Dalla rassegna stampa Cinema

Un libro sull´industria del cinema

La città del cinema riflette e naturalmente influenza anche i mutamenti sociali

Negli anni Sessanta finì la stagione dello “studio system” e con Coppola, Spielberg e Scorsese iniziò la rivoluzione che dura tuttora
Tra i cinque film candidati all´Oscar nel ´67 ve ne sono due interpretati da Sidney Poitier
“Pictures at a Revolution” esce mentre è in atto un nuovo momento di crisi e cambiamento

C´è stato un momento in cui Hollywood è sembrata crollare sotto il peso del sua stessa grandiosità, che agli occhi del pubblico, dei produttori e di tutti gli addetti ai lavori apparve improvvisamente come una forma di patetico e anacronistico gigantismo. La crisi, che esplose all´inizio degli anni Sessanta, portò al crollo del cosiddetto «studio system» (la realizzazione dei film controllata in ogni fase ed elemento artistico dalle grandi case di produzione), e alla nascita di una generazione di autori che rivoluzionarono in maniera irreversibile il linguaggio e la proposta culturale della “fabbrica dei sogni”: Francis Ford Coppola, Steven Spielberg, Martin Scorsese, Hal Ashby, William Friedkin, George Lucas, Brian De Palma, Peter Bogdanovich, John Milius. Insieme a loro, e a registi come Robert Altman e Sydney Pollack, che solo marginalmente hanno fatto parte di quel gruppo, esplose anche una generazione di interpreti, tra i quali spiccano personalità che continuano a dominare gli schermi di tutto il mondo: Al Pacino, Gene Hackman, Jack Nicholson, Dustin Hoffman e Robert De Niro.
Un libro appena uscito negli Stati Uniti a firma di Mark Harris, intitolato Pictures at a Revolution (Penguin Press, pagg. 490, dollari 27.95) racconta quel momento di cambiamento culturale, ed è interessante notare che ciò avviene mentre Hollywood sembra vivere un nuovo momento di crisi e rinnovamento, e proporre una nuova generazione di autori come Sofia Coppola, Paul Thomas Anderson, Todd Solondz, Alexander Payne, Wes Anderson, Quentin Tarantino e Spike Jonze. Il cambiamento di allora, come quello attualmente in corso, riflette e nello stesso tempo influenza un cambiamento sociale e culturale che trovò negli anni sessanta il proprio inno nella canzone di Bob Dylan «The times they´re a changing», e che oggi trova un´eco evidente nel video girato da una attrice della nuova generazione come Scarlett Johanson per ripetere insieme a Barack Obama «Yes we can».
Il libro, piacevolissimo e pieno di aneddoti rivelatori, si colloca nella stessa linea dei due classici del genere: The Studio di John Gregory Dunne e Easy Riders, Raging Bulls, nel quale Peter Biskind raccontava eccessi, vizi e talenti della generazione degli anni settanta. Per raccontare gli elementi più interessanti di quella che definisce una vera e propria «rivoluzione» Harris sceglie di focalizzare il proprio testo sui cinque film che vennero candidati all´Oscar nel 1967. É l´anno della svolta definitiva, quello in cui i «movers and shakers» che avevano prodotto solo pochi anni prima film come Cleopatra si resero conto di aver perso il contatto con la sensibilità delle nuove generazioni e cominciarono a riconoscere, con un misto di disagio e opportunismo, che non si poteva procrastinare il momento in cui Hollywood avrebbe dovuto interpretare ed influenzare quello che stava succedendo. Oggi potrebbe sembrare un semplice cambiamento di strategia editoriale, ma invece si trattò di cambiare radicalmente il modo di concepire la proposta artistica e commerciale scommettendo su nomi e storie totalmente nuove, di smantellare un´organizzazione produttiva che prevedeva ogni «talent» sotto contratto, e di mandare in pensione una generazione di star di grandissimo nome che rappresentavano agli occhi del pubblico il volto di un cinema del passato.
