Philomena

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Philomena

“… In Irlanda, agli inizi degli anni ’50, la giovanissima Philomena, sedotta e abbandonata, cacciata di casa come si usava allora, partorisce il suo piccino in una delle case Magdalena, famose per la cattolica crudeltà e rapacità delle pie suore. A tre anni il bimbo Anthony Lee viene venduto dalla Chiesa a una coppia agiata, e cattolica, di St. Louis nel Missouri. Per tutta la vita la mamma cercherà il figlio, il figlio cercherà la mamma, senza riuscire a incontrarsi mai. Un film non può essere scarno come un’inchiesta, e infatti Stephen Frears, pur rispettando il senso della storia e la verità dei personaggi, manda Philomena accompagnata dal giornalista (Steve Coogan) che deve scrivere un articolo strappalacrime per un tabloid, negli Stati Uniti, alla ricerca di questo figlio ignoto che dovrebbe orma essere cinquantenne: «E se fosse obeso, fosse in prigione, fosse drogato, fosse senzatetto? » lei si chiede ansiosa. La donnetta irlandese, lettrice accanita di romanzi rosa, ingenua, intelligente e spiritosa, scopre le meraviglie del mondo, il volo in business, il cioccolatino sul cuscino in albergo, e a Washington, la statua di Lincoln. Il giornalista e lei, così diversi, si rispettano, stanno bene insieme, solo la fede li divide. Lui non è credente, lei sì, prega in ginocchio, il cuore intatto, nessun rancore per le suore che l’hanno spezzata, ancora certa di dover espiare per sempre il suo fuggevole peccato carnale. Finalmente si scopre l’identità americana di Anthony Lee, diventato Michael Hess, ma anche la tragica definitiva verità: l’uomo è morto nell’agosto del 1995, a 43 anni. Ma chi era questo sconosciuto che la vera madre per decenni ha continuato ad amare, a sognare? Il vero viaggio alla ricerca di una intera vita comincia adesso: Mike era bello, intelligente, era diventato un grande avvocato, uomo di punta del partito repubblicano con Reagan e poi con Bush Senior: era anche gay, costretto, dall’omofobia del suo partito ad una doppia vita. Quando con imbarazzo, quella che fu la sua più cara amica rivela all’innocente Philomena che lui era omosessuale, lei non si scompone «l’ho sempre saputo, era un bambino così sensibile». È dall’ultimo compagno di Mike, Pete Nilsson, che viene a sapere che anche suo figlio non l’aveva mai dimenticata, e che per ben due volte, già ammalato di Aids, era tornato in Irlanda per avere sue notizie al convento, ottenendo solo, pagando, di poter essere sepolto tra le piccole tombe dei tanti bambini e delle giovanissime madri morti lì. Se Philomena è la meravigliosa Judi Dench, Anthony-Michael è se stesso, e rivive nelle vecchie fotografie in convento, imbronciato, e poi nei filmini con i nuovi genitori, all’università, con Reagan e Bush, e felice con gli amanti delle sue burrascose relazioni (uno lasciato da lui, si diede fuoco, ma il film non lo dice)…” (Natalia Aspesi, La Repubblica) – Il film viene distribuito in Italia da Lucky Red dal 6 febbraio 2014.

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Questo film al box office

Settimana Posizione Incassi week end Media per sala
dal 13/02/2014 al 16/02/2014 19 37.540 1.340
dal 23/01/2014 al 26/01/2014 16 114.119 1.678
dal 16/01/2014 al 19/01/2014 14 238.417 2.167
dal 9/01/2014 al 12/01/2014 11 471.969 2.445
dal 2/01/2014 al 5/01/2014 6 958.009 3.574
dal 26/12/2013 al 29/12/2013 7 1.606.435 7.541
dal 19/12/2013 al 22/12/2013 7 553.947 3.505

