Dalla rassegna stampa Cinema

VENEZIA 63. TRA I MISTERI DI HOLLYWOOD E QUELLI DI BANGKOK, DA MADRID SPUNTA UNA POTENTE (E UN PO` GAYA) OPERA PRIMA.

Azul oscuro casi negro parla di infermità classismo e omosessualità. Per GAY.tv la cronaca di Marco Venezia.

La terza giornata a Venezia 63 non ha portato particolari scossoni. Lo statunitense Hollywoodland di Allen Coulter indaga sulla vita e la morte (omicidio? suicidio?) nel 1959 di George Reeves, l’attore divenuto celebre come il primo Superman del piccolo schermo: Ben Affleck è più credibile del solito, Adrien Brody affronta in souplesse il ruolo del detective sfigato, Diane Lane e Bob Hoskins si ritagliano due ruoli da comprimari di lusso e lasciano il segno (soprattutto la Lane); ma nel complesso, il film fila via in maniera tanto piacevole quanto dimenticabile.

Il secondo film in concorso oggi è ‘Sang sattawat’ (La luce del secolo) del thailandese Apichatpong Weerasethakul, del quale il pubblico gay aveva già potuto apprezzare l’enigmatico e rarefatto ‘Tropical Malady’ (vincitore del premio della giuria a Cannes 2004 e del Torino Gay&Lesbian Film Festival del 2005). La storia che Weerasethakul ci presenta qui non ha in effetti nulla di gay ed il film è tanto sottilmente affascinante quanto difficile da raccontare: cinema di silenzi, di atmosfere, di sensazioni, di memorie: al sottoscritto è piaciuto molto, ma non è il genere di pellicola che consiglierei a chiunque.

La sorpresa della giornata arriva invece dalla benemerita sezione parallela “Giornate degli Autori” con l’opera prima spagnola ‘Azul oscuro casi negro’ (Azzurro scuro, quasi nero) di Daniel Sánchez Arévalo, sensibile e divertente “drammedia” ambientata a Madrid, che, partendo dall’amicizia che lega due ragazzi, analizza i loro rapporti con la famiglia, con il sesso, con le aspettative per il futuro, con gli imprevisti della vita: il tutto con uno sguardo sincero e non puritano anche di fronte a temi quali l’infermità, il classismo, la scoperta della propria omosessualità… o di quella di un genitore, in un riuscito mix di momenti drammatici e parentesi leggere cui il cinema iberico ci ha ormai abituato (non solo grazie ad Almodóvar) e che invece sempre più latita nei prodotti nostrani (dove, temiamo, una tematica simile sarebbe stata affrontata o con un drammone a tinte fosche o con i toni pecorecci e petulanti delle commediacce à la Christian De Sica). Chapeau, davvero, a questo ‘Azul oscuro casi negro’.. Avercene, di esordi così, dalle nostre parti!

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