Gore Vidal

Gore Vidal
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  • Data di nascita 03/10/1925
  • Data di morte 31/07/2012
  • Luogo di nascita USA/West Point
  • Luogo di morte Los Angeles

Gore Vidal

Gore Vidal, pseudonimo di Eugene Luther Gore Vidal è stato uno scrittore, saggista, sceneggiatore e drammaturgo statunitense.
Autore di romanzi, saggi, opere teatrali, è altresì famoso per aver scritto sceneggiature di film di successo come Improvvisamente l’estate scorsa di Joseph L. Mankiewicz e Ben-Hur di William Wyler.
Nei primi anni cinquanta, usando lo pseudonimo di Edgar Box, scrisse tre romanzi gialli su di un detective immaginario di nome Peter Sergeant.
Figlio di Eugene Vidal e Nina Gore, nasce all’Accademia militare degli Stati Uniti, dove il padre è istruttore aeronautico. Non appena ha inizio la sua carriera letteraria, sceglie come nome il cognome del nonno materno Thomas P. Gore, senatore democratico dello stato dell’Oklahoma.
Cresce a Washington D.C., dove frequenta la St. Albans School. Il nonno materno, il senatore Gore, è cieco, e il nipote, che legge spesso per lui, di tanto in tanto gli fa da guida: ciò gli consente l’accesso – insolito per un bambino – ai corridoi del potere. L’isolazionismo del senatore Gore è uno dei principi ispiratori della filosofia politica di Vidal, che ha sempre criticato con fermezza l’imperialismo americano. Non a caso, oltre a un’innumerevole serie di saggi sull’argomento (molti dei quali pubblicati in Italia da Fazi Editore), ha scritto un ciclo di romanzi che descrive proprio il passaggio degli Stati Uniti da repubblica a impero: le cosiddette Narratives of the empire sono un ciclo di 7 romanzi che abbracciano la storia americana dai primi dell’Ottocento (Burr) alla seconda guerra mondiale (L’Età dell’oro).

Dopo aver frequentato la Phillips Exeter Academy, Gore Vidal si arruola come riservista nell’esercito degli Stati Uniti. È il 1943 e gli Stati Uniti sono in guerra da un paio d’anni. Nello sbarco alleato di Iwo Jima perde la vita Jimmy Trimble, “la mia altra metà”, come lo definisce lo stesso Vidal nel suo libro di memorie Palinsesto, del 1994: “Io ero più grande di lui di una settimana. Avevamo la stessa altezza e lo stesso peso. Lui aveva l’occhio lungo dell’atleta-cacciatore; io quello miope del lettore-scrittore. Io ero biondo con i capelli lisci. Lui era biondo, con i capelli ricci.”[1] Sul suo rapporto con Jimmie, Vidal è tornato di recente in un’intervista rilasciata al quotidiano inglese The Independent. (EN)
Per circa trent’anni ha vissuto in Italia, prima a Roma (in Largo di Torre Argentina) e poi a Ravello in costiera amalfitana. Dopo la morte nel 2005 del compagno di una vita, Howard Austen, ha venduto la villa La Rondinaia a Ravello ed è ritornato stabilmente a Los Angeles.
Austen è sepolto nel cimitero di Rock Creek a Washington D.C., in una tomba destinata a ricevere anche le spoglie dello scrittore.
Vidal è membro onorario della National Secular Society.
OPERE:
La statua di sale (The city and the pillar)
Dopo avere scritto e dato alle stampe un paio di romanzi, tra i quali spicca sicuramente Williwaw, basato sulle sue esperienze militari nel Alaskan Harbor Detachment (distaccamento portuale in Alaska), Vidal decide di pubblicare La statua di sale. È il 1948 e il libro suscita subito le attenzioni del pubblico e le critiche non proprio entusiastiche di buona parte della stampa americana. Il libro narra infatti le vicende di Jim Willard, figlio di una “normale” famiglia della media borghesia del sud degli USA, bello, atletico, schivo e innamorato del suo migliore amico. Si tratta per certi aspetti del primo romanzo americano che tratti con estrema disinvoltura della passione di un ragazzo per un suo coetaneo senza cadere nella caratterizzazione dell’omosessuale effeminato dominante nell’immaginario collettivo (non solo americano). Non a caso, racconta Vidal in Palinsesto: “Uno dei redattori della Dutton [la casa editrice che già aveva pubblicato Williwaw e In a yellow wood, ndr] mi aveva detto che se il libro fosse stato pubblicato, mi sarebbero toccati vent’anni di recensioni negative e la mia reputazione letteraria sarebbe finita per sempre. La mia risposta fu una sorta di fischio a mezzanotte: «Se c’è un mio libro che ancora verrà ricordato nel 1968… questa è la fama, o no?».[3] Il redattore della Dutton non era lontano dal vero se, come ricorda Vidal:
« Per vent’anni – e più – venni regolarmente attaccato per non avere sufficientemente adorato l’altare della Famiglia. Un certo Orville Prescott, il recensore del New York Times, disse al mio redattore che non avrebbe mai più letto e ancor meno recensito un mio libro. Time e Newsweek fecero altrettanto. »
Il libro è dedicato a “J.T.”, ovvero Jimmie Trimble, il ragazzo della St. Albans di cui Vidal è stato innamorato per anni, nonostante la sua morte prematura durante la Battaglia di Iwo Jima, nel febbraio del 1945. A questo proposito sono significative le parole che a Jimmie dedica Vidal in chiusura del primo volume delle sue memorie, Palinsesto[4].
Il titolo italiano dell’opera è un richiamo alla citazione biblica in esergo che apre la narrazione e che dà per certi aspetti la dimensione di immobilità in cui si trova il protagonista per buona parte del libro:
« Ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale. »

