Dalla rassegna stampa Cinema

Una finestra aperta sul passato

Lirismo ma anche banali consuetudini nel film di Ferzan Ozpetek

L’ultima apparizione di Girotti accanto a Bova e Mezzogiorno

SASSARI. “La finestra di fronte” di Ferzan Ozpetek ha un titolo sbagliato o comunque parziale: allude ad Hitchcock e allo sguardo “voyeristico” di James Stewart, ma in realtà mostra due personaggi (Giovanna Mezzogiorno e Raul Bova) che si spiano dolcemente dalle loro rispettive abitazioni. Lei è una giovane madre di due bambini, sposata ad un marito buono e affettuoso ma incostante; lui è un single. Il contorno umano di questa traccia amorosa – che purtroppo è uno dei tanti inciampi di una bella vicenda – è un condominio multietnico alla Ozpetek, cioè politicamente corretto. Ma l’incontro fatale, che giunge dopo meno di mezz’ora dall’inizio, non fa svoltare il film in direzione di un melodramma, ma piuttosto rafforza la storia principale, che emerge dalle prime immagini e non è in nessun modo ostacolata dagli sguardi amorosi dei due protagonisti. Questa storia s’identifica quasi interamente con il volto magnifico (seppure già segnato dalla malattia) e il passo lento e difficoltoso di Massimo Girotti, icona e memoria di cinquant’anni di cinema italiano d’autore, scomparso pochi mesi fa all’età di 84 anni. E’ lui che la coppia di sposi in crisi incrocia vicino al Ghetto romano: l’uomo si è perso e non ricorda nulla. Prima di questa scena, in una sorta di prologo che porta sovrimpressa la data del 1943, un giovane fornaio uccide il compagno di lavoro e fugge per le stesse vie del Ghetto. Il legame tra il passato e il presente, che si trascina tra belle atmosfere di mistero, momenti di autentica poesia ed eccessi didascalici, sta nell’ossessione di Simone/Davide (nome improvvisato e nome vero dell’anziano), sopravvissuto ai campi di sterminio, che ricorda confusamente la notte del rastrellamento nazista, alternando sensi di colpa per l’abbandono del ragazzo che amava, all’orgoglio di aver salvato dal massacro vecchi e bambini. Ma mentre i pezzi del passato riemergono, Simone/Davide si fa quasi assistere dapprima dalla coppia e poi anche dal giovane della casa di fronte. Sottotraccia, il mestiere dell’anziano sopravvissuto, maestro pasticcere, finisce per costruire un’allegoria della dolcezza di vivere e della voglia di cambiare la propria vita; lui non c’è riuscito ed ha sacrificato anche il proprio amore, forse vergognandosi della propria omosessualità. I tre che lo hanno aiutato hanno ancora molto tempo davanti a loro e già la sposa deciderà di lasciare il lavoro come segreteria in una polleria industriale per fare la pasticcera.
Nobile e interessante per quel richiamo alla memoria, che dovrebbe servire ai giovani, il film è però discontinuo e pieno di pretesti che riempiono i vuoti della sceneggiatura. E si potrebbe dire che è salvato dalla commozione che si prova vedendo Girotti all’ultimo “ciak” e dalla maestria di Ozpetek, capace comunque di inventare atmosfere idonee a sostenere anche i momenti di stanca. Insomma, la magia del film è tutto in quel trascinamento del mistero del passato, nei momenti in cui Girotti guarda nel vuoto. Ma non appena la storia ritrova i contorni del triangolo amoroso, pur avendo interpreti di tutto rispetto, siamo di nuovo nel cinema italiano più consueto e meno interessante.

LA FINESTRA DI FRONTE regia di Ferzan Ozpetek con Giovanna Mezzogiorno, Filippo Nigro, Raul Bova, Massimo Girotti. Italia 2003 Al cinema 4 colonne di Sassari, Capitol, Cineworld e Warner di Cagliari.


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