Dalla rassegna stampa Cinema

L’amore gay malgrado la guerra

The Bubble letteralmente significa “la bolla” ed è il soprannome un po’ sarcastico e un po’ autoironico di Tel Aviv, la città di Israele più vivace, più consumista, più allegra, più risparmiata dalla guerra. …

The Bubble letteralmente significa “la bolla” ed è il soprannome un po’ sarcastico e un po’ autoironico di Tel Aviv, la città di Israele più vivace, più consumista, più allegra, più risparmiata dalla guerra. E the Bubble è il titolo della più recente opera del grande regista israeliano Eytan Fox, una bolla che esplode come una bomba di pensieri suggestioni e sentimenti. Non è ancora sicuro che potremo vedere il film nelle sale italiane, lo abbiamo visto ed apprezzato in questi giorni al Festival del cinema gay e lesbico in corso a Torino. Di Eytan Fox molti ricorderanno il successo di Camminando sull’Acqua, una complessa trama piena di colpi di scena che porta un giovane (gay) tedesco – pedinato da un agente del Mossad con il quale sviluppa una conflittuale amicizia – a scoprire che il nonno è stato un aguzzino nazista.
Un discreto successo ha avuto in Italia anche lo struggente Jossi and Jaegger, la storia d’amore tra due soldati israeliani al fronte.
In Camminando sull’acqua era solo accennato, come un episodio secondario, un flirt tra il tedesco e un ragazzo arabo a Gerusalemme. In Jossi e Jaegger gli arabi e i palestinesi sono solo un anonimo nemico lontano, nell’assurdità della guerra.
Finalmente in The Bubble è la relazione tra un israeliano di origine ebraica e un palestinese a far da protagonista. E la guerra a più o meno bassa intensità, la guerra continua, è innanzitutto, paradossalmente, l’occasione del loro incontro. Il venditore di dischi Noam, in uno dei suoi turni al fronte, è tra i controllori del chek point, il palestinese Ashraf è tra i controllati. Una donna araba partorisce prematuramente nella tensione del chek point. Nel trambusto Noam perde la carta d’identità e il palestinese gliela porta a casa. La vita di Noam e dei suoi amici a Tel Aviv è leggera, tra uno spinello e una serata a ballare, un alternativo rave sulla spiaggia dedicato alla pace, la creazione di magliette. Scattato il colpo di fulmine tra i due giovani, apparentemente Ashraf viene accolto bene nel clan di Noam. Ma non ha il permesso di soggiornare a Tel Aviv, è meglio che si finga ebreo, sottilmente è un emarginato. Quando torna a trovare la famiglia a Nablus neanche la sorella lo accetta come gay, e scopre che il cognato organizza attentati contro i civili israeliani e si fa chiamare Jihad. Non vi raccontiamo come la “bolla” viene ferita dai colpi della guerra. «Si è vero, alla fine il film ha una storia triste, ma il mio messaggio non è pessimista» ci dice il regista Eytan Fox ospite del Festival di Torino.
«Quasi un po’ come Romeo e Giulietta l’importante è che i due non si separino, le difficoltà non spezzano il loro amore». Perché hai scelto il tema dell’amore omosessuale maschile tra israeliano e palestinese, ci sono tanti casi? «Ho preso spunto da qualche storia che conosco, ma non è importante quante siano le relazioni miste omosessuali ( o anche eterosessuali), è importante che sono un nervo scoperto, una questione centrale e cruciale, perché investe la combinazione delle identità. Io spero con questi film di dare una spinta per una società israeliana più aperta, contro il machismo e il militarismo.» Nel tuo film l’omofobia palestinese è molto più pesante, sei stato di parte? «No, io non voglio condannarli.
Quando la gente è così oppressa, e al tempo stesso così coinvolta dalla guerra capisco che adesso hanno poco posto nel loro cuore per accettare le minoranze. Però non possiamo arrenderci a questo dato di fatto, dobbiamo cercare di condizionarli perché anche loro si aprano.» Regalo a Eytan Fox una copia del documentario Fuori Fuoco, basato sulle riprese e le interviste del giovane torinese Daniele Salaris pochi mesi fa in Israele. Nel documentario c’è un arabo che si traveste per fare uno spettacolo di drag queen e che racconta di quando gli amanti occasionali che trova a Tel Aviv lo presentano agli amici come ebreo. «Infatti, questa è una cosa importante che ho voluto raccontare» dice Fox «la storia difficile di esser rifiutato come gay in una cittadina araba e di non esser accettato come arabo neanche nella “bubble” Tel Aviv.» Qualcosa di autobiografico? «Il protagonista israeliano del film, Noam, racconta della madre urbanista che aveva progettato i campi giochi misti a Gerusalemme est, e di come protestò quando quel progetto venne fatto fallire seminando diffidenza anti-araba. Quella è la storia di mia madre.» Eytan Fox ci saluta informandoci, divertito, che i due attori protagonisti sono in realtà eterosessuali e hanno grande successo nel pubblico delle giovanissime. The Bubble uscirà tra poco nelle sale francesi e americane.
Speriamo anche in Italia

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