Eventi A Salonicco i riconoscimenti continentali dell’anno
DAL NOSTRO INVIATO
SALONICCO — «E’ curioso, il cinema mi ha premiato spesso, ma è la prima volta di un riconoscimento prestigioso per il teatro»: a dirlo è Patrice Chéreau, che domenica riceverà il Premio Europa per il Teatro. «Una consacrazione? Spero proprio di no». Non per rovinare la festa, non per somigliare a quel «signore irritante, angosciato e insoddisfatto » che emerge (e in cui lui non si riconosce) dalla biografia firmata da Colette Godard; ma — osserva il regista francese — lo premiano proprio ora che al teatro preferisce il cinema e l’opera lirica.
«Ormai le stagioni teatrali si decidono con molto anticipo, dovrei dire oggi cosa farò nel 2010. Non è normale, il teatro è il presente, dovrebbe rimanere un atto importante, grave, privilegiato. Parlare allo spettatore della sua vita, con l’attore che è li, di fronte a te, la parola che si fa carne».
La visione pessimista di Chéreau si stempera però leggendo i nomi degli altri premiati, fra gli emergenti. Il polacco Krzysztof Warlikowski, bello e torvo come una rockstar, attratto da tragedie contemporanee, un teatro — hanno scritto — capace di morbidezze intollerabili e di violenze fascinose. E il Belarus Free Theatre di Minsk, che lavora anche a costo del carcere per attori e spettatori, sotto la continua minaccia del governo della Bielorussia ma con il sostegno di tanti, come l’ex presidente cecoslovacco Havel, Pinter, Stoppard e, perfino Mick Jagger. Un teatro politico all’estremo — è stato definito — un teatro di sopravvivenza.
«E’ un segno di speranza — ammette Chéreau —. Un teatro dell’urgenza, dell’ emergenza che arriva da lontano. A volte penso che il Francia o in Italia viviamo troppo bene per fare un teatro così. C’è Ariane Mnouchkine, è vero, ma è un caso particolare, unico, il suo è rimasto un impegno totale, senza compromessi. Un teatro civile, per usare una bella parola italiana».
Per sé Chéreau ha scelto un percorso più imprevedibile, inquieto: «Non amo stare nel posto dove mi aspettano. Così dopo anni sono tornato all’opera lirica e ho fatto fra le mie cose migliori, come De la maison des morts di Janacek che fra due anni porterò anche alla Scala, che non è il mio teatro preferito, non lo amo molto. Ho fatto il Tristano perché ho seguito Lissner, è diverso: ero in trappola, non potevo dire di no».
Il teatro non gli manca: «Perché poi sono sempre lì, in palcoscenico, impegnato nelle letture di autori che amo, libero da infrastrutture, a respirare, masticare le parole, per fare arrivare i pensieri al pubblico». A Salonicco sarà protagonista di due letture, La Douler della Duras — a fianco di Dominique Blanc — e, da solo, Coma di Pierre Guyotat, entrambi con la regia di Thierry Thieu Niang. Due testi intimi, molto duri, crudeli.
Coma sarà poi riproposto prima di settembre anche a Roma, a Villa Medici, sede dell’Accademia di Francia, diretta da Richard Peduzzi, lo scenografo che collabora con lui da sempre. «Per salutarla, dire arrivederci», spiega con un sorriso provocatorio.
Chéreau è stato infatti protagonista a Parigi della «battaglia di Villa Medici» per la designazione del nuovo direttore, contro la scelta di Georges-Marc Benamou, appena allontanato dal suo posto di consigliere per la cultura all’Eliseo.
«Da secoli firmo petizioni senza risultato. Fatto rarissimo, questa volta abbiamo avuto successo. Quella scelta era veramente penosa, Benamou è stato ridicolo ad autonominarsi».
Per la verità si dice che il merito sia stato di Madame Bruni-Sarkozy, che avrebbe parlato con il marito… «Carla è italiana, gli ha fatto leggere gli articoli del Corriere della Sera edi Repubblica…
Ora, una commissione — ne faccio parte anch’io — sceglierà una rosa di nomi da proporre al presidente. A suo tempo de Gaulle mandò Balthus, su consiglio di Malraux, ma oggi bisogna essere democratici!».
PRIMA VOLTA Chéreau: «Dopo tanto palcoscenico, è il mio primo premio teatrale»