Dalla rassegna stampa

«Philadelphia», la battaglia contro l’Aids premiata dall’Oscar

…Philadelphia , il film di Jonathan Demme che nel 1993 sdoganò per il grande pubblico argomenti tabù come l’omosessualità legata alla devastante e traumatica esperienza dell’Aids…

Domani con il «Corriere», a soli 3,50 euro, la videocassetta della pellicola con Tom Hanks e Denzel Washington
E Bruce Springsteen ebbe la statuetta per il brano «Streets of Philadelphia»

Dieci anni dopo il grande successo internazionale, sancito da due Oscar e dal plauso del pubblico medio borghese, soprattutto femminile, arriva domani nella raccolta delle cassette del Corriere , a soli 3,50 euro oltre al prezzo del quotidiano, Philadelphia , il film di Jonathan Demme che nel 1993 sdoganò per il grande pubblico argomenti tabù come l’omosessualità legata alla devastante e traumatica esperienza dell’Aids. Certo che questo film, con il suo slancio civile ed umano, con il suo racconto aperto e senza moralismi, con la prestazione appassionata di celebri attori, tra cui Tom Hanks che vinse l’Oscar, Denzel Washington, Antonio Banderas e il compianto Jason Robards, è stato benemerito per la battaglia contro i pregiudizi. Raccontando con molta semplicità la storia di un giovane, brillante avvocato gay che viene improvvisamente licenziato dall’importante studio in cui lavora sotto la falsa causa di inadempienza professionale, mentre la vera ragione è che è malato di Aids.
Comincia così un doppio calvario sanitario e civile-umano, almeno finché il nostro, assistito amorevolmente da un compagno (proprio lui, l’ultimo degli amanti infuocati latini, il bell’Antonio Banderas), non trova un collega di colore che prende le sue difese in tribunale: vincerà la causa ma purtroppo lo attende subito dopo un inesorabile appuntamento. Morirà almeno soddisfatto di veder ristabiliti i torti e accompagnato fino all’ultimo dalla comprensione di amici e parenti e dall’affetto della famiglia, anche oltre ogni ragionevole media sentimentale in atto nei Paesi avanzati.
Certamente appartiene alla solida fattura dei melodrammi, ma Philadelphia non pecca di retorica, commuove virilmente e ha una marcia in più, un valore aggiunto per la battaglia che combatte. Dieci anni fa era agli inizi la lotta per i diritti legali delle coppie di fatto e per l’adozione di bambini da parte di coppie omosessuali.
Il molto ben scritto film di Demme, il grande regista del Silenzio degli innocenti , meno macabro e barocco ma più professionale e omologato del solito, punta il dito contro l’ipocrisia alto borghese newyorkese, il patteggiamento morale di chi si benda gli occhi, il virus del pregiudizio che è molto peggio di quello della malattia e che negli anni ’50 e ’60 era stato preso di mira da una generazione di intellettuali americani compresi Tennessee Williams, Gore Vidal, Truman Capote.
Il nero Washington, ex Malcolm X, offre una poderosa performance, rappresentando il cittadino medio che si trova a contatto con un mondo diverso, ed annulla i razzismi di cultura, pelle, sesso, in nome del famoso primo emendamento americano tante volte citato nei film di tribunale. Nel suo andamento ordinato e appassionato, il racconto si ritaglia zone più private, una scena di culto gay con la divina Maria (Callas) che canta l’Andrea Chènier e il nostro che va in visibilio.
Dieci anni dopo, il messaggio dell’opera resiste, anche se nel frattempo la figura del gay integrato è arrivata in tv sia in Commesse sia nel serial per addetti ai lavori Queer as folk , in onda sui canali satellitari. Alla forza trainante del gruppo di interpreti maschili, con un Tom Hanks particolarmente misurato e convincente – vale sempre la regola di affidare la parte di omosessuale solo a chi è etero – si aggiunge un altro grande che, dietro le quinte, si è preso il secondo Oscar contribuendo in maniera decisiva al tasso emozionale: Bruce Springsteen con la canzone «Streets of Philadelphia».

Maurizio Porro www.corriere.it

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