Vincenzo da Crosia

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Vincenzo da Crosia

Vincenzo da Crosìa è stato il doc rivelazione del 33esimo Torino Film Festival e ha vinto una menzione speciale del premio Avanti! “per aver portato alla luce una storia accantonata del nostro passato recente, dagli inattesi risvolti umani, politici e poetici. Trattando con delicatezza un’imponente mole di materiale di repertorio, il film trascina lo spettatore in uno stato di sospensione, a suo modo magica, circa la veridicità dei fatti testimoniati”. L’incredibile storia vera del veggente omosessuale calabrese Vincenzo Fullone è raccontata con profondo rispetto e negazione di giudizio da parte del talentuoso Fabio Mollo (Il sud è niente). Oggi Vincenzo ha quarantatreenne anni, vive all’estero ma da piccolo aveva frequenti visioni mistiche della Madonna (“un ovale perfetto, sopracciglia folte, labbra carnose, olivastra in viso”), fu studiato dalle autorità ecclesiastiche e seguito da controlli medici, diventando una vera celebrità nell’originario paese cosentino di diecimila anime.
L’emozionante videocollage di Mollo è l’attenta scrematura di una vertiginosa quantità di video in VHS degli anni 80 e 90, nonché materiale digitale dei primi anni Duemila (circa 500 ore). Ma la forza del progetto molto classico – interviste frontali, montaggio sequenziale di video d’archivio, inserti televisivi – sta soprattutto nello scavo profondo della personalità di Vincenzo che si confessa davanti alla videocamera, con sincerità disarmante, svelando uno sconvolgente segreto che, come dice il regista Mollo, “da bambino l’ha privato della possibilità di sognare”.
Sono impressionanti le crisi mistiche del crosiota Vincenzo già da adolescente, gli spasmi durante le visioni in cui rivive la Passione di Cristo con tanto di stimmate, gli svenimenti davanti a statue della Madonna, circondato da centinaia di persone che organizzavano lunghi pellegrinaggi per vederlo.
Vincenzo si è poi innamorato del suo migliore amico, trasferendosi a Roma e partecipando al Gay Pride, scatenando così lo sconcerto nell’intellighenzia cattolica. L’ultimo incontro con la Madonna, più di vent’anni dopo la prima visione nei pressi della sorgente di Cuppo, in cui la Vergine approva il suo amore per un uomo, ha una potenza ineffabile: vale più di mille prediche, e potrebbe aiutare a sdoganare l’omosessualità nella Chiesa sulla scia del rivoluzionario e coraggiosissimo coming out di Monsignor Charamsa.
È necessario un distacco critico nei confronti di una storia così incandescente nel rispetto assoluto di Vincenzo: non si può negare, però, che nella scena del Gay Pride irrompa un’imprevedibile componente camp che dà in realtà una valenza umanissima (e militante) all’intera vicenda. (R. Schinardi, Gay.it)

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Un commento

  1. Roberto

    Gentilissimi di Cinemagay, il docu-film di Fabio Mollo del 2015, dal titolo: “Vincenzo da Crosia”, è già disponibile in dvd? Vi ringrazio anticipatamente per la vostra cortese risposta. Cordialmente. Roberto.

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trailer: Vincenzo da Crosia

Varie

On 23 May 1987 Vincenzo, a 14-year boy from Calabria, sees in an abandoned church a statue of the Madonna weeping. None seems to believe him, until a few days later the whole village witnesses the first apparition of the Virgin. From that moment on, Vincenzo’s life will never be the same.

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PREMIO AVANTI AL TORINO FILM FESTIVAL 2015

La Giuria del Premio AVANTI (Agenzia Valorizzazione Autori Nuovi Tutti Italiani) composta da Danilo Monte (regista), Alessandro Uccelli (Cineforum), Andrea Zanoli (Lab 80 Film) assegna una
Menzione speciale a: VINCENZO DA CROSIA di Fabio Mollo (Italia, 2015)
Con la seguente motivazione: Per aver portato alla luce una storia accantonata del nostro passato recente, dagli inattesi risvolti umani, politici e poetici. Trattando con delicatezza un’imponente mole di materiale di repertorio, il film trascina lo spettatore in uno stato di sospensione, a suo modo magica, circa la veridicità dei fatti testimoniati.

