O Ornitólogo

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O Ornitólogo

Questo quinto film di João Pedro Rodrigues, regista omosessuale dichiarato che esordì col poetico “O Fantasma”, potrebbe sembrare un’opera complessa, stravagante, difficile, invece, grazie ad una mirabile composizione registica, risulta emozionante, rinfrescante, raffinata, e potremmo dire anche facile. Dovrebbe raccontarci, del tutto aggiornata e con riferimenti autobiografici (soprattutto omosessuali), la storia di San Antonio da Padova, un santo nato alla fine del 12mo secolo a Lisbona da una nobile famiglia. Dopo aver studiato teologia iniziò una serie di viaggi come monaco francescano tra Europa e Africa, terminando la sua vita a Padova, la città che ancora lo venera e dove vengono girate le ultime scene del film.
Il San Antonio di Rodrigues è invece un ornitologo, Fernando (Paul Hamy), in viaggio da solo nel selvaggio nord-est del Portogallo, con la sua canoa, il binocolo e uno smart che usa per registrare le sue riflessioni. E’ così incantato ad ammirare un volo di cicogne nere che la canoa, entrata nelle rapide, si capovolge tramortendo Fernando, che viene sospinto immobile e insanguinato sulla riva del fiume. Fortunatamente, un paio di turiste cinesi (che si riveleranno lesbiche militanti), che si sono perse mentre stavano percorrendo la strada per Santiago de Compostela, lo trovano e lo fanno riprendere. Ma la loro apparente generosità cristiana nasconde in realtà un desiderio di vendetta verso il maschio. Più tardi infatti rivediamo Fernando seminudo legato ad un albero (novello San Sebastiano in attesa delle forbici anziché delle frecce)… Questo è solo il primo dei tanti incontri che capiteranno al nostro eroe: ci sarà quello, fondamentale, col pastorello sordomuto (col quale esploderà una passione carnale, a significare che solo riconoscendo la propria omosessualità si potrà essere pronti a proseguire), poi con una banda di ritualisti pagani, poi con amazzoni a seno nudo armate di moderni fucili, ecc. Ognuno di questi episodi, apparentemente slegati, sono in realtà l’espressione di uno stato d’animo del protagonista, che riesce a dare serenità alla violenza, sollievo allo sgomento, religiosità all’erotico, regalandoci un insieme coerente ed affascinante, unito da una sconcertante bellezza visiva, che capovolge qualsiasi prospettiva, qualsiasi tradizionale aspettativa.
Il messaggio sublimale che il film ci manda è quello che per ritrovare se stessi bisogna prima perdersi. La sensualità molto queer che percorre tutto il film, è sicuramente voluta e ricercata come nella scena in cui vediamo la mano che penetra nella ferita, così spiegata dal regista: “ho voluto fare di questa allusione a San Tommaso che mette il dito nella piaga di Gesù, una scena molto erotica, come si trattasse di una penetrazione”. A proposito del protagonista, il regista spiega: “Gli ho dato la mia età, la mia sessualità, le mie preoccupazioni. È un personaggio cangiante – come la maggior parte dei personaggi dei miei film precedenti. La sua identità sta cambiando – e forse questo è qualcosa che ha più senso una volta compiuti i quarant’anni, quando s’inizia a pensare alla vita che non si è vissuta… Penso che il mio film racconti una sorta di metamorfosi, di trasformazione. Ho cercato di essere più radicale che nei miei film precedenti. Ho pensato a come gli uccelli ci guardano, ci vedono. Ho voluto partire dal loro punto di vista, come se loro potessero vedere di noi cose che noi non vediamo… Nel mio film c’è un sacco di mitologia biblica e religiosa. Ho voluto giocare con essa, come stessi facendo una pittura religiosa, anche se io non sono religioso, come non lo erano i miei genitori. Io sono arrivato a conoscere la religione solo attraverso la scrittura e l’arte. Un santo è anche una persona reale, fatta di carne e desiderio, magari molto voluttuosa. Mi piace indagare questa contraddizione, tra santo e carnalità. Ho pensato a Caravaggio, la cui pittura, molto fisica, quasi blasfema, veniva rifiutata dai suoi contemporanei. Ma tanta pittura o scrittura religiosa è altamente erotica, basta pensare agli scritti di Santa Teresa d’Avila. Spero che il mio film non sia troppo blasfemo, anche se un po’ lo è, ma credo in modo giocoso”. Il film è anche una bella storia d’orgoglioso amore gay con lieto fine. Vincitore come miglior regia al Festival di Locarno 2016