Tra Broadway e Hollywood
Dopo lo scandalo suscitato da La statua di sale, Vidal comincia a lavorare come autore televisivo e teatrale (due sue commedie The Best Man e Visit to a Small Planet si impongono a Broadway e vengono in seguito adattate per la TV). Nel frattempo dà alle stampe Il giudizio di Paride (1952) e la satira Messiah (1954).
Assunto come autore alla MGM nel 1956, tre anni più tardi è a Roma, a Cinecittà, dove William Wyler sta dirigendo il remake di Ben-Hur, con Charlton Heston. Vidal accetta, insieme con lo sceneggiatore Christopher Fry, di rivedere lo screenplay originale di Karl Tunberg, a patto che la Metro Goldwin Mayer acconsenta a rescindere il suo contratto con due anni di anticipo (così da potersi dedicare nuovamente alla narrativa).
Il contributo di Vidal alla sceneggiatura, per nulla marginale, non è mai stato accreditato dall’Associazione degli Sceneggiatori che hanno negato il riconoscimento sia a Vidal sia a Fry. (EN) [2] Lo scrittore è tornato sulla vicenda nei suoi due libri di memorie Palinsesto (1994) e Navigando a vista (2006), ricordando con divertimento l’episodio della lettura dello screenplay davanti al boss della MGM Zimbalist, a Wyler e allo stesso Heston, allorché l’acredine tra Ben Hur (Heston) e Messala (Stephen Boyd), viene ascritta da Vidal a un “rifiuto sessuale” del primo al secondo, con conseguente sconcerto generale e riscrittura della scena incriminata.[6] Charlton Heston, per nulla soddisfatto delle scelte di Vidal, ha negato che lo scrittore sia mai stato significativamente coinvolto nella sceneggiatura. (EN).