Il passaggio fu tutt´altro che indolore, ma furono spesso i vecchi mogul ad avere le intuizioni più felici: Lew Wasserman, all´epoca a capo della Universal, individuò in un ventenne di nome Steven Spielberg un regista su cui scommettere dopo aver visto il cortometraggio Amblin. La lista dei film candidati nel 1967 riflette le due fazioni opposte. I titoli erano infatti: Indovina chi viene a cena?, La calda notte dell´ispettore Tibbs, Gangster Story, Il Laureato e Il favoloso Dottor Dolittle.
Alcuni elementi saltano immediatamente agli occhi: ben due film hanno come per protagonista Sidney Poitier, e nel caso di Indovina chi viene a cena? si assiste al tentativo di far convivere due diverse generazioni di attori, e di affidare l´interpretazione dei cambiamenti di cui cantava Bob Dylan ad un cineasta della vecchia generazione come Stanley Kramer. Oggi il film appare assolutamente datato, e la scelta di un attore della classe e del carisma di Poitier smorza ogni potenzialità provocatoria, ed è curioso notare che due anni fa Hollywood ha tentato di riproporre la stessa vicenda invertendo le razze dei protagonisti. La lista mette insieme titoli che sembrano provenire da epoche diverse, ed è ancora più sintomatico notare che persino Dolittle, di gran lunga il più anacronistico dei film candidati, abbia avuto un remake in versione afro-americana con protagonista Eddie Murphy. Come è successo spesso in questi casi, Hollywood quell´anno finì per fare una scelta ecumenica, e premiò La calda notte dell´ispettore Tibbs come miglior film e Mike Nichols come regista per Il Laureato. La Hepburn come migliore attrice e Estelle Parsons come non protagonista per Gangster Story, forse il film più rivoluzionario della cinquina sin dalla tag-line: «Sono giovani. Sono innamorati. Uccidono». Ma al di là dell´analisi critica il libro risulta interessante per il racconto di un´epoca di fermenti appassionanti e disordinati. Harris racconta la festa offerta da Jane Fonda a Malibu per il giorno dell´Indipendenza del 1965, alla quale parteciparono da un lato il fratello Peter ed i semisconosciuti Jack Nicholson e Dennis Hopper, da un altro il padre Henry ed i suoi amici della vecchia Hollywood: Gene Kelly, Darryl Zanuck, William Wyler e George Cukor. Ogni tipo di comunicazione era impossibile, e Peter Fonda aveva avuto anche l´idea di chiamare i Byrds a suonare per gli ospiti. In un´analoga festa di pochi anni dopo William Friedkin disse proprio a George Cukor «presto ci sbarazzeremo di voi» ma atti di arroganza e volgarità vennero perpetrati da entrambe le fazioni in campo. Harris racconta della sera che Rex Harrison, conscio di avere imboccato il viale del tramonto, cominciò a scandalizzare i commensali di un ristorante di Hollywood intonando versi scurrili sul suo pene, mentre la moglie faceva esercizi ginnici tra i tavoli senza mutande: un modo alquanto patetico di cercare la sintonia con la generazione giovane di quei tempi ribelli. Pictures at a Revolution analizza come Hollywood abbia rispecchiato nei suoi film le battaglie di quegli anni per i diritti civili, e come abbia progressivamente ignorato e poi smantellato il «codice di produzione» che di fatto censurava la libertà creativa. Il racconto è pieno di dettagli che faranno la gioia dei cinephiles: è un segno di una rivoluzione in corso il fatto che Ronald Reagan e Doris Day, scelti in origine per interpretare Mr. e Mrs. Robinson nel Laureato, fossero scartati da Mike Nichols, e fu un motivo di scontri feroci la decisione di spostare l´interruzione del matrimonio da parte di Benjamin/Dustin Hoffman a cerimonia avvenuta. Nel romanzo il giovane irrompe prima della consacrazione nuziale, ma Nichols sapeva bene che il gesto avrebbe interpretato i tempi che stavano cambiando e che solo in quel modo sarebbe diventato rivoluzionario.


Condividi

Effettua il login o registrati

Per poter completare l'azione devi essere un utente registrato.