synopsis

In Trás-os-Montes, a majestic part of northeastern Portugal, solitary ornithologist Fernando (the body of Paul Hamy, the voice of director João Pedro Rodrigues) kayaks along a river peering through his binoculars in search of rare birds, especially the endangered black stork. Distracted, he is caught in the rapids and ends up being saved by two female Chinese pilgrims, lost on their way to Santiago de Compostela. This is not good. Eventually extricating himself from the women, Fernando forges his own path, and the further he ventures into the forest, the more O Ornitólogo morphs into an exploration of the realm of fantasy – as fantastic as the idea of religion itself – as Fernando undergoes a series of extreme masochistic trials in this mythopoetic wilderness on the road to spiritual enlightenment.

This Birdman is more saint than superhero, and his journey comes to echo that of Anthony of Padua, Portugal’s most beloved saint

 

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La recensione del critico e scrittore Vincenzo Patanè

"O ornitólogo" di João Pedro Rodrigues

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Un commento

  1. solokiefer

    Rodrigues riesce ad incantare un’altra volta: partendo da una normale storia della gita di un ornitologo, Fernando, arriva a trasformare la storia in un viaggio nella natura ed interiore del protagonista, che si trova a ripercorrere le vicissitudini e le esperienze di Sant’Antonio da Padova (portoghese di nascita anch’egli).
    Alternando visioni mistiche a sensualità terrena, il regista crea ancora un film che è l’insieme dei temi suoi più cari: il doppio, il sesso, la solitudine, l’emarginazione, la spiritualità più alta, legata ad una iconografia sempre presente.
    Nel suo cammino Fernando (l’attore Paul Hamy, molto prestante fisicamente e perfetto nelsuo ruolo) incontra Jesus (simbologia manifesta), che lo seguirà nel suo percorso in una radura irta di pericoli e rivelazioni, quasi sempre surreali (strepitoso l’incontro che le due cinesi cattoliche, smarrite nel cammino verso Santiago di Compostela).
    Film faticoso e sublime, come i precedenti totalmente onirico, anche se rispetto a questi meno disperato.

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Recensione di Marco Romagna , cinelapsus.com

In principio era Sant’Antonio. Da Padova, o meglio da Lisbona, città in cui nacque e della quale è Santo patrono. Oppure, forse meglio ancora, in principio era Fernando, che trovò la fede e diventò Sant’Antonio dopo un lungo percorso di dolore e scoperta. A quattro anni dallo splendido A ultima vez qui vi Macau, con in mezzo un paio di cortometraggi, il cineasta portoghese João Pedro Rodrigues torna alla regia di un lungo, questa volta in solitaria – il fedele compagno di vita e storico co-regista João Rui Guerra da Mata lo affianca “solo” alla sceneggiatura –, portando in concorso a Locarno 2016 un film allegorico e simbolista, iconografico e scherzosamente blasfemo, nel quale il percorso grottesco dell’ornitologo Fernando – O Ornitólogo, appunto – verso la santificazione diventa decalogo delle ossessioni del regista, della sua dichiarata omosessualità, del suo profondo misticismo ateo ai limiti dell’eretico. È un progressivo inoltrarsi nel surreale, dal quotidiano del telefono cellulare all’atemporalità dell’allegoria, in un viaggio lungo il fiume alla ricerca della propria natura più intima che parta dai pasoliniani Uccellacci e Uccellini a cui parla Fernando dalla sua canoa per arrivare all’onirismo mistico e beffardo di Buñuel, fra rimasticamenti spudorati delle iconografie cristiane e riletture libere e metaforiche degli episodi di vita del Santo.

O Ornitólogo scivola dolcemente sul fiume, il binocolo al collo, la pagaia saldamente nelle mani. Osserva gli uccelli, li segue, sembra quasi ricevere in cambio segni di saluto, in soggettive dello studioso e controcampi lunghissimi che Rodrigues risolve in voli di droni sulla piccola imbarcazione e sulla natura già profondamente francescana di chi la governa. Il regista lusitano, da Il fantasma a Venezia nel 2000 in poi, ha sempre rivisitato gli stilemi del cinema portoghese inserendo le più classiche voci fuori campo a macchina fissa in un’altrettanto classica narrazione ellittica e riflessiva, che virasse però le modalità narrative della gloriosa tradizione figlia di De Oliveira verso un personalissimo cinema di genere, dal thriller al fantastico, sempre profondamente umano e intriso di un’aura fantasmatica e intima che sapesse far sgorgare nuova e moderna linfa dalla ieraticità visiva e dalla verbosità poetica. Stavolta, al contrario, la messa in scena di Rodrigues procede sin da subito in direzione diametralmente opposta, eliminando del tutto la voce over, riducendo la parola all’osso in virtù dell’immagine, optando per movimenti di macchina ariosi e per un montaggio piuttosto serrato. È una sorta di variazione sul tema del western, l’incipit del film, giocata sugli sguardi fra l’uomo e l’animale che portano Fernando a non accorgersi in tempo delle rapide; è il realismo a noi vicino dell’equipaggiamento di Decathlon e dell’iPhone, pronto a immergersi sempre più nel grottesco meticciandolo con il misticismo; è il puro talento visivo e narrativo di Rodrigues, forse mai così poliedrico ed efficace.

