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“Kraftidioten inizia come uno dei tanti drammi familiari scandinavi, virando presto verso un noir a tinte piuttosto fosche: Skarsgård (veramente molto bravo nel suo essere maschera imperturbabile eppure espressiva) è un cittadino tranquillo e modello, un imprenditore che si occupa con i suoi spazzaneve di tenere sgombre le vie di un tranquillo paesino norvegese. Quando però suo figlio viene trovato morto per overdose – in realtà ucciso da una banda di spacciatori per via di una cattiva amicizia – l’uomo capisce subito che qualcosa non quadra, e si attiva per dare il via ad una spietata vendetta privata. Dopo le prime morti, perà, si capisce abbastanza in fretta che Kraftidioten non ha intenzione di prendere la via tradizionale, virando gradualmente ma con decisione verso terreni da commedia nera e degli equivoci che riesumano un pulp i derivazione tarantiniana con la capacità di essere sempre personale e mai scontato. Il capo della banda responsabile della morte del ragazzo è infatti un criminale sopra le righe e scritto con grande ironia, le dinamiche tra lui, la sua ex moglie, i suoi scagnozzi sono spesso esilaranti, come lo sono quelle di una banda serba rivale capitanata da Bruno Ganz con la quale si scatena un conflitto. Allo stesso modo sono riusciti e pungenti i dialoghi tra Skarsgård e un fratello ex criminale che gli dà consigli, o i dialoghi tra delinquenti che ragionano su aspetti interessanti della cultura norvegese, che vanno dal welfare al modo in cui sono accolti e considerati gli stranieri. Attenzione però a non pensare che a questo punto Kraftidioten si trasformi in una farsa: Moland e Aakeson hanno scritto un copione preciso e sfumato, grazie al quale il suo film cambia costantemente di tono riuscendo nella non facile operazione di non risultare mai sbilanciato in una direzione o nell’altra, ma anzi centrando le dosi di un cocktail non facile e originale.” (Federico Gironi, Comingsoon.it) – Nel film un appassionato bacio gay tra due elementi della banda, che in auto uniscono prima le mani, poi si assicurano di non essere visti, e quindi si baciono con particolare intensità. La scena ha probabilmente l’unico scopo, nel seguito della vicenda, di rimarcare la ferocia del boss, ma risulta assai accattivante ed è praticamente l’unico momento tenero del film, dove le coppie etero sono tutte in sfascio e rancorose.

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Nils ploughs snow in the wild winter mountains of Norway, and is recently awarded a Citizen of the Year Award. When his son is murdered for something he did not do, Nils wants revenge. And justice. His actions ignite a war between the vegan gangster “the Count” and the Serbian mafia boss “Papa”. Winning a blood feud isn’t easy, especially not in a welfare state. But Nils has something going for him: Heavy machinery and beginners luck. Gay kiss.

CRITICA:

Dopo aver incantato Locarno e Courmayer, il norvegese Headhunters ha lanciato la carriera internazionale del regista Morten Tyldum. Berlino porterà fortuna a In Order of Disappearance e al suo autore Hans Petter Moland? Noi ci auguriamo di sì, visto che il film è una delle opere più curate e divertenti mostrate nel concorso di questa 64° edizione. Protagonista della pellicola è un convincente Stellan Skarsgard nei panni di un piccolo imprenditore svedese immigrato in Norvegia che, dopo aver vinto il premio per il Cittadino dell’Anno per il suo impegno a favore della comunità in cui vive, apprende che il figlio è morto per overdose. Ben presto Nils Dickman (tra il significato inglese del cognome e il titolo originale del film – Kraftidioten – gli indizi che i personaggi del film non abbiano tutte le rotelle a posto si sprecano) scopre che in realtà il ragazzo è stato ucciso da una banda di spacciatori capitanati dal Conte, giovane magnate dell’industria dolciaria che, in realtà, gestisce un lucroso giro di droga. Dickman comincia a eliminare uno dopo l’altro gli scagnozzi del Conte scatenando una guerra tra quest’ultimo e i criminali serbi, a loro volta guidati dall’anziano padrino Papa Bruno Ganz, ingiustamente sospettati dei delitti. I serbi, che si spartiscono il mercato dello spaccio con i norvegesi, non la prendono bene. La sete di vendetta di Dickman dà vita a una reazione a catena incontrollabile.
Hans Petter Moland non teme le tinte forti. Se dovessimo scegliere tre colori per riassumere la visione di In Order of Disappearance punteremmo sul bianco delle sterminate distese di neve in cui la storia si svolge, sul rosso del sangue e sul nero della notte in cui Nils agisce calandosi nei panni di una sorta di Ispettore Callaghan (ma forse sarebbe più appropiato ‘Il giustiziere della notte’). Il regista esplora il cambiamento della psiche di un uomo tranquillo, cresciuto nella democratica e civile società nordica, trasformatosi improvvisamente in assassino senza scrupoli a seguito del dolore per la perdita del figlio. La violenza grafica è abbondantemente presente in una pellicola che si apre su toni decisamente dark e drammatici per imboccare ben presto la via della dark comedy. Moland riesce a gestire alla perfezione il doppio registro su cui la suo opera si muove, mantenendo alta la tensione e giocando, allo stesso tempo, sullo humor nero di cui il film è permeato. La trovata più divertente è rappresentata dai cartelli che scandiscono la narrazione indicando le varie morti del personaggio con nome e croce. Per altro, a seconda della religione del defunto, la forma della croce cambia. A sostenere In Order of Disappearance ci pensano, inoltre, i dialoghi brillanti firmati da Kim Fupz Aakeson. Tra i passaggi più esilaranti c’è un’acuta riflessione dei killer scandinavi sul legame tra welfare e assenza di sole (“Nei paesi caldi non esiste il welfare. Non ne hanno bisogno. Gli basta una banana e sono felici” chiosa uno dei criminali citando anche la temperata Italia), una digressione di Skarsgard sui soprannomi dei malviventi e una battuta fulminante sulla Sindrome di Stoccolma.
La galleria di personaggi che popola In Order of Disappearance è alquanto variegata. C’è l’isterico Conte, ossessionato dall’alimentazione sana e dalla lotta agli addittivi. C’è la sua ex moglie (la Birgitte Hjort Sørensen di Borgen), che lo tormenta per i soldi del mantenimento e la custodia del figlio, i suoi scagnozzi segretamente gay e poi c’è la banda dei serbi, che osservano con stupore i civili comportamenti dei norvegesi senza comprenderli fino in fondo. Ci sono un killer doppiogiochista giappodanese, una coppia di agenti di stomaco debole e poi c’è il Dickman di Skarsgard, che semina morte alla guida di uno spazzaneve e arrotola i cadaveri nella rete di pesca per permettere ai pesci di mangiarli una volta gettati in acqua. La confezione del film è assai curata. Regia, fotografia e montaggio evidenziano al meglio le bellezze del paesaggio norvegese. Quanto al testa a testa tra i due mostri sacri Stellan Skarsgard e Bruno Ganz, per chi volesse saperlo, sono bravi quanto ci si possa immaginare e anche di più. (Valentina D’Amico, Movieplayer.it)

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