiesto se avessi mai pensato di scrivere un romanzo. Erano cinquant’anni che ci pensavo e ora è già stato ‘tradotto’ in tutte le lingue, anche se non l’ho ancora finito. Posso solo dire che non è un horror, non è alla Steven King, non è di fantascienza». In quanto alle sue preferenze letterarie, dice, legge molta letteratura russa, Guerra e pace, Gogol, Dostojevskij. «E Nabokov, tra i miei preferiti».
Proprio partendo da Nabokov indica la differenza tra ciò che può essere un film d’élite e un film popolare (nel suo caso i due elementi coincidono, regista amato dai cinéphiles e dal pubblico più allargato): «In Nabokov c’è una straordinaria energia nella volgarità filistea, con Lolita ha ottenuto un successo di portata mondiale. Voglio stabilire un contatto con il mio pubblico. Alcuni film sono impregnati di cultura pop e quindi invecchiano più facilmente, altri fanno riferimento a una cultura più generale. Per quanto riguarda il successo, La Mosca è il mio film che ha ottenuto più successo ed è di venti anni fa. Ma sono ben lontano dai film da cento milioni di dollari. Una volta Oliver Stone mi disse: ‘ti piace essere così marginale? Se devi fare un film da cento milioni di dollari ti deve essere chiaro a che partita vuoi giocare’. Io sono completamente guidato dal mio intuito». Sottolinea poi la sua derivazione dall’underground: da Stan Brakhage che dipingeva i fotogrammi, come lui ora interviene sui suoi: «Lo conosco bene, tra i cineasti che mi hanno ispirato c’era lui come Kenneth Anger, Jonas Mekas e gli artisti che lavoravano a New York e Toronto. C’è stato uno scambio tra cineasti canadesi e underground».
Sul palco lasciato da Cronenberg arrivano i registi che hanno firmato 8 e sono come una commissione internazionale che tiene d’occhio il mondo in cui viviamo e di cui ci possiamo fidare più di tanti politici: abbiamo di fronte Abderramane Sissako che svolge con il suo cinema una funzione di guida per i paesi africani, Jane Campion avanguardia femminista, il giovane Gael Garcia Bernal, cosciente del suo impegno, Mira Nair che ci ha portato una visione inedita della donna, Gaspar Noé e Gus Van Sant ovvero l’immagine dirompente, Jan Kounen dal Perù amazzonico, Wim Wenders, autorevole portavoce di quanto si iniziò a fare negli anni settanta. Nel 2000, durante il vertice del Millennio convocato dalle Nazioni unite 189 capi di stato e di governo sottoscrissero un documento con gli otto obiettivi da realizzarsi entro il 2015. Il film 8 voluto dai produttori Marc Obéron e Lissandra Haulica (da richiedere a www.filmsdistribution.com) è stato realizzato in maniera indipendente per rilanciare l’importanza degli otto punti che rischiano di sfuggire dalla memoria dei firmatari, ora che sono sempre più occupati a risolvere i loro problemi interni, senza pensare che ambiente, povertà, istruzione, uguaglianza, malattie, sostenibilità, collaborazione per lo sviluppo riguardano ormai tutti.
Sissako con il primo punto, «Eliminare la povertà estrema e la fame», porta sullo schermo l’immagine capovolta di un continente di cui si mostra in tv solo l’aspetto drammatico e patetico e non anche la forza gioiosa e inventiva: i suoi piccoli protagonisti esplodono di forza propositiva, una nuova generazione che non prova fiducia nei confronti delle soluzioni, ma agisce in prima persona. Fa venire in mente la grande idea del microcredito, al centro dell’episodio di Wim Wenders, altrettanto abile nel mostrare come sono assemblate le immagini televisive per comporre l’affare «povertà»: la gente povera, si dice, è la soluzione, non il problema. A chi chiede se il cinema può risolvere i problemi, Sissako risponde che almeno è importante che gli artisti si esprimano su queste cose, mentre Wim Wenders sostiene che risolvere i problemi è compito dei governi e che se i governi (come quelli che disattendono il protocollo di Kyoto) non lo fanno, allora è bene fare sentire la nostra protesta.

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