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7 commenti

  1. zonavenerdi

    Film davvero bello. Storia di una donna a cui è stato portato via un figlio mentre viveva in un istituto di suore. Verrà a sapere la verità solo in tarda età. Tra l’altro è una storia vera e oggi (07.02.14) su “La Repubblica£ c’è l’intervista alla vera Philomena che dice che nonostante tutto non ce l’ha con nessuno. Questione di carattere. Comunque molto brava Judi Dench…

  2. Io ancora mi chiedo come sia possibile che l’Irlanda sia ancora un paese a prevalenza cattolica, considerando l’enorme mole di scandali che nel tempo sono emersi (tra pedofila, compravendita di bambini, soprusi ai danni di decine di centinaia di donne). Per chi fosse interessato, consiglio un film del 2002, “The Magdalene Sisters” di Peter Mullan, Leone d’oro al festival di Venezia, che mostra molto efficacemente e in modo meno edulcorato la realtà cattolica irlandese e la sua crudeltà negli anni 50 e 60.

  3. Non amo le storie strappalacrime, ma sono andata a vederlo per la bravissima Judith Dench. E non me ne sono pentita. Non conoscevo i gravissi fatti narrati nel film messi in atto dalle suore cattoliche. Mi è piaciuto e lo consiglio

  4. Avevo già visto altri film di questo regista ,Stephen frears , che mi hanno sempre colpito ; anche questo perfetto, senza una sbavatura. Regia perfetta, protagonista sublime.

  5. Film di questa fattura sono davvero rari. Nonostante la storia sia strappalacrime, è evitato qualsiasi eccesso melodrammatico, anzi. La protagonista è di un’irresistibile simpatia e il pubblico è immediatamente conquistato da questa “eroina” che non si stanca di cercare quel figlio tanto amato e che le è stato strappato con tanta crudeltà. Judi Dench è IMPRESSIONANTE, ma non è una novità. Ma il film, in realtà, è tutto bellissimo, molto british e senza pecche. Vedetelo. Non ve ne pentirete.

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CANDIDATO AI GOLDEN GLOBE PER MIGLIOR FILM, MIGLIOR SCENEGGIATURA E MIGLIOR ATTRICE

I PREMI VINTI ALLA MOSTRA DI VENEZIA 2013
– Best Screenplay (Steve Coogan, Jeff Pope)
– Brian Award (Stephen Frears)
– Golden Mouse (Stephen Frears)
– Interfilm Award (Stephen Frears)
– Leoncino d’Oro Agiscuola Award – Cinema for UNICEF (Stephen Frears)
– Nazareno Taddei Award (Stephen Frears)
– Queer Lion (Stephen Frears)
– Signis Award (Stephen Frears)
– Vittorio Veneto Film Festival Award (Stephen Frears)

ALTRI PREMI:

Virginia Film Festival 2013 – premio del pubblico
Toronto International Film Festival 2013 – premio del pubblico
Hamptons International Film Festival 2013 – premio del pubblico
Boston Society of Film Critics Awards 2013 – miglior attrice
————-

Billed as a bittersweet comedy, the script tells the tale of Philomena Lee who, after pregnant as a teenager in Ireland in 1952, was sent to the convent of Roscrea to be looked after as a “fallen woman.” When her baby was only a toddler, he was whisked away by the nuns to America for adoption. Philomena spent the next 50 years searching for him in vain before meeting journalist Sixsmith, who embarked on a quest with her to find her son.

CRITICA:

