Dino Risi è il primo maestro che ho conosciuto. Lo avevo scelto come partner per un incontro pubblico
NEW YORK
In attesa di tornare sugli schermi con il nuovo film Un giorno perfetto, avventura americana per Ferzan Ozpetek, presente al Lincoln Center di New York per la rassegna “Open roads” con Saturno contro, che sarà distribuito in America durante l´estate, mentre è in programma una retrospettiva al Moma dal 4 dicembre, organizzata in collaborazione con Cinecittà. «Quando mi hanno chiamato mi ha fatto molto piacere, è una bella occasione. Per la prima volta si vedranno tutti i sette miei film». Di Un giorno perfetto, tratto dal romanzo di Melania Mazzucco, prodotto da Fandango, di cui sta ultimando l´edizione, la prima copia in pellicola sarà pronta il 25 giugno. Se ne parla tra i candidati alla Mostra di Venezia, ma piacerebbe anche alla Festa di Roma.
Allora Ozpetek, Venezia o Roma?
«Sono problemi che interessano di più al produttore e al distributore, decideranno loro. Qualunque sia la scelta, l´unica cosa a cui tengo è il rapporto con il pubblico».
Un giorno perfetto è il suo primo film da un romanzo.
«Prima ho letto la sceneggiatura fatta da Sandro Petraglia e mi era piaciuta. Solo dopo ho letto il libro della Mazzucco. Ho detto subito di sì, poi sono cominciati i dubbi, è un film difficile. Abbiamo rielaborato la sceneggiatura e mi sono rassicurato, ho pensato che partendo da un romanzo e non da un´idea originale si risparmiano energie per le riprese».
Perché dice che è un film difficile?
«Perché è una storia forte, c´è qualche momento di humour ma è un film decisamente drammatico. Ho scelto inquadrature diverse rispetto al passato, non ci sono le scene corali intorno ad un tavolo con il cibo e non c´è neanche un gay. Nel libro c´era ma lo abbiamo cambiato in donna, è il personaggio interpretato da Monica Guerritore. Sono particolarmente felice del cast. Emma, la protagonista, è Isabella Ferrari, straordinaria, rivedendola durante il montaggio la trovo quasi inquietante, è qualcosa al di fuori di lei e di me, con lei le scene più difficili diventano magiche. Nella scena finale è emozionante la sua camminata sui tacchi alti, mangiando un gelato. L´abbiamo ripetuta 19 volte, ha mangiato 19 gelati e l´ha fatto senza un attimo di stanchezza».
Chi sono gli altri?
«La madre di Emma è Stefania Sandrelli, anche lei un po´ diversa dal libro. Per Antonio, il poliziotto avevo pensato a Bardem, troppo impegnato, poi a Fiorello, che ha letto la sceneggiatura, gli è piaciuta, ma non se la sentiva. «Sono troppo Fiorello», mi ha detto, temeva di non essere credibile. In quel periodo ho visto Valerio Mastandrea in una situazione curiosa con la sua ragazza e aveva uno sguardo rigido, duro: ho visto Antonio, il poliziotto con gli occhi buoni ma capace di grande cattiveria. Prima del film è andato in palestra e ha acquistato una gestualità sicura, determinata. Altri due bravissimi sono Valerio Binasco e Nicole Grimaudo, il politico e la moglie».
Come definirebbe il film?
«La storia di una grande passione e insieme il dramma dell´impossibilità di amare».
Inevitabile parlare della morte di un maestro come Dino Risi: che ricordo ne ha?
«L´ho conosciuto quando ho cominciato a lavorare con Marco Risi, ero emozionato, era il primo dei maestri che ho incontrato. L´avevo sentito pochi giorni fa, avevo scelto lui per una serie di incontri tra registi di generazioni diverse, e avevo scelto il suo “Il segno di Venere”, un film che mi ha segnato, in particolare per l´antitesi tra i personaggi femminili, Sophia Loren e Franca Valeri. Ha detto che non se la sentiva e abbiamo rinviato l´incontro. Non voglio dire le solite frasi, ma la sua scomparsa è un grande dolore, ho perso un punto di riferimento».
Stando qui a New York, le viene voglia di restare in America?
«Mai pensato veramente. La cosa interessante è che ogni tanto mi arrivano dei progetti, ma finora niente di concreto. L´unico che mi era piaciuto era “Da quando Otar è partito” che non si è mai fatto. Come dice il mio agente bisognerebbe restare qui qualche mese, però non mi va di cambiare. L´ho già fatto, in qualche modo per me l´America è l´Italia, ci sto bene, mi sento italiano, mi piace girare in Italia, starei tutto il giorno sul set, mi sento vivo. Capisco i registi anziani disposti anche a fare stupidaggini pur di tornare sul set. E una droga, la mia vera droga».
Cosa pensa dell´affermazione degli italiani a Cannes?
«Felice, come tutti credo. La cosa più importante è la bella risposta del pubblico anche giovane a film che non sono tra i cosiddetti commerciali. Ma l´interesse degli spettatori per il cinema italiano amato dalla critica è cominciato da qualche anno. Ricordo che per me fu molto incoraggiante il successo di “Pane e tulipani” di Soldini, non era un successo scontato».
Segue sempre l´attualità della Turchia?
«Sì, ma non è giusto parlarne, non ci vivo da troppi anni, non ne ho nessun diritto. In realtà nella mia vita tutto è trasversale, la nazionalità, la sessualità, anche il cinema che faccio. Ma forse la vita dovrebbe essere un po´ trasversale per tutti».