L' Ultimo metrò

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L' Ultimo metrò

Film tra i più belli del regista si guadagna il posto in questa lista solo per la presenza di due personaggi assolutamente secondari, uno gay ed uno lesbico (un direttore e un tecnico teatrale), che vengono rappresentati con lealtà e simpatia. La storia del film rigurda la sopravvivenza, durante l’occupazione nazista di Parigi, di un gruppo teatrale che ha come regista un ebreo che viene nascosto nei sotterranei del teatro. Come in altri film del regista il tema principale è l’amore per l’arte che si confonde con l’amore per la vita e viceversa. Intrigante, commovente, passionale.

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6 commenti

  1. Nick88

    Io, invece, adoro il cinema francese. È una questione di gusti, indubbiamente. Ed e’ vero che, talora, qualche opera e’ stata sopravvalutata. Ma penso che il contributo del cinema francese all’interno del panorama cinematografico (ma io direi proprio culturale) internazionale sia fuori di discussione. A partire dagli albori del cinema parlato con le vibranti opere del surrealismo e dell’impressionismo, fino al realismo poetico e al romanticismo di autori e opere nel periodo a cavallo e immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale. E per finire la Nouvelle Vague. Poche altre cinematografie europee (escludo volontariamente la Mecca del cinema, Hollywood) possono contare sul grado di vitalità e di apporto alla cultura pari a quello francese (mi vengono in mente solo il Neorealismo italiano e l’Espressionismo tedesco, tra i più importanti). Senza contare che il cinema francese tutt’oggi, forse dopo un periodo buio corrispondente agli anni 80-90, gode di ottima salute e sforna opere di ragguardevole livello, anche se nelle nostre sale ne arriva una percentuale tutto sommato abbastanza bassa. Niente a che vedere, ahimè, col baratro in cui è caduta la cinematografia italiana, in barba all’Oscar e alle dichiarazioni ottimistiche di produttori e altri opinionisti del settore.

  2. thediamondwink

    Non amo particolarmente il cinema francese, spesso sopravvalutato, e non mi è mai piaciuto Depardieu, come attore, forse, nel mio giudizio, sono andato un po’ oltre ma lo trovo un personaggio truzzo, senza merito. Per quanto riguarda La Deneuve, ho visto interpretazioni migliori anche se a mio avviso, un pessimo doppiaggio, può sconvolgere l’intera interpretazione di un determinato attore. Ovviamente il giudizio è personale!

  3. istintosegreto

    Truffaut rende grazie al teatro. Teatro come evasione da una realtà particolarmente difficile, ma anche come realtà stessa in cui passioni si consumano, legami si spezzano e si ricompongono. Tutto messo in scena in modo perfetto, come perfetto è lo stile del regista: troppo per colpirmi nel profondo. Ho già espresso in passato i miei dubbi circa un certo cinema francese eccessivamente stiloso ed intellettuale, non ho quindi intenzione di ripetermi. La Deneuve sembra una meravigliosa bambolina di ceramica. Molto bravo, anche se fuori luogo, Depardieu: troppo bestione (in senso positivo), troppo umano per affidarsi alle severe mani di Truffaut che lo rendono insipido, come i suoi capelli pettinati ed inlaccati da bravo ragazzo.
    Mi sento in definitiva vicino all’amico zonavenerdì poiché non amo Truffaut, ma adoro gli attori da lui utilizzati.

  4. zonavenerdi

    @thediamondwink Mi dispiace che non ti sia piaciuta l’interpretazione dei protagonisti. Io ho visto il film qualche mese fa e francamente mi ricordo che sono stati proprio loro a tenere vivo l’interesse per la trama. ps. Comunque ovviamente ogni parere è personale.

  5. thediamondwink

    Film molto interessante, dove troviamo due attori alle prime armi ma con dubbia bravura nel recitare, questo, sicuramente, è dovuto al pessimo, pessimo doppiaggio!
    Per quanto riguarda il nazismo, direi che la sceneggiatura è molto blanda e generica, ma ho apprezzato molto il finale e, in generale, anche il film: geniale!

  6. zonavenerdi

    Davvero un bel film, che fa rivivere le atmosfere di una nazione sotto occupazione e allo stesso tempo i tentativi di cercare aperto un teatro nonostante le restrizioni del periodo bellico. Bella la trama, ottimi gli attori. Geniale Truffaut.

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Nella Parigi occupata dai nazisti – dove, partito il metrò delle 20,30 scatta il coprifuoco, ma la gente non ha perso, malgrado tutto, nè la voglia di far teatro, nè quella di andarci – il piccolo Thèatre de Montmartre è alle prese con l’allestimento di una commedia norvegese. Il suo direttore, Lucas Steiner, ebreo, ha fatto credere d’essere fuggito in America e d’aver affidato le sorti della compagnia e del teatro a sua moglie Marion, che ne è anche la prima attrice, e al suo fidato collaboratore, il regista Jean-Loup Cottins. In realtà, ma lo sa solo Marion, Steiner è nascosto nella cantina del teatro e di lì, con l’abile mediazione della moglie, che lo va a trovare ogni sera, guida la messinscena della nuova commedia e la regia dell’inconsapevole Jean Loup. Tra gli attori ce n’è uno, Bernard, che proviene dal Grand-Guignol ed è stato scritturato per far da partner alla prima attrice. Impenitente dongiovanni (ma in segreto lavora per la Resistenza) Bernard fa breccia anche nel cuore di Marion, che deve vedersela, intanto, con la censura; con i problemi personali degli attori e della scenografia; con il critico teatrale Daxiat, soprattutto, filo-nazista e antisemita. Mentre continuano le prove – e Steiner, pur avendo intuito quel ch’è successo a Marion, incita la moglie a recitare col massimo impegno anche le scene d’amore – Daxiat, che non ha creduto alla fuga di Lucas, fa perquisire la cantina dalla Gestapo, ma inutilmente. La commedia va finalmente in scena, con successo, ma dopo le prime recite Bernard se ne va per unirsi ai partigiani. All’indomani della Liberazione, la commedia torna in scena. Sul palco, a prendersi gli applausi, ci sono Steiner e Bernard e, in mezzo a loro, Marion, che stringe le mani del marito e dell’amante.

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