Fernando, dopo l’incidente, verrà salvato da una coppia di donne cinesi in cammino per Santiago – un cammino di fede che incontra un altro cammino di fede – che si riveleranno però lesbiche militanti, possessive e distruttive. Lo legheranno a un albero come un novello San Sebastiano in attesa delle frecce, o in questo caso delle forbici, odiandolo e quasi facendolo sentire in colpa per il proprio sesso. Riuscito a liberarsi, O Ornitólogo troverà una parte spezzata del suo kayak piantata in mezzo a un cerchio sulla spiaggia, per poi assistere nottetempo e di nascosto a un rito pagano intorno al fuoco, anticipazione di un percorso di delirio che è al contempo autodistruzione e scoperta di se stessi. Fra amazzoni a cavallo e assenza di copertura sulla rete del cellulare, sarà decisivo l’incontro (intimo) con il pastorello sordomuto che non certo a caso si chiama Jesus, Gesù: il sesso o la fede, il sesso e la fede, il sesso è la fede. Solo scoprendo la propria (omo)sessualità, e più in generale la propria natura, Fernando può realmente iniziare il proprio percorso catartico verso la trasformazione in Sant’Antonio, ma per rialzarsi è prima necessario cadere. Rodrigues mette in scena il corpo e soprattutto il sangue di Cristo, il destino, l’errore, l’orrore, l’omicidio, la colpa, fino alla rinuncia da parte di Fernando a se stesso, con i documenti simbolicamente affidati allo scorrere del fiume e le impronte digitali dolorosamente cancellate con il fuoco in attesa di una trasfigurazione che è anche una transustanziazione: perché Fernando possa finalmente diventare Antonio, e perché il volto del protagonista Paul Hamy possa diventare quello dello stesso João Pedro Rodrigues riassumendo nell’atto creativo del cinema tutto il percorso di santificazione, serve prima che la fede sostituisca il rimorso, serve prima che il dolore diventi gioia, serve prima che torni, resuscitiando dalla morte, Jesus.

Ecco quindi il corpo di Cristo di nuovo riverso a terra, il costato ancora sanguinante, le dita di Fernando che, con la curiosità di un morboso San Tommaso, penetrano nella ferita. Il nuovo esplicito riferimento sessuale sveglia il ragazzo, che questa volta può parlare, si chiama ovviamente Tommaso e altrettanto ovviamente è gay e felice. È giunto il momento di presentarsi alle porte di Padova: insieme, saltellando felici, sorridendo, tenendosi per mano. Perché O Ornitólogo, nell’accostamento giocosamente eretico che ci suggerisce come la vera fede sia l’omosessualità, o comunque come l’illuminazione non possa prescindere dalla felicità personale anche sessuale, è in fondo un film d’amore, un amore disperato e totalizzante, un amore capace di cambiare il corpo e l’anima delle persone. Un amore costretto però a passare dall’accettazione, personale in primo luogo e poi sociale, un amore che qualcuno definisce “contro natura”, un amore a cui qualcuno guarda con disgusto e malcelato disprezzo. Un amore che è un vero e proprio percorso di fede, allegoria dantesca e metafora esistenziale; un amore che è dolorosa scoperta, santità, cinema. João Pedro Rodrigues, facendosi forza anche delle enormi differenze stilistiche rispetto a ciò a cui ci aveva abituati, confeziona ancora una volta un film sognante e crepitante, viaggio mistico in un onirico che, non di rado, assume toni incubali e magnetici. Confermandosi, ancora una volta, come uno fra i registi più interessanti e liberi dell’intero panorama contemporaneo non solo europeo. Il suo è un cinema ipnotico, pronto a sgusciare sotto la pelle dello spettatore, rapirlo, trasportarlo. Come una canoa nella corrente, trascinata nelle rapide e poi su, verso il cielo. O forse verso Padova, chissà.

Marco Romagna

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