Giuliano (Julian)
Abbandonati gli studios e dopo una breve parentesi politica (si candida per il Congresso nel 1960, l’anno dell’elezione alla Casa Bianca di John F. Kennedy), Vidal, con il compagno Howard Austen si trasferisce in Italia. Dopo aver preso casa a Roma, in Largo di Torre Argentina, si butta a capofitto nello studio dell’antichità classica, si documenta presso le maggiori biblioteche capitoline e inizia così la stesura di Giuliano (1964). Il romanzo narra la vita privata e le scelte politico-militari di Giuliano, imperatore romano del quarto secolo, nipote di Costantino, che durante i brevi anni del suo regno tenta di restaurare il culto degli dèi pagani, passando per questo motivo alla storia con l’appellativo di “Apostata”.
Dopo Giuliano, Vidal dà alle stampe Washington D.C. (1967) primo volume della serie Narratives of the empire, il ciclo storico con cui lo scrittore ha inteso narrare le vicende politico-istituzionali degli Stati Uniti, dai padri fondatori alla Guerra fredda. Seguiranno gli altri capitoli della serie che, cronologicamente, coprono 150 anni di storia americana: Burr (del 1973), Lincoln (pubblicato nel 1984), Il Candidato (1876, del 1976), Impero (Empire, del 1987), Hollywood (del 1990), e L’età dell’oro (The golden age, pubblicato nel 2000).

Myra Breckinridge
« Io sono nata per essere una stella, e oggi ne ho tutta l’aria. »
(Gore Vidal, Myra Breckinridge)
In pieno clima da “contestazione”, appare in libreria l’audace e inattesa commedia satirica transessuale Myra Breckinridge (1968). “Donna Trionfante, prototipo di una nuova genia di esseri dotati di intelligenza superiore, bellezza indiscutibile, ambizioni altissime e di una fantasia smisurata che non si contenta di vagheggiamenti”[7] Myra (al secolo Myron Breckinridge), è una neo-donna che, dopo aver cambiato sesso, decide di spacciarsi per la vedova di sé stesso e ottenere dallo zio la scuola per aspiranti artisti che questo dirige a Hollywood. Scritto come una sorta di diario, il libro ha imposto Vidal come grande autore satirico (“la linea è quella che va da Petronio a Swift a Butler”) e fustigatore dei vizi della società americana. Come ha notato Graziella Pulce sulle pagine di Alias, l’inserto settimanale del quotidiano Il Manifesto: “La storia di Myra/Myron toccava questioni scottanti (siamo nel 1968, ndr): ruoli sessuali e relative lotte, la natura del potere, la funzione della letteratura, la facoltà dichiaratamente mitopoietica del cinema, ma anche il binomio cultura-denaro. Tutto ciò non solo era esposto brillantemente da un Vidal in stato di grazia, ma ogni elemento era anche consapevolmente messo in discussione e trattato criticamente. […] Myra Breckinridge è davvero un romanzo scabroso perché celebra il trionfo di un nuovo genere sessuale e insegna a combattere contro il potere degli uomini, di cui il protagonista conosce vizi (tanti) e virtù (pochissime e caduche).”[8] Il piano di Myra è semplice: procedere con “la distruzione delle ultime tracce residue nella razza della virilità tradizionale allo scopo di riallineare i sessi, riducendo così la popolazione mentre si aumenta la felicità umana e si prepara l’umanità per il suo stadio successivo”.
Scritto in un mese e dedicato all’amico Christopher Isherwood, il libro ha un enorme successo di pubblico: tre milioni di copie vendute in poche settimene e novecentomila dollari pagati dalla Fox a Vidal per i diritti cinematografici.[10] Rifiutato in Australia, edulcorato per il mercato inglese, in Italia è stato rifiutato da un paio di editori e pubblicato con coraggio da Valentino Bompiani nel 1969. Oggi è edito da Fazi, l’editore romano che sta ripubblicando l’opera completa dello scrittore americano.
Il 1975 è l’anno del sequel del romanzo, Myron. Per ovviare la censura, e fare satira del potere giudiziario americano, Vidal sostituisce tutti i termini sessuali e le parti anatomiche dei personaggi con i nomi dei giudici della Corte suprema americana. Nel 1987 i due libri sono pubblicati in un unico volume, e il turpiloquio di Myron ripristinato.