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CRITICA:

Ci sono documentari che servono a far conoscere, a rivelare e scoprire, anche a spaventare e agghiacciare. E poi ci sono documentari che mettono in crisi. Vincenzo da Crosia, nuova opera di Fabio Mollo (Il sud è niente) presentata tra i documentari italiani del Torino Film Festival, fa parte di questa categoria.
Il protagonista, il ragazzo del titolo, è Vincenzo Fullone, che quando aveva 14 anni a Crosia, in Calabria, vide una statua della Madonna piangere e da quel momento per circa 25 anni ebbe continue visioni ed esperienze che coinvolsero anche l’intera comunità cattolica: ma Vincenzo è tutt’altro che “un’altra Bernadette”. Mollo racconta la vita di quest’uomo che da un’infanzia peggio che difficile è arrivato a contatto con l’estasi seguendo il duplice binario degli eventi mistici e della formazione personale di Vincenzo.
Da una parte Mollo utilizza i numerosissimi filmati amatoriali che da quel 1987 hanno accompagnato in modo quasi ossessivo le azioni e le visioni del ragazzo per raccontare il contrasto tra la sincerità e il dolore di Vincenzo e le reazioni, scettiche o fanatiche, di chi lo circondava, andando a creare in sottotesto anche una riflessione sul potere delle immagini sacre e profane, su nastro o pixel oppure quelle più vivide della percezione sensoriale. Ma soprattutto, è attraverso le parole e le confessioni di Vincenzo in persona che Mollo riesce a compiere il percorso del film, raccontando il cammino di un uomo a dispetto di tutti, il cui rapporto con la Madonna serviva a lui e lui soltanto, a capire chi essere e come essere, a cercare la propria via all’essere uomo, consapevole che “L’unico peccato è l’assenza d’amore”.
E’ qui che Vincenzo da Crosia mette in crisi lo spettatore e le sue certezze: gli atei saranno costretti a reprimere le ironie facili, commossi dalla sincerità con cui il bisogno psicologico e l’estasi si sono trasformati in consapevolezza di sé; i credenti al contrario dovranno affrontare la scioccante crudezza dei video della passione rivissuta settimanalmente da Vincenzo e fare i conti con atti di fede oltre le medie capacità umane, oltre a riflettere anche sull’utilizzo “politico” che la chiesa e le comunità fanno di certi eventi e certe persone. Mollo riesce a inquietare, stimolare e sorprendere raccontando una vita la cui storia è tanto incredibile da non poter che essere vera. E per questo fertilmente ambigua. (Emanuele Rauco, Cinematografo.it)

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Dopo l’interessante esordio nel lungometraggio di fiction del 2013, con Il sud è niente, Fabio Mollo (ri)approda con questo Vincenzo da Crosia nei territori del documentario. Territori che il regista di Reggio Calabria conosce in realtà bene, avendoli già frequentati nel corto Muro di carta e nella partecipazione al progetto collettivo Napoli 24; e che ora gli si aprono nella dimensione, e nel respiro, di un lungometraggio. Nella sua aspirazione a raccontare, non senza uno sguardo intriso di lirismo e forza simbolica, la realtà del meridione italiano, Mollo sceglie stavolta un soggetto molto rischioso: il suo film è infatti il racconto (autobiografico) della vita di un mistico contemporaneo, veggente mariano sui generis dal percorso originale e contraddittorio. Vincenzo Fullone, oggi quarantatreenne, fu infatti catalizzatore di pellegrinaggi, visioni e fenomeni di esaltazione collettiva nel paesino di Crosia, vicino Cosenza; a partire dalle sue prime visioni della Madonna risalenti al 1987, in seguito trasformate in veri e propri happening collettivi, da subito guardati con un misto di interesse e sospetto dalle autorità ecclesiastiche. Già bambino e adolescente abusato, omosessuale dichiarato, Fullone lasciò in seguito Crosia dopo l’ostracismo mostrato dal nuovo vescovo, partecipò al Gay Pride del 2000 a Roma, per approdare infine, in anni recenti, a Gaza, portando sostegno alla popolazione sotto embargo.
Nell’affrontare un soggetto tanto spigoloso, Mollo sceglie la via dell’intervista frontale allo stesso Fullone, inframezzata da lunghi spezzoni di materiale di repertorio, vecchie interviste al Fullone adolescente, e soprattutto filmati autoprodotti, a documentare alcuni dei più significativi episodi che lo hanno visto protagonista. In un approccio dal taglio classico, praticamente privo di ricostruzioni o innesti di fiction (con le parziali eccezioni dell’introduzione e della conclusione) il regista assembla praticamente tutto il materiale utile a ricostruire la storia del personaggio, non lesinando (nella mostra dei filmati) in dettagli grafici ed espliciti. Crisi mistiche, fenomeni di trance, presunte apparizioni di stigmate, convulsioni ed episodi di regressione psichica, all’epoca meticolosamente registrati: non temendo di riportare, sullo schermo, l’estetica della sofferenza a suo tempo espressa da questo materiale, Mollo punta a fornire un ritratto il più possibile esaustivo della vita del personaggio; cercando anche, almeno sulla carta, di sottolineare l’originalità del suo percorso spirituale e personale.
Più che sulle scelte estetiche, nel segno di una classicità in cui la mano del regista è quasi invisibile, o su quelle di selezione del materiale, il problema principale di questo Vincenzo da Crosia sta nel suo costante flirtare con l’agiografia, con una resa del personaggio che (seppur in modo celato) mostra l’evidente simpatia del regista per il suo percorso. Le contraddizioni, le problematiche psicosociali, l’impatto sulla comunità che l’apparizione di un veggente porta naturalmente con sé, non vengono mai realmente esplicitate nel documentario: la scelta sembra essere quella di lasciare che Fullone racconti se stesso, limitandosi a sottolineare visivamente, attraverso i filmati di repertorio, i suoi racconti. Una scelta che, se da un lato esprime un didascalismo che mortifica le capacità estetiche del regista (altrove evidenti) dall’altro fa trasparire una lettura parziale e poco soddisfacente del tema. Astrarre la vicenda umana, composita e per definizione contraddittoria, di un personaggio come Fullone, dall’ambiente sociale che ne ha accolto le azioni, è un’operazione che non rende giustizia alla complessità del soggetto.
Tra le tante vicende di veggenti (religiosi o laici) che hanno riempito negli anni le cronache, quella di Fullone era probabilmente tra le più interessanti che il cinema potesse raccontare: ma lo sguardo di Mollo finisce per depotenziarne la portata, restando in superficie, non analizzando, se non nel modo più epidermico e didascalico, la dialettica instaurata col contesto sociale di cui la sua azione si è nutrita. Le scelte estetiche, a partire da un ridondante uso del commento sonoro, riducono il personaggio a una lucente, bidimensionale decalcomania, tenendosi lontane dall’approccio analitico e puntando a coinvolgere lo spettatore che abbia già, di suo, un interesse per il tema. Un’operazione esteticamente poco rilevante quanto tematicamente parziale: il volto sfuggente, a tratti indecifrabile, del Fullone di oggi, le sue sofferte rivelazioni, e il racconto del suo tanto originale percorso (uniti agli episodi collettivi che lo hanno visto protagonista) raccontano di un altro film possibile. Del documentario, cioè, che questo Vincenzo da Crosia sarebbe potuto essere, e che il regista non ha saputo, o voluto, dirigere. (Marco Minniti, Quinlan.it)

