Racconti da Stoccolma

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Racconti da Stoccolma

Questo film di Anders Nilsson, ispirato a eventi realmente accaduti, è un cazzotto nello stomaco per chi è abituato alle tematiche cinematografiche del politically correct. Ciò nonostante la pellicola ha vinto anche il premio di Amnesty International al 57° Festival di Berlino. La prima storia è ambientata nella classe medio alta svedese: una giornalista televisiva con due figli e una carriera al top, viene picchiata e umiliata regolarmente dal marito, collega sul lavoro, sindacalista di categoria, e geloso del suo successo… Ancora più drammatica la storia di morte della giovane Leyla cresciuta a Stoccolma con la sorella Nina in una famiglia immigrata da un paese islamico. La vicenda, che ha tanti punti in comune con quella della giovane pakistana Hina Salem, uccisa in Italia dal padre e dagli zii, si snoda in un crescendo drammatico: la ragazza ha avuto un fidanzato occidentale e ha disonorato la famiglia…. Infine il racconto sulla parabola esistenziale di Aram che gestisce un locale notturno alla moda. Una sera, uno dei suoi addetti alla sicurezza, Peter, viene aggredito a pistolettate da una gang di malviventi e ricoverato in ospedale. Aram è un gay e scopre che anche la vittima della sparatoria ha lo stesso orientamento sessuale. Tra i due nascerà un legame profondo, ma quando Peter dovrà testimoniare contro i propri aggressori, verrà costretto a scappare per paura di rappresaglie… (Dimitri Buffa, L’Opinione)

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4 commenti

  1. A parte i grossolani errori nella trama (La famiglia di Leyla è cattolica non musulmana, come spiega lei stessa)volevo chiedere a terzopiano che film ha visto dove sono gli elementi alla beautiful? Dove quelli alla 007 mi sembra che il film proceda per una sua via personale, fuori da qualunque genere precostituito. Certo il lieto fine è stucchevole ma un po’ di speranza serve o no?

    http://www.paesaniniland.blogspot.com

  2. La tematica omoerotica è marginale e inconsistente.Per il resto il film è veramente drammatico, specie la storia di Leyla. Non sono mai stato coinvolto emotivamente in un film come in questo, in cui genitori con piani diabolici uccidono un figlio per l’onore; dispiace solo alla fine non vedere questi mostri bruciare sulla sedia elettrica

  3. casalinga di Voghera

    o immenso coglione, ma buttatici dal terzo piano che magari ti si schiariscono le idee, se misceli un attimo i 3 neuroni che ti ritrovi. O sei uno che pensa che se un film non è palloso non c’è denuncia? Ma che palato raffinato. E’cinema, mica un trattato.

  4. terzopiano

    Spettacolarizzazione di tematiche drammatiche, raccontate come Beautiful o O07. Deploro questo metodo voyeurista senza coraggio di fare cinema, formalmente ineccepibile per le masse televisive a cui non va di riflettere. E non spacciatelo per “film di denuncia”. Un’altra volta si dedicassero a film di disimpegno o comici, sarebbe più onesto.

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Tre vicende parallele, tre storie legate da un dramma comune: in una Stoccolma tollerante solo in apparenza, la violenza si nasconde dietro il volto stesso delle persone amate. Costretti a vivere nella paura, una giornalista di successo, una giovane immigrata e il proprietario di un locale notturno scelgono di ribellarsi e rompere il silenzio, conquistando la speranza di un nuovo futuro.
Ispirato a eventi realmente accaduti, Racconti da Stoccolma ha vinto il Premio Amnesty International al 57° Festival di Berlino.

Carina è sposata, ha due figli e una carriera da giornalista televisiva che le ha appena fatto vincere un premio prestigioso. Quello che la gente non sa è che dietro l’apparenza di una tranquilla vita famigliare si nasconde un dramma terribile: Carina viene picchiata e umiliata regolarmente dal marito, collega sul lavoro e geloso del suo successo. Quando, infine, la verità verrà a galla, Carina dovrà scontrarsi anche con l’indifferenza e l’ostilità di molte persone che la circondano.

La giovane Leyla è cresciuta con la sorella Nina in una famiglia immigrata mediorientale dal rigido codice morale e religioso: appena si scopre che Nina ha un ragazzo, i genitori e gli zii decidono che il suo destino è segnato e la punizione che le spetta non lascia vie di scampo. La sola Leyla proverà ad opporsi con tutte le sue forze al volere del clan famigliare, mettendo a repentaglio la sua stessa vita.

Aram gestisce un locale notturno alla moda. Una sera, uno dei suoi addetti alla sicurezza, Peter, viene aggredito da una gang di malviventi e ricoverato in ospedale: deciso inizialmente a testimoniare l’accaduto in tribunale, Aram subisce una serie di pesanti minacce che lo convincono a desistere. Intanto, però, scopre che il reale motivo dell’aggressione lo coinvolge personalmente, perché tra lui e Peter sta nascendo un sentimento inaspettato.

Note del regista:

«Quando io e il mio produttore e co-sceneggiatore Joakim Hansson ci siamo seduti a parlare del nostro prossimo film, abbiamo capito da subito di essere in completa sintonia. Entrambi, infatti, abbiamo ragionato sul fatto che le cose che fanno più paura non sono le guerre o le malattie, tanto meno l’avere a che fare con dei serial killer o dei mostri. Quello che più spaventa la gente è una minaccia che proviene dalla propria famiglia, dai propri genitori, dalle persone amate; da coloro, insomma, da cui ti aspetteresti al contrario un sostegno fondamentale».
«Tutti e due abbiamo provato una rabbia intensa pensando a questo tipo di violenza, e ci siamo sentiti in qualche modo obbligati a girare Racconti da Stoccolma. Il nostro obiettivo era capire perché ciò accade. Per questo motivo, non potevano inventare le vicende da raccontare e l’unico approccio onesto possibile è stato introdurre frammenti di realtà nel copione: le storie di sopraffazione narrate nel film sono infatti realmente accadute, compresa la terribile scena dell’autostrada. E questo tipo di eventi continua ad accadere».
«La prima decisione è stata quella di raccontare la storia di Leyla. Una volta d’accordo sul fatto di girare un film che parlasse dell’essere attaccati dalle stesse persone amate, sembrò logico affrontare il tema del “delitto d’onore”. Questo fenomeno appartiene ad ogni sorta di ambiente e non è certo legato a una religione o a una nazione precisa».
«L’aspetto interessante di avere tre storie parallele da raccontare è la possibilità di metterle a confronto, di evidenziarne i contrasti. Il comune denominatore resta comunque il fatto che le persone che commettono un crimine credono di aver perso quello che ho scelto di definire “capitale”, in termini di controllo, onore, rispetto. Allo scopo di riguadagnare questo “capitale”, inizialmente minacciano di usare la violenza, per poi passare inevitabilmente all’azione. Non riescono ad immaginare una soluzione alternativa».
«È stato fondamentale per noi raccontare le vicende dal punto di vista delle vittime. La ragione per cui abbiamo scelto questi particolari personaggi è il loro rifiuto di essere appunto semplici vittime degli eventi e la loro determinazione nel combattere per ribaltare lo stato delle cose. In modi diversi, essi riescono infine a trovare una via di scampo». (Teodora)

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