Gli anni settanta
« La mia esperienza, durante la guerra, fu che in pratica quasi tutti, sia attivamente che passivamente, erano disponibili al momento giusto. »
(Gore Vidal, Palinsesto)
Dopo l’insuccesso di due opere [Weekend (1968) e Un pomeriggio con Richard Nixon (1972)] e la sua strana semi-autobiografia Due sorelle, Vidal si concentrò soprattutto sui suoi saggi e due distinti argomenti: romanzi storici sulla storia americana come Burr (1973), 1876 (1976), Lincoln (1984), Impero (1987), Hollywood (1989), L’età dell’oro (2000), e altre escursioni nel mondo antico: Creazione (1981, pubblicato in forma estesa nel 2002), e le divertenti e spesso impietose “invenzioni satiriche”: Myron (1975, un sequel di Myra Breckinridge), Kalki (1978), Duluth (1983), Live from Golgotha (1992) e The Smithsonian Institution (1998). Vidal è anche autore di un’autobiografia in due volumi, composta da Palinsesto (1995) e Navigando a vista (2007).
Vidal, occasionalmente, è tornato a scrivere per cinema e televisione; si ricorda il film basato sul suo Billy the Kid, con Val Kilmer, e una miniserie di Lincoln. Ha inoltre scritto la sceneggiatura originale del controverso Caligola, ma più tardi fece rimuovere il suo nome poiché il regista e l’attore protagonista la corressero profondamente, cambiando completamente temi e toni complessivi. Ironicamente, in un tentativo fallito di ristabilire la visione di Vidal in postproduzione, i produttori del film finirono per renderlo qualcosa che né Vidal, né Brass, né McDowell avevano in mente.
Forse contrariamente alle sue volontà, Vidal è più rispettato come saggista che come romanziere. Egli scrive soprattutto su temi politici, storici e letterari, ed ha vinto il National Book Award nel 1993 per Stati Uniti (1952-1992). Una collezione successiva nel 2000 è L’ultimo impero; da allora lo scrittore ha pubblicato dossier estremamente critici rispetto all’odierna amministrazione Bush-Cheney, oltre al testo sui padri fondatori d’America, Inventare una Nazione. Ha pubblicato un’autobiografia di successo, Palinsesto, nel 1995, e secondo recenti notizie sta lavorando sul seguito.
Negli anni sessanta, Vidal si trasferì in Italia, scegliendo di risiedere a Ravello.
Fu ingaggiato per interpretare sé stesso in Roma di Federico Fellini; le sue politiche liberali sono ben documentate. Nel 1987 scrisse una serie di saggi come Armageddon, che esplora gli intrighi del potere nell’America moderna e condanna in maniera spietata la politica presidenziale di Ronald Reagan, il quale fu descritto come un «trionfo dell’arte dell’imbalsamatore». A parte il suo padre politico, Vidal ha altri collegamenti con il Partito Democratico americano: sua madre Nina sposò Hugh D. Auchincloss Jr., che più tardi divenne patrigno di Jacqueline Kennedy Onassis; inoltre, Vidal è cugino di quinto grado di Jimmy Carter. È stato anche candidato, senza successo, alle elezioni per il Congresso del 1960, perdendo per soli 24.000 voti in un distretto tradizionalmente repubblicano sul fiume Hudson. Nel 1982, perse contro Jerry Brown nelle primarie del Partito Democratico per il Senato, nonostante il sostegno di celebrità liberali come Paul Newman e Joanne Woodward. Vidal disse che lui ed Al Gore, ex vice Presidente degli USA, sono cugini alla lontana, ma ricerche genealogiche non hanno scoperto alcun legame familiare.
Ha recitato nel film Bob Roberts (1992) con Tim Robbins, oltre ad altri film come Gattaca, With Honors e Igby Goes Down.
Nell’agosto 2004, il New York Times annunciò che Vidal, a 79 anni, aveva deciso di mettere in vendita la sua villa di Ravello (La rondinaia, di 460 m²) che era stata la sua abitazione per trent’anni, e che si sarebbe trasferito in maniera permanente nella sua casa di Los Angeles, per motivi di salute.
Muore nella sua casa di Hollywood Hills il 31 luglio 2012 all’età di 85 anni a seguito di complicazioni per una polmonite. (Wikipedia)