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E’ una storia incredibile quella della vita di Vincenzo, ragazzino, ora adulto, nato a Crosia in Calabria. Un’esistenza costellata da avvenimenti incredibili al limite del “paranormale”. Tutto ha inizio con le violenze sessuali subite in tenera età, tenute nascoste per anni, quella “penetrazione” simbolo di peccato. Poi, Vincenzo, inizia a vivere la sua esperienza mistica a quattordici anni quando vede per la prima volta lacrimare la statua della Madonna. Da li iniziano le apparizioni, legate ad altri eventi “mistici”, fino al 25 maggio 2010, ultimo momento del suo percorso spirituale. Vincenzo non è un veggente, ne un santone, ma un ragazzo in cerca d’amore: “non ero Bernadette e mai potrei esserlo”, dice esplicitamente. Il suo amore si “attua” quando capisce di essere omosessuale ed esce da Crosia, per partecipare al Gay Pride del 2000. In tutto questo viene “osteggiato” dalla Chiesa, che non riconosce le visioni, perché definito un peccatore per la sua “sessualità compulsiva”. E’ una storia d’amore lunga più di vent’anni quella tra il giovane e la Madonna, che lo accompagna fino a che non diventerà un uomo. Non vi è una redenzione, ma l’acquisizione di una “consapevolezza”: quella di accetarsi così come siamo.
A raccontarci la vita di Vincenzo è Fabio Mollo nel documentario “Vincenzo da Crosia”, un’opera costruita dal “collage” tra le tante immagini d’archivio della vita del ragazzo e dal racconto in prima persona di un uomo che si vuole mettere in gioco in tutto e per tutto. Un racconto lineare, senza emettere un giudizio morale e religioso, che termina a Gaza, dove oggi Vincenzo risiede. Forse, a tratti, troppo “senzionalistico”, “Vincenzo da Crosia” è in tutto e per tutto il racconto di tante storie d’amore, che compongono tutte insieme l’animo umano, e il viaggio più grande e difficile che ognuno di noi può intraprendere, quello di riuscire a avere una vera consapevolezza del nostro essere, perché “l’unico peccato è la mancanza d’amore”. (Simone Pinchiorri, Cinemaitaliano.info)

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