Dalla rassegna stampa Tempo libero

Il rugby si sente macho “Non siamo icone gay”

… Non è una guerra contro il diverso: «Che male ci sarebbe, se fosse accettato da tutti? Invece si continua a trattarlo come qualcosa di scandaloso e folcloristico…

Polemiche alla vigilia dei Mondiali

L’ufficio del turismo di Parigi ci ha montato un’intera campagna nel Regno Unito. Occasione: la Coppa del Mondo di rugby che debutta venerdì nella capitale francese. Target: i turisti inglesi. Slogan: godetevi il rugby nella capitale dell’amore. Immagine: una mischia, fatta di avances più che di avanti, dove due coppie di piloni si baciano (alla francese), una seconda linea birichina infila la mano sotto i pantaloncini del compagno e un flanker spinge a palmo aperto su un gluteo aggettante. Sì, perché da quando Max Guazzini, il patron dello Stade Français, si è inventato il calendario dei rugbisti nudi, nel quale hanno esibito i loro fisicacci anche i fratelli Bergamasco e Sergio Parisse, pare che la comunità gay si sia ovalizzata. Di più, estremi, mediani e terze linee (meno i piloni) sono stati promossi «icone gay».
Una definizione che non piace al capitano della nostra nazionale, Marco Bortolami. «Sono contrario al fatto che il rugby venga associato a queste cose – ha dichiarato Bortolami in un’intervista che comparirà nel numero del 6 settembre della nuova rivista Riders Italian Magazine -. Vederci come gay è eccessivo. Tutto è nato dal calendario dello Stade Français, che viene acquistato per il 90 per cento da uomini. Ma bisogna stare attenti in che modo stimoliamo l’attenzione della gente». Non è una guerra contro il diverso: «Che male ci sarebbe, se fosse accettato da tutti? Invece si continua a trattarlo come qualcosa di scandaloso e folcloristico. Non ho mai sentito di colleghi gay, comunque anche questo ci fa capire quanto il modo di trattare il rugby in Italia sia ancora immaturo». Un azzurro del recente passato, oggi commentatore per Sky, Andrea De Rossi, sdrammatizza: «Siamo nel 2007, suvvia. Io di rugbisty gay non ne ho incontrati, anche se qualche voce circola. A ingolosire la stampa è l’immagine di uno sport macho, ma il calendario dello Stade lo possono comprare uomini e donne. Diciamo che io non lo guardo con la lente d’ingrandimento…». Per Pierre Berbizier, il nostro ct, «Nel rugby deve esserci posto per tutti, perché il rugby è rispetto». Serge Simon, ex giocatore di livello internazionale e autore di un saggio sull’omofobia in Francia pensa invece che i preconcetti siano ancora ben radicati. «Il rugby è un ambiente basato su valori arcaici, e sulla rimozione di ogni traccia di femminilità. I rugbisti sono obbligati a mostrare costantemente di essere i più virili». Tranne quelli che, come i componenti dei Sydney Convicts, i reclusi di Sydney, dell’omosessualità fanno una bandiera e prossimamente organizzeranno una serata «Full Monty» per finanziare la squadra.
Omosessuale e rugbista, d’altro canto, era sicuramente Mark Bingham. Un eroe, il mediano di mischia dei Fogs, la squadra gay di San Francisco, che morì l’11 settembre 2001 tentando di ribellarsi ai dirottatori di uno degli aerei della strage, e a cui è intolata la Bingham Cup, il mondiale di rugby per squadre gay. E il prossimo 11 settembre, per Argentina-Georgia ai Mondiali etero di Francia, sarà in campo un rugbista che ha fatto outing: l’arbitro gallese Nigel Owens. Accadde nello scorso maggio, «ed è stato difficile, ho anche pensato al suicidio», dichiarò nell’occasione Owens, 35 anni, di Pontyberem, l’unico referee gallese che fischierà alla Coppa del Mondo. «L’omosessualità è un tabù in questo ambiente. Non volevo mettere a repentaglio la mia carriera, ma sentivo di non potermi più nascondere». Certo, gli arbitri non sono popolari in nessuno sport. Il rugby però è disciplina per gentiluomini. «Ogni tanto qualcuno in campo mi dà del “bent ref” (arbitro con la schiena non diritta, ndr), ma poi subito si scusa: Oh, perdona Nigel, non intendevo in quel senso…».


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