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da Advocate (2/8/2012)

Gore Vidal’s Defense of Ben-Hur’s Gay Subtext
After the celebrated writer divulged that he infused a gay subtext into Ben-Hur, he and the film’s star, Charlton Heston, duked it out in print.
BY MICHELLE GARCIA

One of the most talked-about revelations from the documentary The Celluloid Closet was that Gore Vidal had infused a subtle yet clear gay subtext into the screeplay for the epic 1959 film Ben-Hur. However, when Charlton Heston, who played Judah Ben-Hur, heard Vidal’s admission, it prompted the conservative celebrity to engage in a campaign to diminish Vidal’s work on the film and to deny that subtext.

Vidal and Heston went back and forth in letters to the editor of Time, the Los Angeles Times, and The Advocate. The June 25, 1996, article can be found here, but we’ve also acquired the full typewritten and faxed letter, sent in May 1996. The letter, on the next page, has never been published in full. In true Vidal fashion, the saucy letter does not disappoint.

To: Anne Stockwell
From: G. Vidal
Date: May 9, 1996

I think we must all be charitable when it comes to Charleton Heston, whose career peaked with the film Ben-Hur, kitsch which has, as kitsch will, become camp. Happily, he has other strings to his balsa-wood bow: spokesperson for the National Review, and, as if that were not glory enough, proud trumpet for the National Rifle Association. Over the years I have told the funny story of how I wrote a love scene for Ben-Hur and Messala [played by Stephen Boyd] and how only the actor playing Messala was told what the scene was about because, according to director [William] Wyler, “Chuck will fall apart.” In numerous accounts of his own marvelously dull life, Chuck has told us about his triumph as Ben-Hur. With each version, he adds, alas, new lies (proximity to the National Review’s editor can put anyone’s veracity at risk).

The facts: Ben-Hur was the third picture in a row that I, as a contract writer at MGM, wrote for producer Sam Zimbalist (the others, The Catered Affair, and I Accuse). I arrived on the same plane with Zimbalist and Wyler not for a “trial run” but as the writer. Since I could only stay for a couple of months, Christopher Fry … was on hand to replace me when my work was done.

Zimbalist died in the middle of the picture, and so the credits were totally confused and neither Fry nor I was credited with our work, which was the entire script of which the first two-thirds was mine. Now my weeks in Rome (described in Palimpsest) becomes four days, according to Chuck. This is very bold. But then in my memoir, I did describe how no one at MGM wanted him for the film and only after [Paul] Newman and [Rock] Hudson were unavailable did Zimbalist, glumly, accept Heston. Over the years, his “obsession,” to use his words, has gotten out of control. I always told Wyler (who didn’t want to believe, later, what we had indeed done in the famous “love” scene) “Let’s watch the film together. Watch what Boyd is doing.” Wyler, a friend, would never watch with me. But the reviewers in the N.Y. Times and the L.A. Times [who reviewed] The Celluloid Closet watched and saw very clearly what I had done, and said so, contradicting the gregarious Chuck. Incidentally, one of the producers of The Celluloid Closet told me that they got a powerful message from homophobe Heston to the effect that a character he had also “acted” on the screen, Michelangelo, was in no way homosexual. But what is one to do with an old actor who, when he works, often wears two toupees, one on top of the other in the interest of verisimilitude? Long ago, in a play called Design for a Stained Glass Window, he gazed upon … yes, Dorothy and Toto and the Yellow Brick Road … but now I grew as garrulous as he.

Gore Vidal è presente in queste opere:

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