“… Con questo Philomena invece non solo Frears riesce a guadagnarsi applausi scroscianti al termine delle proiezioni della 70. Mostra del Cinema di Venezia, ma anche a regalare ai suoi spettatori fragorose risate e momenti di vera commozione; un film in perfetto equilibrio tra il drammatico e il divertente che si ispira ad una storia vera ma consegna alla storia del cinema una coppia di protagonisti perfettamente assortiti e dalla chimica e tempi comici davvero esemplare. Philomena: Judi Dench in una scena Molti di questo meriti vanno certamente all’esperto regista, ma anche e soprattutto ad una sceneggiatura che rasenta la perfezione nel creare due personaggi diversissimi ma molto credibili, una sequela di battute davvero memorabili e quel magico equilibrio tra il tragico e giocoso che abbiamo già citato e che poi è il vero capolavoro dello script firmato a quattro mani dallo stesso Steve Coogan e dall’autore televisivo Jeff Pope. Ma il film è anche molto altro, perché anche lo svolgimento del plot non è affatto prevedibile come si potrebbe pensare; anzi, non sono poche le sorprese che attendono coloro che non conoscono le incredibili (ma reali) vicende di questa donna e della sua faticosa ricerca della verità, e soprattutto perché pur con leggerezza invidiabile il film affronta un argomento terribilmente serio come quello personalissimo della fede e del perdono, ma anche quello sempre attuale e certamente di pubblico dominio della Chiesa Cattolica e delle sue malefatte…” (Luca Liguori, Movieplayer.it)

“…Con quella scrittura, con quelle interpretazioni e con quell’equilibrio di regia che guarda direttamente a un cinema che tutti si lamentano non esistere più, Philomena è un film che avrebbe potuto raccontarti qualsiasi vicenda, e tu te la saresti bevuta con la stessa placida arrendevolezza. Eppure la storia vera di una madre che cerca un figlio strappatogli dalle suore del convento dove viveva, aiutata da un ex giornalista della BBC ed ex spin doctor del governo Blair, in tutto il suo potenziale melenso e retorico, è al tempo stesso l’unica storia possibile per il risultato ottenuto da un film che è tanto di Stephen Frears quanto di Steve Coogan, non solo protagonista ma anche sceneggiatore e produttore. Perfettamente in bilico tra dramma che ti strappa le lacrime senza essere strappalacrime, e commedia esilarante dotata di battute e tempi impeccabili, Philomena procede sicuro e con uno sprezzo del pericolo understated come le interpretazioni di Coogan e di Dame Judi Dench, incurante delle paludi rischiose in cui poteva rischiare di cadere. E, anzi, centra l’obiettivo sia quando si concede stoccate secche e maliziose di british wit, sia quando tratta con serietà, ma senza pedanterie o eccessivi moralismi i lati più drammatici della vicenda di Philomena Lee…” ( Federico Gironi, Comingsoon.it)

“L’applauso, anzi l’ovazione (cinque minuti? Non ricordo un trionfo simile alle proiezioni per la stampa) che ha accompagnato i titoli di coda di Philomena di Stephen Frears suona anche come campanello d’allarme per la Mostra: sbaglio o ci si può leggere lo scontento per gli altri film visti finora in concorso? La notazione, comunque, nulla toglie al film di Frears che può contare su una coppia d’attori d’eccezione (Judi Dench e Steve Coogan) e una sceneggiatura (dello stesso Coogan e Jeff Pope) che è la vera «arma segreta» del film. Perché raccontando l’autentica odissea di una donna irlandese che per cinquant’anni ha cercato notizie del figlio che le fu tolto adolescente e poi dato in adozione (lei non era sposata e le suore cui fu affidata gli negarono ogni informazione) il peso narrativo sembra puntare all’inizio tutto sul giornalista che l’aiuterà nelle ricerche. Lui, Martin Sixsmith è arrabbiato col mondo per un licenziamento che considera immeritato e in quella storia vede pragmaticamente solo un mezzo per risalire la china professionale. In questo modo l’elemento melodrammatico viene come tenuto a bada e le telefonate piene di cinismo tra Martin e la sua caporedattrice invece di «svilire» la storia finiscono per far crescere nello spettatore la sua curiosità. Al resto pensa una siderale Judi Dench, ingenua, smarrita, cattolicamente repressa, che inizia a farsi largo per diventare il vero faro del film. Frears si mette abilmente al servizio degli attori e della sceneggiatura e il film cresce «da solo», riscattando il cinismo del giornalista, esaltando l’amore materno della madre e stigmatizzando un’idea di cattolicesimo bigotto e punitivo.” (Paolo Mereghetti, Corsera)

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