La candidata di Rifondazione comunista Vladimir Luxuria nel santuario fondato da San Guglielmo, nel 1600, accende una candela davanti all’immagine della Madonna, che secondo la leggenda salvò due omosessuali condannati a morire di freddo e di fame. Da allora nelle case di tutti i femmenielli napoletani c’è l’immagine di «Mamma Schiavona», che considerano loro protettrice
La candidata di Rifondazione in visita presso una antica chiesa tra Salerno e Avellino dove c’è «Mamma Schiavona», la patrona dei femmenielli. Dove si celebra una festa con 10 mila coloratissimi devoti
I due carabinieri sbadigliavano sulla gazzella con il motore acceso, combattendo il freddo e la noia del turno di guardia in un parcheggio deserto.
Era in apparenza un martedì qualsiasi il 14 marzo.
Le 5 di un pomeriggio senza sole, strada ghiacciata, neve alta, freddo cane. Quand’ecco che dalla strada che sale da Avellino, 15 chilometri di curve sul Monte Partenio, sono spuntate inattese un paio di automobili; ne sono scese cinque, sei persone. Una si è fermata a fare a palle di neve sul sagrato, ed era il sospetto Francesco Caruso, candidato dei no global; un’altra si è avviata in fretta verso il santuario.
Davanti agli occhi allibiti dei carabinieri ha acceso un cero, è stata un attimo in raccoglimento davanti all’altare maggiore e subito è andata via.
Era Vladimiro Guadagno, meglio noto come Vladimir Luxuria, candidata transgender di Rifondazione. Buddista, per di più.
Che ci faceva mai a Montevergine, santuario fondato da San Guglielmo nel 1600? In preghiera, oltretutto, davanti a un’icona bizantina della Madonna? Semplice: lei e Caruso stavano facendo campagna elettorale per Rifondazione.
La mattina ad Avellino, il pomeriggio a Salerno.
E tra un comizio e l’altro l’aspirante deputata, prima trans europea candidata al parlamento, ha chiesto ai compagni di accompagnarla a rendere omaggio alla «Madonna dei femmenielli».
«La Madonna di Montevergine è da sempre democratica: non fa differenze di orientamento sessuale tra i suoi figli. E dunque è la protettrice dei femmenielli, dei trans e dei gay» spiega Luxuria in versione pellegrina.
Preparatissima, oltretutto: «Si tratta di un culto che risale al Medioevo, a una leggenda che racconta di due omosessuali condannati a morire di freddo e di fame nei boschi sul Monte Partenio. La Madonna ha avuto pietà di loro, ha squarciato le nubi, ha rialzato la temperatura. I due ragazzi sono sopravvissuti e, da allora, nelle case dei femmenielli l’immagine della Mamma Schiavona non manca mai».
Ovvio, è un culto marginale e poco risaputo fuori dalla Campania; poco indagato perfino dagli antropologi. Ovvio, le gerarchie ecclesiastiche faticano a mandarlo giù. Ma ogni anno il 2 febbraio, per la festa della Candelora, a Montevergine arrivano decine di pullman di devotissimi: omosessuali, transessuali, femmenielli. Tutti tirati a lucido, ben truccati, impellicciati, qualcuno addirittura vestito da sposa, e tutti dotati di caccavelle, scetavajasse e castagnette, ossia tamburi a frizione, violini a sonagli, nacchere in legno d’ulivo.
All’improvviso, sul sagrato, si leva potentissima la voce di Marcello Colasurdo, femmeniello dai lunghi capelli grigi raccolti a coda di cavallo: «Mamma Schiavona, Mamma Schiavona, nui venimme a te ca devozione» intona a distesa il leader storico della canzone popolare napoletana di protesta.
È una tammurriata che tra il sacro e il profano coinvolge fino a 10 mila persone. «Da Napoli arrivano non solo i femmenielli ma praticamente tutto il quartiere d’appartenenza: madri, signore anziane, bambini, amici, vicini di casa. Tutti stipati sui pullman noleggiati per la festa» spiega l’antropologa Domenica Borriello.
E che festa. Canti e balli, femmenielli e tammare convivono con il rito religioso («’Na messa ‘a fanno loro e ‘na cantata ‘a facimmo nuie: Mamma Schiavona ‘o sape ca fede è ‘a stessa» ripete sempre Marcello) da più di quarant’anni. O meglio, convivevano. Perché nel 2002 l’abate di Montevergine, Tarcisio Nazzari, ha deciso di mettere un freno a tanto schiamazzo, accusando i femmenielli di profanare il tempio.
Apriti cielo! Esattamente la domenica dopo, sullo stesso sagrato, è stato organizzato un Femmeniello pride. Colasurdo ha scatenato la sua tammorra al grido di «Simmo femmenielli e va bbuono, ‘o necessario è ca simmo figli d’a Schiavona», mentre i ragazzi del centro sociale Malepasso di Avellino tenevano il tempo e gli esponenti del circolo Mario Mieli di Roma ricordavano che «davanti alla Madonna non esistono discriminazioni sessuali».
È stato allora che Vladimir è salita al santuario per la prima volta. Tutta vestita di nero, con una veletta sul cappello («Perché il 2 febbraio a Montevergine è morta la carità cristiana»), ha cercato di convincere l’abate a essere meno rigido.
«I femmenielli sono più che una tradizione, sono un’istituzione da mettere sotto la tutela del Wwf perché stanno scomparendo» scuote la testa Vladimir, risalendo in macchina.
Lei lo sa bene: il 21 aprile, dopo le elezioni, sugli schermi italiani uscirà «Mater Natura», il film di Massimo Andrei in cui la futura deputata impersona un femmeniello. Ben diversi dai gay moderni, con i loro pride e il loro look da metrosexual, lontani anni luce dai transessuali che anelano a un nuovo status anagrafico e al cambiamento di sesso, i femmenielli sono sempre stati sul limitare tra i due sessi, uomini con movenze e trucchi da donna, pantaloni e mascara, ma pur sempre uomini.
Ben inseriti nella vita del loro quartiere, senza traumi né discriminazioni. Erano le baby sitter dei vicini, pettinavano e truccavano le signore del quartiere. Avevano ruoli pubblici che nessuno avrebbe mai osato contendere loro, come quello di capotombola.
«I femmenielli hanno elevato a pura arte il compito di estrarre, commentare e sceneggiare i numeri. Ancora oggi le migliori tombolate a Napoli sono le loro» garantisce Luxuria. Come no? L’attore Gino Curcione ci ha perfino ricavato uno spettacolo, Tombola, con cui gira l’Italia da anni.
L’ha portato anche in America. Un femmeniello a New York, vi pare strano? Beh, statevi accuorti: a Montecitorio potremmo avere presto una trans.